La scelta di campo di Giorgia Meloni è ormai chiara, inequivocabile, ma non per questo immune da considerazioni, perché schierare l'Italia accanto a Trump che, con le sue politiche tariffarie rischia di strangolare parti importanti dell'economia italiana, sembra una contro-narrazione della realtà, dove la sbandierata contiguità ideologica spazza ogni ragionevolezza.
Giorgia Meloni sceglie Trump e l'Italia, in povertà, è il paese dei balocchi
Soprattutto perché, come ha detto il presidente del consiglio, in una intervista al Financial Times, l'Italia non può essere costretta ad una scelta ''infantile'' e ''superficiale'' tra Stati Uniti ed Europa.
Un modo come un altro per dire, e nemmeno tanto tra le righe, che una scelta invece c'è stata e guarda ad ovest, guarda al Paese che sta mutando in modo brutale, sotto la spinta di un presidente che sta cambiando il volto dell'America imprimendole una deriva autoritaria, dove solo un manipolo di giudici si oppone alle sue decisioni liberticide.
Un Paese che ha dichiarato una guerra commerciale al mondo. Una definizione, ''mondo'' , che, a dispetto di quel che pensa il nostro presidente del consiglio, comprende anche l'Italia che non può pensare di allentare i suoi legami europei nella speranza che la scure dei dazi americani, quelli del suo ''amico'' Trump, non si abbatta sulle nostre esportazioni.
Eppure, con una convinzione che cozza contro le evidenze, Meloni va ai vertici europei mostrando una comprensione per la linea di Trump che va oltre la realpolitik, perché pone le posizioni dell'Italia come un cuneo nel cuore della tanto ricercata unità dagli altri maggiorenti del Continente. E l'Italia, per il suo passato prestigio e il ruolo avuto nella costruzione di questa Europa, non può essere fatta passare come una Ungheria 2.0 solo perché ricca di passato storico-politico più nobile.
Il dramma, che pare essere evidente solo agli occhi di chi guarda al Paese senza i condizionamenti ideologici, è che l'Italia non sta affatto in salute, come dice il presidente del consiglio e ripetono, pedissequamente, i suoi supporter. Perché il nostro è un sistema in sofferenza, che avrebbe bisogno di altro che non astrusi ragionamenti di chi pensa di vivere nel regno di Bengodi, nel Paese dei Balocchi e che invece, quotidianamente, va a sbattere contro indicatori economici negativi. Dire che il governo ha raggiunto la boa di metà legislatura e lodarne i risultati è una buona tattica di comunicazione, ma deve solo sperare che, a sentire le autocelebrazioni, siano solo acritici sostenitori di Fratelli d'Italia che si accontentano di queste parole e si rifiutano di guardare alla realtà.
E ora, mentre Giorgia Meloni annuncia che va avanti il premierato, il Paese è più povero, la platea delle categorie fragili si amplia, con il rischio che si sta per raggiunge un punto che non consente più di tornare indietro.
Eppure ora sembra che l'importante sia compiacere Donald Trump, con una corsa a chi più ne incensa le qualità di grande statista.
Ma l'accondiscendenza di Meloni alle politiche del presidente americano sembra negare, ai suoi occhi, una evidenza: per lei Trump è un conservatore, quando ogni mossa che fa, a cadenza quotidiana, sembra essere impregnata di un furore reazionario, quello che, poche ore fa, lo ha spinto a cancellare, con un ordine esecutivo, ogni libertà per il sistema museale pubblico degli Stati Uniti di trattare materie legate all'inclusione, al genere, alle razze.
Ma è questo il modello al quale Meloni vuole ispirarsi per il futuro?
Ma, ed è questa la domanda cruciale, è veramente convinta che la maggioranza del Paese, quella che lei, continuamente, cita come simbolo dell'investitura a modificare le Istituzioni, nate dalla Costituzione e non dalla riunione dei dirigenti di un circolo ricreativo, accetti di diventare una colonia ideologica della nuova America delle deportazioni di massa, delle migliaia di licenziamenti, dei fondi tagliati all'Istruzione, della Casa Bianca trasformata da Trump in uno showroom di Tesla?