Cinema & Co.

“Il Nibbio”. La missione di Nicola Calipari nell’inferno di Baghdad

di Teodosio Orlando
 
“Il Nibbio”. La missione di Nicola Calipari nell’inferno di Baghdad

L’Italia del Terzo Millennio – come qualcuno ama dire enfaticamente – sembra chiamata a costituire una rinnovata identità nazionale. E a questo scopo, non manca di attingere alle biografie di coloro che potrebbero essere celebrati come “eroi”, nella tradizionale accezione del termine, ossia persone disposte anche a combattere e a sacrificare le proprie vite per il trionfo della causa della giustizia o per esaltare i cosiddetti valori patriottici. Anche dal punto di vista cinematografico, si sta assistendo al fenomeno di film agiografici e celebrativi rispetto a queste figure. Del resto, come aveva preconizzato qualche tempo fa uno dei consiglieri impliciti di questa tendenza, Ernesto Galli Della Loggia, «c’è qualcosa di più. Nell’attenzione del tutto nuova che si legge, si sente, si respira, per il tema della nazione, e nel rimpianto sempre più diffuso che è dato avvertire per l’assenza di quell’idea dal panorama italiano, dalla matrice del nostro senso comune, della nostra civile convivenza, c’è anche la crescente consapevolezza di un prezzo particolare che l’Italia ha pagato, di una specifica passività che essa ha dovuto registrare a causa dell’assenza dell’idea di nazione, e dell’espulsione del sentimento di patria dallo spirito pubblico. Ci si è accorti, o ci si va sempre più accorgendo, che tale assenza è in rapporto stretto con la crisi dello Stato, con quel vero e proprio sfarsi della statualità (anche, talvolta, nei suoi aspetti più elementari) che, all’opera da decenni, ha però assunto negli ultimi tempi un passo incalzante, tra l’altro mostrando in maniera sempre più evidente a tutti l’ampiezza e la portata delle sue conseguenze distruttrici. Oggi, il paese, la sua cultura, la sua opinione pubblica, cominciano a rendersi conto che tale crisi si sta avvicinando a livelli intollerabili, che dunque venirne a capo costituisce il compito più urgente per la nostra collettività» (La morte della patria, Roma-Bari, Laterza, 1998).

Così, grazie al registra Alessandro Tonda, torna a rivivere sul grande schermo il protagonista di una delle piccole-grandi vicende che hanno segnato uno dei momenti del ritorno di una più stretta identità nazionale: è la memoria di Nicola Calipari, dirigente dei servizi segreti militari (il SISMI, come si chiamava vent’anni fa), che viene trasposta nel film Il Nibbio, incentrato sulle ultime settimane dell’agente militare prima della tragica notte del 4 marzo 2005, quando, sulla cosiddetta Irish Route che portava all’aeroporto di Baghdad, venne ucciso dal fuoco amico statunitense mentre riportava in Italia la giornalista Giuliana Sgrena. La pellicola è interpretata incisivamente da Claudio Santamaria nel ruolo del protagonista e si propone come un omaggio a una figura simbolo del sacrificio e della diplomazia, ma cerca al contempo di restituire un ritratto intimo e umano di Calipari.

Uno degli aspetti che colpiscono del film è l’intenzione del regista di dipingere Calipari come un eroe senza macchia, un uomo di valore e integrità assoluti. Sebbene il suo operato sia indubbiamente degno del massimo rispetto e la sua figura meriti di essere celebrata, il film eccede forse in un tono agiografico che rischia di appiattire la complessità della vicenda. Non viene quasi lasciato spazio a sfumature o contraddizioni: il protagonista è rappresentato come un uomo interamente dedito alla causa, senza esitazioni o conflitti interiori. Una scelta che, se da un lato nobilita la memoria di Calipari, dall’altro rischia di ridurre la sua figura a un’icona adamantina, ma priva di dinamismo drammaturgico. Questa costruzione cinematografica, che interseca per così dire il piano di una biografia reale con quello di una biografia ideale dai toni “messianici”, lo avvicina a un’altra figura di un recente film, ossia il colonnello Vincenzo Orsini ne L’abbaglio, dove l’eroe, pur trovandosi in un contesto più collettivo, assume un’aura di intransigenza e solitudine morale, senza che vengano esplorate le sue eventuali ambiguità o contraddizioni. Anche in quel caso, l’assenza di sfumature psicologiche finiva per limitare la complessità della narrazione. Certo, ci sono delle differenze nella caratterizzazione dei due personaggi: nel caso di Calipari, il film insiste sulla sua incrollabile integrità e sul valore del suo sacrificio, ma senza particolare introspezione. In L’abbaglio, invece, il colonnello Orsini è una figura dai tratti messianici, con un’aura di infallibilità che lo rende quasi sovrumano. La differenza sta nel fatto che il primo è dipinto come un eroe del quotidiano, il secondo come una guida illuminata e visionaria. Inoltre, Il Nibbio presenta tre antagonisti ben definiti, mentre L’abbaglio mette in scena una dicotomia più netta tra giusti e corrotti, con Orsini che si eleva al di sopra di tutto come arbitro della verità e della giustizia. Se Il Nibbio punta a un realismo emozionale, L’abbaglio ha quasi una dimensione epica, con una costruzione narrativa che sfiora il mito. Nel contesto de L’abbaglio, il colonnello Orsini è costruito come una figura che va oltre il semplice eroe: viene rappresentato come un uomo di virtù assoluta, quasi oltreumano nella sua capacità di discernere la verità e di guidare gli altri, in una posizione di superiorità morale e strategica.

