Cultura

Come un racconto di Henry James può diventare un film distopico: The Beast di Bertrand Bonello

di Teodosio Orlando
 
Nel 1903, il grande scrittore americano Henry James (fratello dell’altrettanto grande filosofo William James), pubblicò un lungo racconto dal titolo La bestia nella giungla (The Beast in the Jungle). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare giudicando dal titolo, non si tratta né di un racconto di avventure esotiche (à la Conrad o à la Salgari), né di un quasi horror, come The Turn of the Screw (Il giro di vite) dello stesso James. È invece un sottile racconto psicologico che allude a temi universali come la solitudine, i destini personali, l’amore e la caducità della vita della vita umana. Il nucleo fondante del racconto è la nozione di ambiguità, assurta a tema metafisico e correlata a un’esistenza, quella di John Marcher, che diventa una sorta di modello emblematico. Marcher è quasi l’antitesi dell’eroe romantico o decadente: non vi sono nella sua vita eventi sensibili, finché non incontra a un ricevimento May Bartram, una giovane donna che aveva conosciuto dieci anni prima a Napoli. May gli ricorda una singolare osservazione che lui stesso le aveva comunicato: l’ossessione che prima o poi per lui si presenterà un’occasione imprevedibile, ma perennemente in agguato, come appunto che un fatto una bestia nella giungla.

Tra i due nasce una fedele e assidua amicizia che però non si trasformerà mai in qualcosa di più intimo, benché conversino fra di loro con la familiarità di una coppia sposata. Paradossalmente, la loro amicizia è perennemente accompagnata da questa ossessione: ossia, se quell’occasione imprevedibile debba trasformarsi in una comunione di anime oppure sia semplicemente l’attimo in cui accade. Ma forse questa continua attesa non è nulla di nobile e speciale, ma coincide con la solitudine e l’aridità di un’esistenza senza scopo.

Bertrand Bonello, regista e musicista francese, conosciuto dal grande pubblico per film come Nocturama (2016) e Zombi Child (2019), si è ispirato al racconto di James per realizzare The Beast (in francese: La Bête): il risultato è stato un film dalle venature romanticamente angosciose con le apparenti sembianze della fantascienza distopica. Bonello, che ha anche scritto la sceneggiatura insieme a Guillaume Bréaud e a Benjamin Charbit, “attualizza” i temi di James, tentando altresì di esplorare argomenti come l’intelligenza artificiale, le emozioni umane nella loro diversità dalla glaciale freddezza dei “ragionamenti” delle macchine, e perfino una forma high tech di reincarnazione. 

Il film era stato già annunciato nel 2021, quando l’interprete maschile originario avrebbe dovuto essere Gaspard Ulliel: la sua tragica scomparsa in un incidente sciistico avvenuto in Alta Savoia nel 2022 ha fatto scritturare l’attore britannico George MacKay, che è apparso all’altezza del compito. Le riprese si sono svolte a Parigi e a Los Angeles, ma la produzione ha subito dei ritardi a causa della cosiddetta pandemia di Covid-19. L’interprete femminile principale è invece Léa Seydoux, affiancata da un cast che comprende Guslagie Malanda, Dasha Nekrasova ed Elina Löwensohn.

Il film è stato presentato in anteprima all’80° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed è stato molto apprezzato per la sua narrazione ambiziosa e per i suoi singolari effetti visivi.

La storia è ambientata in un 2044 in cui l’intelligenza artificiale controlla la maggior parte delle funzioni e dei lavori affidati agli esseri umani. Sembra una premessa distopica, ma inquadrata in un futuro prossimo dove niente fa sospettare che ci troviamo 20 anni dopo il nostro presente: edifici, abiti, elettrodomestici e simili sono esattamente gli stessi. Semmai, il senso di angoscia incombente che caratterizza le inquadrature ambientate nel 2044 è determinato da due singolari circostanze: le strade sono deserte, non si vedono automobili e nessuno più utilizza internet. Segno evidente del fatto che l’intelligenza artificiale ha realmente preso il sopravvento, benché la circostanza sia piuttosto suggerita che esplicitata. Il personaggio femminile, Gabrielle, fa la sua comparsa per prima: la storia comincia in medias res con lei che decide di sottoporsi a una sorta di processo di purificazione del DNA per sopprimere le proprie emozioni e migliorare le prospettive di lavoro. In ogni tentativo di purificazione, sperimenta intense vite passate con il personaggio maschile, Louis, rivelando un legame indissolubile tra epoche diverse.

