Cultura

Non ho ucciso l’Uomo Ragno,Mauro Repetto si racconta: "A 50 anni siamo gli stessi che eravamo a 20"

Barbara Bizzarri
 
Non ho ucciso l’Uomo Ragno,Mauro Repetto si racconta: 'A 50 anni siamo gli stessi che eravamo a 20'

All’inizio degli Anni Novanta in Italia c’era la voce della provincia a cantare: di due discoteche e trentasei farmacie, di quella ragazza che da sempre esiste in tutte le province e che se la tira troppo senza averne motivo più di tanto, di chi si sente soffocare in un luogo sentito troppo stretto da una parte e a rivelare la bellezza di una nottata nata per caso in autostrada “con in mano birra e Camogli” dall’altra. A raccontarlo per la prima volta erano due ventenni: Max Pezzali e Mauro Repetto.

Non ho ucciso l’Uomo Ragno, Mauro Repetto si racconta: "A 50 anni siamo gli stessi che eravamo a 20"

Da allora sembra che siano passati secoli: a un certo punto, Max ha continuato l’avventura iniziata con la morte dell’Uomo Ragno, mentre Mauro Repetto, che durante le esibizioni degli 883 ballava sulle note di Max, mentre tutti ridevano senza capirne a fondo il ruolo, ha mollato tutto e se ne è andato.
E come per tutti quelli che vanno sempre in direzione ostinata e contraria, è sempre stato il mio preferito: perché ce ne vuole di coraggio a lasciare tutto, quando sei appena arrivato in cima, senza cedere alla fame di altro e per decidere di fare una sfilza di tentativi senza centrarne nessuno prima di approdare alla Disney, dove adesso è Event Manager.
Oggi si parla di nuovo degli 883: perché la serie di Sky li ha raccontati alle nuove generazioni (e tra poco arriva anche la seconda) e perché Mauro ora porta in giro per l’Italia, nei teatri, la sua versione della storia. E l’Uomo Ragno non è morto: vivo e vegeto, sta con lui sul palco.

Questo spettacolo sembra un’enorme seduta psicoanalitica e un viaggio nel tempo. Come è venuta l’idea?

È un racconto che vuole essere evidentemente autoironico, come ogni scena. Per me è come una cena con degli amici, una comunione, una festa, per citare il primo Jovanotti. È come se uscissi a cena con 400 persone, per rompere il ghiaccio parlo dei miei balletti negli 883. Si vedeva che era una cosa genuina, di due che volevano divertirsi e divertire. Ed è quello che cerco di fare anche qui, a teatro.


Perché hai scelto di raccontare soltanto adesso il tuo punto di vista sulla storia degli 883?


È nato tutto per caso. Ho incontrato Maurizio Colombi, il numero uno del musical italiano, ha fatto Sapore di Mare, Elvis, Peter Pan di Bennato. Mi ha proposto questa cosa ed io detto subito sì, pensando, mi piacerebbe salire sul palco come quando ho finito il liceo ed ero animatore turistico nei villaggi. In fondo le prime cose che Max e io abbiamo scritto dopo il liceo erano, per me, da animatore turistico: rap e One man show, sketch che recitavo nei villaggi. E lo faccio ancora adesso, a teatro, con la stessa voglia.


Sei bravissimo. Canti, balli, reciti: perché non sei una star?


Io l’ho sempre fatto, per me è normale, ma nessuno lo sa. Chi viene a teatro se ne accorge, in genere però è vero che negli 883 non lo facevo. E poi, negli 883, ti assicuro, Max era un Frank Sinatra, lo è ancora adesso. Era più facile che cantasse lui e si è fatto così. Avevamo un produttore abbastanza draconiano nelle sue scelte: se una cosa funzionava non si cambiava più niente.

Poi, come racconti nello show, sei partito per gli Stati Uniti alla ricerca di una modella, Brandi.

Cerco di fare sempre quello che per me è più facile. Al momento per me era la cosa più facile. Lavorare a Disney, invece, era per accontentare mia madre, che voleva avessi un lavoro. L’ho fatto. Tornare, visto che padroneggio la lingua italiana, era facile.

Ci vuole coraggio per andare in America e mollare tutto: qui eri famoso.