Il suo ruolo nel film assume una valenza quasi profetica, come se fosse un eletto capace di vedere più lontano degli altri, senza mai vacillare o mostrare debolezze significative. Nel caso de Il Nibbio, invece, il tono agiografico è meno spinto in questa direzione: Calipari è un eroe positivo, ma il film cerca (pur con i suoi limiti) di mantenerlo entro una dimensione umana. Inoltre, Orsini è una figura centrale, ma non agisce in totale solitudine: Garibaldi ha un ruolo altrettanto determinante e i due condividono responsabilità e visione strategica. Tuttavia, il film tende a rappresentarli entrambi in una luce epica, con Orsini che incarna il rigore militare e la lucidità tattica, mentre Garibaldi mantiene la sua aura carismatica. Nel caso de Il Nibbio, invece, la costruzione agiografica è più concentrata su un unico individuo, Calipari, che viene ritratto come l’unico protagonista positivo in una realtà ostile, in cui gli altri attori (USA, terroristi, vertici politici) appaiono o avversi o incapaci: è rappresentato come un uomo solo contro il mondo, dedito unicamente alla sua missione, senza ambiguità o contraddizioni. Inoltre, il film mostra come, nel trattare con i ribelli sunniti, Calipari si presenti come un militare piuttosto che come un agente segreto. Sebbene la sua provenienza fosse dalla Polizia di Stato, dove aveva il grado di commissario, e la sua posizione di allora fosse quella di dirigente del SISMI, egli si qualifica come generale di divisione delle Forze armate italiane. Tale qualifica gli compete, considerando che il SISMI è un servizio militare, composto per il 70% da militari dei carabinieri e per il restante da personale di esercito, marina e aeronautica, ma in quel contesto assume un significato particolare, quasi che l’appartenenza alle Forze Armate gli conferisca un maggior prestigio diplomatico in politica estera (mentre l’affiliazione ai servizi riguarderebbe piuttosto gli affari interni o di intelligence). Peraltro, Nibbio era il nome in codice di Calipari, ispirato a un uccello dell’Aspromonte, in passato zona di sequestri: Calipari stesso voleva fare riferimento al maestoso uccello per il suo volo agile, veloce e leggero, ben adatto a sottolineare il suo metodo investigativo che il presidente Francesco Cossiga definiva tipico «non di un poliziotto muscolare, ma di un investigatore». Il quale veniva dalle indagini in cui era cruciale sapere collegare nomi, fatti e contesti. E aveva già condotto la trattativa che portò al rilascio di Simona Torretta e Simona Pari, a loro volta rapite in Iraq e liberate grazie alla mediazione della nostra intelligence. In qualche modo, il nickname di Calipari evoca anche quello del capo dei bravi che erano alle dipendenze dell’Innominato, nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni (personaggio inizialmente negativo, ma poi fondamentale per quella conversione dell’Innominato che condusse la vicenda verso il lieto fine).

La sceneggiatura di Sandro Petraglia si muove su un asse narrativo ben definito, ma semplifica la realtà attraverso la costruzione di tre antagonisti principali: gli Stati Uniti, rappresentati come cinici e insensibili, oltre che pasticcioni e incapaci, i terroristi islamici, visti come minaccia incombente ma allo stesso tempo dotati di una certa nobiltà ribelle, e infine i vertici politici e dei servizi segreti italiani, raffigurati come ostacoli burocratici o sabotatori del lavoro di Calipari. Questa tripartizione dei “cattivi” risulta eccessivamente schematica e finisce per appesantire la narrazione, impedendo una comprensione più profonda delle dinamiche geopolitiche di quegli anni.