Il primo tentativo di purificazione la porta in Francia, nella Parigi del 1910: qui Gabrielle è una stimata pianista, che gestisce anche una fabbrica di bambole con suo marito: tuttavia, la sua vita è turbata dal fatto che si sente perseguitata dal presagio che stia per accaderle una disgrazia imminente. Durante una serata di gala, incontra Louis, che aveva conosciuto a Napoli sei anni prima e con il quale si riaccende una liaison. In quell’occasione, Gabrielle aveva confessato a Louis la sua paura che potesse accadere una qualche orribile catastrofe. Anche dopo il nuovo incontro quest’idea non la abbandona, ma anzi diventa un’idea fissa (nel senso psicoanalitico della Zwangsvorstellung, o rappresentazione compulsiva, di Sigmund Freud) su cui rimuginerà costantemente. Nonostante Gabrielle sia sposata, i due riprendono a frequentarsi e iniziano a trascorrere più tempo insieme, anche se Gabrielle non vuole iniziare una relazione con Louis a causa della sua paura. Un tragico incidente si verifica quando un’alluvione travolge la fabbrica di bambole di Gabrielle, causando la loro morte per annegamento (death by water, per citare la Waste Land di Thomas S. Eliot, dove la morte per annegamento viene quasi simbolicamente contrapposta a quella tramite il fuoco – The sermon of fire, come Eliot intitola la sezione precedente –, perché più pura e incontaminata), con l’alternativa di soccombere all’incendio che si era simultaneamente sviluppato, bruciati vivi. Questo primo “episodio” riecheggia le idee esistenzialiste, in particolare la nozione di “vertigine della libertà” di Kierkegaard, poiché Gabrielle prova disagio per una sua eventuale esistenza futura confortevole. La visione di Bonello della Parigi prebellica, con fragili bambole di porcellana e celluloide che simboleggiano sia la fragilità umana che l’incombente devastazione della tecnologia, introduce un mondo che si avvia alla più totale disumanità.

Il secondo tentativo è ambientato a Los Angeles, nel 2014: Gabrielle, ora modella, è inseguita da un isolato Louis, prototipo di quelle personalità paranoidi che vengono definite incel (sostanzialmente, persone che attribuiscono il loro celibato a circostanze involontarie e che si sentono perseguitate). Dopo un terremoto non troppo devastante per gli edifici, ma sconvolgente per la psiche degli esseri umani, Gabrielle si sente in qualche oggetto di una sorta di “caccia grossa”: prima di tornare a casa si toglie le scarpe e vaga scalza per i viali del quartiere, finché non calpesta un piccione morto. A quel punto avviene un ennesimo incontro con Louis, il quale, in preda a un amore non corrisposto e al risentimento, perde l’autocontrollo, con conseguenze drammatiche. Siamo in una società già “ripiegata su sé stessa”, con una netta invadenza della tecnologia personale. Questa parte del film offre un’acuta critica sociale sugli effetti isolanti delle dipendenze tecnologiche, cogliendo il passaggio a un mondo sempre più mediato dagli schermi e dai più svariati devices digitali. La rappresentazione di questo periodo da parte di Bonello è perfettamente in sintonia con le preoccupazioni attuali sulla perdita di una genuina connessione tra gli esseri umani nell’era digitale. Il 2014 di Bonello raffigura un’epoca più vicina a noi, in cui Gabrielle e Louis si trovano a Los Angeles, alienati e disillusi.