Non ci ho pensato due volte e per me era logico pensare, questo l’ho fatto, ora mi sembra più bello cercare di fare qualcosa a Los Angeles e ci sono andato. Hollywood all’epoca era un mito, adesso invece non esiste neanche più. Però non parlavo la lingua: arrivavo a proporre le mie idee, ma mi dicevo, cosa scrivi, se non sai nemmeno parlare bene l’inglese. Infatti loro mi parlavano proprio di road block mentre spiegavo, facendomi intendere che non si capiva niente.

Non ti è rimasto il rimpianto? Ci torneresti?

Il mio sogno americano è sbiadito, per mille motivi. Adesso ho davvero di più l’Italian dream. Abitando a Parigi, ogni volta che torno in Italia mi piace: forse perché l’erba del vicino è sempre più verde e l’Italia è il mio vicino, adesso.

E con la famosa Brandi, è andata proprio come racconti sul palco?

Ho provato tutti i modi per conoscerla, ma l’ho soltanto incrociata per strada una volta, a Parigi oltretutto. Non era più famosissima, non l’ho neanche fermata. A Miami, a New York, a Los Angeles, non ero mai riuscito a incontrarla. Un paradosso incredibile. In compenso avevo conosciuto le sue amiche, una è ancora molto famosa, che erano ancora più belle di lei e quindi ho frequentato loro.

Un grande amore, insomma!

Un grande amore che sarebbe durato 15 giorni (ride).

Hai scritto tu lo spettacolo?

No. Maurizio Colombi. Si basa evidentemente sulla mia storia e lo cambio molto, lo adatto con le mie parole.

Nello show hai detto una frase che mi ha colpito molto: noi siamo gli stessi a 50 anni di quello che eravamo a 20.


Lo sai che è vero? E non ho aggiunto una cosa per non essere troppo pesantone, ma ti ricordi quando eri piccola e e vedevi uno di più di 50 anni e ti sembrava..

..vecchio!

Peggio di vecchio! Non l’ho detto durante lo show per non essere troppo pesante, ma quando avevo vent’anni non riuscivo nemmeno a immaginare che i cinquantenni potessero fare sesso, e invece lo fai più di prima. A parte che è ieri quando avevamo 18 anni, quindi, per dire, come minimo siamo uguali ad allora. Mi sono reso conto che quando dicevo eh, ma quando hai vent’anni fai le cazzate, in realtà semplicemente diventi più bravo a nasconderlo. Sei più attento, riesci a non farti beccare.

Come vedi i tuoi “nuovi” vent’anni? Non credo che tu ti senta arrivato.

Arrivato, assolutamente no. Mi piacerebbe scrivere, recitare in una serie. Non quella degli 883, naturalmente: una storia nuova. Non è facilissimo: ci ho provato negli Stati Uniti e non ce l’ho fatta, per un motivo fondamentale: non padroneggiavo la lingua, e uno scrittore senza padroneggiare la lingua.. voilà. Magari davvero l’Italian dream è meglio dell’American Dream. Ora la corrente mi porta verso la scrittura. Può essere che ci siano altre correnti che mi porteranno lontano, ma adesso la mia direzione è questa.

  • villa mafalda 300x600
  • PP evolution boost estivo giugno 2024
Rimani sempre aggiornato sulle notizie di tuo interesse iscrivendoti alla nostra Newsletter
Notizie dello stesso argomento
Non ho ucciso l’Uomo Ragno, Mauro Repetto si racconta: A 50 anni siamo gli stessi che eravamo a 20
25/04/2025
Barbara Bizzarri
Non ho ucciso l’Uomo Ragno, Mauro Repetto si racconta: "A 50 anni siamo gli stessi che era...
25 aprile, oltre le barricate: la Resistenza culturale
25/04/2025
Barbara Leone
25 aprile, oltre le barricate: la Resistenza culturale
Insieme anche oltre la vita: fotografo ritrae i genitori che hanno deciso di morire insieme
23/04/2025
Redazione
Insieme anche oltre la vita: fotografo ritrae i genitori che hanno deciso di morire insiem...
La borsa dell’arte torna in scena: in arrivo la quotazione di un “Mao” di Andy Warhol
23/04/2025
Redazione
La borsa dell’arte torna in scena: in arrivo la quotazione di un “Mao” di Andy Warhol