Politica
Toti si dimette, chiedendo ai liguri di giudicarlo, prima che lo facciano i giudici
Demetrio Rodinò
Ci tocca pure dirlo: il fatto che Giovanni Toti abbia vergato, a mano e a stampatello, la lettera per annunciare, dai domiciliari nel quale si trova recluso da mesi, che si dimette da presidente della Giunta regionale della Liguria è, a suo modo, un piccolo colpo di teatro. E non certo per le dimissioni.
Ma scrivere a mano e a stampatello sembra quasi a volere sottolineare la condizione di disagio in cui si trova, ritenendosi (ne ha tutto il diritto) oggetto di qualcosa che è molto vicino ad un accanimento giudiziario, non pensando affatto che, nei suoi comportamenti, ci sia stato alcunché di illegale.
Toti si dimette, chiedendo ai liguri di giudicarlo, prima che lo facciano i giudici
Forse di superficiale, forse di avventato. Ma è stato tutto nell'ambito di ''così fan tutte'' che sembra permeare un certo modo di fare politica. Cioè avere contatti con imprenditori che, come da consuetudine, chiedono, magari offrono, ma comunque chiedono. Se no, che offrirebbero a fare? E se non sono loro a chiederlo, potrebbe essere l'amministratore a sollecitare un riconoscimento per il suo operato. È quello che il nostro codice penale qualifica come concussione, anche se poi, come nel caso di Toti, l'accusa è ben diversa, quella di corruzione. E, per il popolo che non mastica leggi se non il giusto, se c'è un corrotto c'è un corruttore, allo stesso modo in cui se c'è un concusso c'è un concussore.
Ma il punto su cui soffermarsi, oggi, non è la forma usata per le dimissioni, ma le parole con le quali Toti ha fatto quel passo indietro, che da lui si aspettavano in molti (ad eccezione di chi lo ha difeso, anche oggi), dicendo comunque che non ha nulla di cui rimproverarsi. Ma, come si diceva un tempo, con un pizzico di superbia, lasciando il giudizio del suo operato alla Storia.
Dopo nove anni e due mandati, l'ex giornalista di Mediaset prestato alla politica, si è dimesso, rivendicando a sé
''tutta la responsabilità di richiamare alle urne, anticipatamente, nei prossimi tre mesi, gli elettori del nostro territorio, che dovranno decidere per il proprio futuro''.
Ora, al di là dell'atto formale, lasciare ad intendere le dimissioni sono frutto solo della sua volontà e non conseguenza dall'oggettiva difficoltà in cui si trova la Regione Liguria (con il suo presidente confinato ai domiciliari), è qualcosa che sembra volere rivendicare un atto politicamente meritorio, mentre è stata la ragionevolezza ad imporlo.
Perché l'anomalia non è che lui si trovi ai domiciliari, dopo l'arresto (toccherà ad un collegio giudicante valutare la fondatezza delle accuse mossegli e, quindi, conseguentemente, la bontà del lavoro dei pm e, quindi, del gip), ma che sia rimasto formalmente presidente, di fatto paralizzando per mesi la normale attività amministrativa della Regione, privata del suo dominus politico.
Per Toti si apre, ''per tutti'', una fase nuova, lasciando, bontà sua, ''agli elettori il compito di giudicare la Liguria che abbiamo costruito insieme in questi lunghi anni e decidere se andare avanti su questa strada''.
Frasi confezionate bene, con significati, chiari e subliminali altrettanto inequivocabili.
Ma qualcosa bisogna pure dire, perché, se si rivendica ''con orgoglio i risultati raggiunti'', negando il perché si trovi detenuto, lascia aleggiare sulla storia la sensazione che Toti vuole continuare a contare, facendo appello alla sua maggioranza a che non tradisca ''il consenso raccolto'' e valorizzando ''la classe dirigente cresciuta sul territorio''.
Quindi, tutto fuorché quel passo indietro che forse ci si aspettava da chi è colpito da accuse gravissime e che dovrebbe pensare a difendersi, prima di cominciare a costruire la prossima maggioranza in Regione.
E per il futuro?
Il manoscritto di Toti lancia anche un appello. Prima ai ''tribunali della repubblica'', affinché valutino ''le responsabilità chiamate in causa dall’inchiesta'', quindi - ed è qui che il discorso merita una riflessione - al Parlamento e all’opinione pubblica , cui attribuisce ''il dovere di fare tesoro di questa esperienza e tracciare regole chiare e giuste per la convivenza tra giustizia e politica all’interno del nostro sistema democratico".
Senza girarci tanto attorno, Toti sembra chiedere che la sua esperienza (che, dal punto di vista giudiziario, è ben lontana dall'essere definita) sia d'insegnamento alla classe politica, affinché, partendo dalla vicenda, crei le condizioni a che nessun altro possa trovarsi nelle sue ambasce per eguali comportamenti.
Un auspicio che passa solo ed esclusivamente da una riscrittura delle regole, magari per regalare ai pubblici amministratori una libertà d'azione ben maggiore di quella oggi concessa. Insomma, dopo l'abolizione del tanto vituperato abuso d'ufficio, Toti sembra volere aprire la strada a una ridefinizione delle regole che tutelano il pubblico amministratore quando si muove nell'infida palude dei rapporti con chi arriva scodinzolando con un fascio di banconote tra i denti. Come se fosse obbligatorio stare a sentire chi blandisce e seduce, piuttosto che prenderli a calci nel didietro.
Quindi, tutto fuorché quel passo indietro che forse ci si aspettava da chi è colpito da accuse gravissime e che dovrebbe pensare a difendersi, prima di cominciare a costruire la prossima maggioranza in Regione. La chiusa della lettera di dimissioni è un appello al cuore pulsante dei suoi elettori, una mozione degli affetti che in fondo ci può stare. ''Da questo momento - ha scritto - torno anche io ad essere un semplice, comune cittadino della nostra bellissima Liguria". Lui, Toti, che, viareggino, ligure non è, ma lo è diventato solo alla vigilia della sua prima candidatura.