C’era una volta un tempo, non troppo lontano ma ormai quasi mitologico, in cui la parola ''marachella'' evocava scenette da album di famiglia: un barattolo di marmellata svuotato con dita furtive, un vaso di fiori rovesciato giocando a nascondino, una faccia colpevole sbucata da dietro la tenda con la bocca ancora impiastricciata di Nutella.
Una "marachella" da 50 milioni: bimbo danneggia un Rothko esposto in un museo
C’erano gatti con la coda leggermente offesa da giochi troppo entusiasti, bambole sacrificate in improbabili esperimenti di parruccheria, muri impreziositi da capolavori a pastello e fiori strappati dal giardino della vicina ''per farne un regalo alla mamma''.
Piccole infrazioni dell’innocenza, degne al massimo di una sgridata con il sorriso sulle labbra. Poi venne l’era del buonismo senza freni, dove tutto è ''accidentale'', i bambini sono ''angeli imprevedibili'' e ogni gesto distruttivo si scioglie in una nuvola di ''povera creatura, era solo curioso''.
È in questo idillio pedagogico che un Mark Rothko da 50 milioni di euro ha incontrato il suo destino.
Siamo al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, un luogo consacrato all’arte, ma anche – evidentemente – alla fiducia smisurata nella capacità di autocontrollo dei pargoli.
Lì, in un’area museale aperta al pubblico, un piccolo visitatore ha deciso di lasciare la sua personale impronta sulla tela di “Grigio, arancione su marrone, n.8”. Nessun capriccio pittorico alla Pollock, sia chiaro, solo ''piccoli graffi", dice il museo, nello strato non verniciato dell’opera. Una carezza di innocenza, verrebbe da dire. Peccato che sia costata un danno tecnico e culturale notevole, la convocazione di restauratori internazionali e una nuova sfida nel già tortuoso curriculum della conservazione dell’arte moderna.
Ma tranquilli: ''È stato un momento di disattenzione'', ci rassicura un portavoce del museo. Un classico. Come quando ti distrai al supermercato e tuo figlio si infila nell’acquario dei crostacei. Solo che qui non parliamo di aragoste, ma di un capolavoro d’espressionismo astratto. Questione di dettagli.
Ora, sia chiaro: nessuno propone di vietare ai bambini l’accesso ai musei. Anzi, ben vengano le iniziative educative, le visite guidate formato mignon, i laboratori creativi dove pasticciare con la tempera senza timore.
Ma esiste, e dovrebbe esistere ancora, il concetto dimenticato di adeguatezza. Perché portare un bambino in un deposito-museo con opere da milioni di euro, senza un’attenzione chirurgica al suo ogni respiro, è un po’ come entrare in cristalleria con un sacco di palle da bowling e una benda sugli occhi.
Eppure eccoci qua, a sentire che ''è stato solo un gesto involontario'', "un piccolo incidente", "una marachella".
E no, mi spiace. Questa non è una marachella. È un atto che, per quanto ingenuo, ha danneggiato un patrimonio collettivo. Un'opera delicatissima, realizzata con pigmenti e resine che lo stesso Rothko maneggiava come un alchimista impazzito.
Altro che pittura: quelle superfici erano un campo minato artistico. Lo conferma anche Jonny Helm, restauratore di rango, che parla della "difficoltà estrema" nel trattare i Rothko: strati sottilissimi, non verniciati, fragili come i nervi di un professore davanti a un uso improprio del congiuntivo. C’è ottimismo, certo, ma anche un conto salato da pagare. Quello del restauro, e quello della leggerezza con cui continuiamo a giustificare l’ingiustificabile.
E non è nemmeno la prima volta. Le opere di Rothko, ci dicono, sembrano vittime di una strana maledizione.
L’ultima volta era successo alla Tate Modern di Londra, dove un altro capolavoro fu deliberatamente vandalizzato. Ora si aggiunge questo incidente "infantile", che di infantile ha solo l’autore, ma non certo le conseguenze.
Certo, i musei vogliono accogliere famiglie e stimolare i piccoli all’arte. Ma forse varrebbe la pena chiedersi: stimolarli a cosa? Alla contemplazione silenziosa o al tocco esplorativo stile "vedo, tocco, graffio"?
La responsabilità non è del bambino, ovvio. È di chi lo accompagna e lo dovrebbe proteggere non solo dai pericoli, ma anche dalla tentazione di trattare un Rothko come fosse una lavagna magnetica. Non si tratta di crocifiggere madri e padri già esausti. Ma magari, ogni tanto, una sana autocritica sì. Perché dietro al mito del "i bambini possono andare ovunque" si nasconde l’illusione che ovunque sia per loro. E invece no: ci sono luoghi che chiedono silenzio, distanza e soprattutto maniacale attenzione. E non per escludere, ma per custodire. In fondo, educare all’arte significa anche insegnare il rispetto per ciò che non si può toccare. Per ciò che non è nostro, ma ci è stato affidato. Per ciò che richiede distanza, timore, meraviglia. Tutto il resto, anche se lo dice Instagram, non è libertà infantile. È solo incuria con l’alibi del sorriso.