Il terzo tentativo è del 2044, ossia dell’epoca contemporanea al narratore del film: Gabrielle si rende conto che la sua purificazione emotiva è fallita e si ricongiunge a Louis in una catartica e tragica presa di coscienza del loro amore incompiuto. Siamo in un futuro distopico plasmato dall’intelligenza artificiale, con una società intorpidita dalla tecnologia e con un’economia che potremmo definire post-lavorativa. In questo mondo, le persone si sottopongono alla “pulizia del DNA” per cancellare i ricordi e attenuare il dolore dell’esistenza. Bonello critica la presa della tecnologia moderna sull’umanità, allineandosi a filosofi come l’anarchico Jacques Ellul (noto precursore delle teorie della decrescita), che ha messo in guardia contro la perdita dell’esperienza autentica a favore dell’artificialità. La riluttanza di Gabrielle ad abbandonare i suoi ricordi suggerisce che una vera connessione tra gli esseri umani è incompatibile con l’abbrutimento tecnologico. La tecnologia offre un’illusione di pace, ma Bonello sottolinea come il “mostro” (ossia la “bestia nella giungla”) possa risiedere proprio in questa insensibilità artificiale e nell’alienazione che essa comporta.

Tutti questi complessi temi filosofici, intrecciati con le moderne angosce esistenziali, attraversano tre periodi temporali, ciascuno con i personaggi ricorrenti Gabrielle e Louis, i cui tentativi d’amore sono interrotti da una presenza minacciosa e ricorrente: la “bestia” del titolo. Ma le vite passate sono fuse con la distopia del presente, sicché il film riflette sull’amore, il destino e la perdita, creando una narrazione ossessionante che interseca il decadimento personale e sociale. La pellicola si conclude senza i tradizionali titoli di coda, con l’espediente di utilizzare invece un codice QR, che simboleggia un futuro digitale e crudo. La visione pessimista della tecnologia viene però temperata da un invito alla speranza, alla riflessione filosofica e alla possibilità di superare le “bestie” moderne attraverso la ricerca di significati più profondi.

Ecco perché il film, pur essendo immerso in un futuro tecnologico, non può fare a meno di evocare le inquietudini di The Beast in the Jungle, il racconto di Henry James, esplorando la stessa tensione tra desiderio e ineluttabilità. Nel racconto di James, il protagonista, John Marcher, si prepara a un evento “cataclismico” e oscuro – la “bestia” che dovrà affrontare – ma l’incertezza del suo destino, legato a un amore che mai arriva a compiersi, lo condanna a una vita di attesa senza fine. La sua “bestia”, infatti, si manifesta non come un pericolo esterno, ma come una forma di negazione esistenziale che mette a repentaglio la sua capacità di vivere pienamente.

Scrive James: "Well, say to wait for – to have to meet, to face, to see suddenly breakout in my life; possibly destroying all further consciousness, possibly annihilating me; possibly, on the other hand, only altering everything, striking at the root of all my world and leaving me to the consequences, however they shape themselves”. She took this in, but the light in her eyes continued for him not to be that of mockery. “Isn’t what you describe perhaps but the expectation or at any rate the sense of danger, familiar to so many people-of falling in love?".

("Beh, diciamo attendere... qualcosa che devo incontrare, affrontare, che esploderà all’improvviso nella mia vita; forse distruggendo ogni ulteriore consapevolezza, forse distruggendomi; a meno che non si accontenti di alterare ogni equilibrio, colpendo alle radici tutto il mio mondo e abbandonandomi alle conseguenze, quali che siano”. May sembrò afferrare il concetto, ma la luce dei suoi occhi continuò per lui a non essere derisoria. “Ciò che mi stai descrivendo non è forse l’attesa o la sensazione di pericolo - familiare a tanti - di innamorarsi?”").

(Henry James, The Beast in the Jungle and Other Tales, New York, Dover, 1993, p. 39; trad. it. La bestia nella giungla e altri racconti, Milano, Garzanti, 1984, p. 147).

Allo stesso modo, Bonello, nel suo film, offre una riflessione sul rapporto umano con l’intelligenza artificiale, ma anche su una forma di attesa perpetua: quella di una connessione che non arriva mai a soddisfare completamente il desiderio umano (by the way, a simili temi indulge anche Ian McEwan nel recente romanzo Machines like me). In The Beast, la protagonista entra in relazione con un’intelligenza artificiale progettata per essere “l’altro”, ma, nonostante le sue capacità avanzate, la macchina non può mai diventare veramente “umana”, lasciando Gabrielle intrappolata in una solitudine tecnologica che ricorda quella di Marcher.