Un altro aspetto problematico del film è l’indulgenza con cui vengono ritratti i terroristi e la resistenza sunnita. In più di una scena, i combattenti iracheni vengono mostrati come guerriglieri impegnati in una lotta di liberazione contro l’invasione occidentale, una scelta che rischia di fornire una lettura parziale e ideologica del conflitto. Questo atteggiamento si riflette anche nella figura di Calipari, a cui il film attribuisce una vicinanza, forse eccessiva, con alcune posizioni della sinistra italiana di quegli anni, suggerendo simpatie che avrebbero forse dovuto meglio essere verificate nei documenti storici. Va comunque detto che Calipari è stato davvero un uomo di enorme spessore, umano e morale, ed è giusto in questo momento storico raccontarne le gesta e ricordarlo. Del resto, non sono molte le persone che rischiano la propria vita per salvarne altre, fino a sacrificarsi. Calipari ha salvato una donna che non conosceva, facendole da scudo con il proprio corpo per proteggerla. Mentre esistono persone che non rischierebbero la loro vita neanche per proteggere gli affetti più cari.

Dal punto di vista tecnico, Alessandro Tonda offre una regia solida e misurata, evitando eccessi spettacolari e privilegiando un registro realistico. Le sequenze girate in Marocco restituiscono un’ambientazione credibile, mentre l’uso della camera a mano contribuisce a immergere lo spettatore nel caos del contesto iracheno. Le musiche di Paolo Vivaldi enfatizzano i momenti più tragici della vicenda, senza scadere nel melodrammatico d'occasione. Claudio Santamaria offre un’interpretazione intensa e convincente, riuscendo a trasmettere con sobrietà la determinazione e l’umanità di Calipari. Accanto a lui, Sonia Bergamasco nei panni di Giuliana Sgrena e Anna Ferzetti nel ruolo di Rosa Calipari riescono a dare spessore ai loro personaggi, sebbene il copione non sempre offra loro il giusto spazio per emergere. È comunque da apprezzare molto il fatto che il regista abbia deciso di inserire anche il lato umano di Calipari, come componente che ha dato il suo spessore al film. E qui Anna Ferzetti ha saputo ben interpretare il ruolo della moglie di Calipari, ossia Rosa Villecco, che le ha parlato a lungo del suo rapporto di coppia, sottolineando che lei e il marito ridevano molto, e che si sentiva protetta da lui, in un rapporto alla pari. Rosa ha sostenuto suo marito, nonostante conoscesse bene i rischi del suo mestiere.

Alla fine, Il Nibbio è un film ambizioso che ha il merito di riportare all’attenzione pubblica una vicenda di grande rilevanza storica e umana. Tuttavia, una certa semplificazione narrativa e il tono agiografico rischiano di non rendere piena giustizia alla profondità della vicenda, trasformando una storia complessa in un affresco con dicotomie quasi manichee. Resta comunque una pellicola ben realizzata e interpretata, capace di emozionare lo spettatore e di stimolare una riflessione sulla memoria e sul sacrificio.

Titolo completo: 

Il Nibbio

Regia: Alessandro Tonda

Genere: Drammatico/storico

Durata: 109 minuti

Paese: Italia 2025.

Prodotto da: Notorious Pictures (Italia), Tarantula (Belgio)

Distribuzione: Notorious Pictures

Produttori: Guglielmo Marchetti, Stefano Bethlen, Joseph Rouschop

Lingua: Italiano, Inglese

Soggetto: Sandro Petraglia, Lorenzo Bagnatori, Davide Cosco

Sceneggiatura: Sandro Petraglia, in collaborazione con Lorenzo Bagnatori

Fotografia: Bruno Degrave

Montaggio: Chiara Vullo

Musiche: Paolo Vivaldi

Costumi: Ginevra De Carolis

Scenografia: Sabrina Balestra

Suono: Yves Bemelmans

Effetti: MPC vfx (Belgio) – Reel One (Italia)

Interpreti:

Claudio Santamaria: Nicola Calipari
Sonia Bergamasco: Giuliana Sgrena
Anna Ferzetti: Rosa Villecco Calipari
Jerry Mastrodomenico: Giulio Carbonaro

Nei cinema dal 6 marzo 2025

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