Il film di Bonello rievoca la stessa ansia di The Beast in the Jungle: se nel racconto di James il “destino” che Marcher teme si rivela un’illusione, nella narrazione di Bonello è la macchina, pur incredibilmente sofisticata, a incarnare la stessa bestia – una creazione che sembra promettere tanto, ma che in realtà non è altro che un ulteriore simbolo della nostra incapacità di raggiungere un’autentica connessione, a causa di quello che il filosofo Günther Anders aveva chiamato il “dislivello prometeico”, ossia il riconoscimento della distanza ogni giorno più marcata che separa l’Umano dai suoi stessi prodotti, i quali appartengono di fatto al dominio della Tecnica. La tecnologia, per quanto avanzata, non può colmare il vuoto lasciato dal desiderio umano non soddisfatto. La relazione tra Gabrielle e l’IA diventa una metafora della distanza tra il corpo e lo spirito, tra ciò che possiamo toccare e ciò che non potremo mai possedere.
Come Marcher, che è prigioniero della sua attesa senza fine, Gabrielle si trova intrappolata in un legame che non è mai in grado di evolversi in un amore completo. La “bestia” nel film non è una minaccia fisica, ma una forma di alienazione interiore, il fallimento della promessa tecnologica di colmare le nostre lacune emotive. Il film di Bonello, come il racconto di James, indaga l’angoscia esistenziale che nasce dalla consapevolezza che il nostro destino è segnato non da eventi esterni, ma dalla nostra incapacità di affrontare ciò che veramente desideriamo. In entrambi i casi, la “bestia” diventa la metafora di un’incapacità di vivere veramente nel presente, una prigionia mentale che deriva dall’attesa di qualcosa che non arriverà mai.

Bonello costruisce un ambiente freddo e distaccato, un paesaggio futuristico che amplifica l’idea di una solitudine crescente, dove l’intelligenza artificiale è vista come un’illusione di compagnia che non fa altro che rendere più evidente la separazione tra gli esseri umani e la loro vera essenza. Questo risuona con la tormentata solitudine di Marcher, il cui più grande errore è non comprendere che la sua “bestia” non è un evento che accadrà, ma una condizione che ha plasmato la sua vita. La critica sociale di Bonello verso la dipendenza dalla tecnologia, pur partendo da un contesto futuristico, si intreccia con la riflessione psicologica e filosofica di James, creando un dialogo tra due epoche distanti ma unite dall’esplorazione della solitudine umana e dalla paura di non poter mai raggiungere un’autentica connessione, che sia con un altro essere umano o con una macchina.

In conclusione, The Beast di Bonello e The Beast in the Jungle di James, pur appartenendo a mondi diversi, si uniscono nell’analisi della nostra incapacità di sfuggire alla nostra solitudine interiore. L’appartenenza a due mondi diversi del romanzo e del film è un dato di fatto a cui Bonello cerca (non sempre felicemente, a nostro parere), di rimediare con riferimenti alla nouvelle vague francese e alle sue atmosfere: ma deve farne di strada prima di arrivare ai livelli di Éric Rohmer o Alain Resnais, e anche a quelli di David Lynch.


The Beast

Titolo originale: La Bête/The Beast
Lingua originale: francese, inglese
Paese di produzione: Francia, Canada
Anno: 2023
Durata: 146 minuti

Genere: drammatico, fantascienza, sentimentale, orrore

Regia: Bertrand Bonello

Soggetto: La bestia nella giungla (The Beast in the Jungle) di Henry James

Sceneggiatura: Bertrand Bonello, Guillaume Bréaud, Benjamin Charbit

Produttore: Justin Taurand, Bertrand Bonello

Casa di produzione: Les Films du Bélier, My New Picture, Sons of Manual, Arte France Cinéma, Ami Paris

Distribuzione in italiano: I Wonder Pictures

Fotografia: Josée Deshaies
Montaggio: Anita Roth
MusicheBertrand Bonello, Anna Bonello
ScenografiaKatia Wyszkop
 
Interpreti e personaggi

Léa Seydoux: Gabrielle
George MacKay: Louis
Guslagie Malanda: Poupée Kelly
Dasha Nekrasova: Dakota
Martin Scali: Georges
Elina Löwensohn: la veggente
Marta Hoskins: Gina
Julia Faure: Sophie
Kester Lovelace: Tom
Félicien Pinot: Augustin
Laurent Lacotte: l'architetto

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