Cultura

Dal ritratto alla swipe: l'amore in posa, tra ventagli, ciocche di capelli e fotografie virali

Redazione
 
Dal ritratto alla swipe: l'amore in posa, tra ventagli, ciocche di capelli e fotografie virali

Nel cuore del Louvre, tra corridoi dorati e sguardi immobili, una donna ci osserva da un’altra epoca. È Anna di Clèves, quarta moglie del re Enrico VIII. Lo sguardo è assorto, il sorriso trattenuto. Indossa gemme, sete damascate e una piccola croce le pende dal collo. Il celebre ritratto, firmato da Hans Holbein il Giovane, fu tanto convincente da spingere il re d’Inghilterra a chiederla in moglie nel 1539 — un fidanzamento avvenuto, di fatto, a colpi di pennello.

Dal ritratto alla swipe: l'amore in posa, tra ventagli, ciocche di capelli e fotografie virali

Quel dipinto, definito "molto vivace" da un ambasciatore dell’epoca, fu forse l’antenato di un moderno profilo su Tinder: una rappresentazione visiva destinata a catturare l’interesse di un potenziale partner prima ancora che ci fosse un incontro reale. Ma quando Enrico vide Anna di persona, il fascino evaporò come il profumo da una lettera d’amore secolare. Nessuna attrazione, matrimonio non consumato, e annullamento concesso nel luglio del 1540. Per Anna, una fortunata via di fuga. Sembra preistoria rispetto al nostro mondo fatto di dating app e algoritmi amorosi, eppure qualcosa non è cambiato affatto: la centralità dell’immagine. Ieri come oggi, il primo sguardo — su tela o su schermo — può decidere il destino di una relazione. Come nel passato, è il linguaggio muto dell’apparenza a parlare per noi, prima ancora delle parole.

Già nell’epoca Regency — i decenni a cavallo del 1800 — la danza dell’amore si giocava con regole e segnali tanto codificati quanto poetici. I romanzi di Jane Austen ci raccontano di un tempo in cui il matrimonio era spesso una faccenda economica, ma dove iniziava a germogliare il concetto di amore come fondamento dell’unione.

«Sposarsi per amore divenne un ideale ampiamente celebrato durante il XVIII secolo», spiega alla BBC Sally Holloway, storica dell’Università di Warwick. E in questa società fatta di balli, convenzioni e sguardi rubati, si sviluppò un vero e proprio codice non verbale del desiderio. Il più curioso? Il linguaggio del ventaglio. Discreto, teatrale, perfetto per ambienti affollati dove la voce era soffocata dal fruscio delle crinoline.

un alfabeto nascosto tra le pieghe di stoffa e piume: il Fanology, ideato nel 1797, permetteva alle donne di comunicare da una parte all’altra della sala. Ogni gesto, ogni posizione del ventaglio, aveva un significato preciso. Ma, avverte Holloway, era più gioco che strategia di seduzione vera.

Accanto ai ventagli, c’erano i profumi: fragranze versate sulle lettere, piccoli elisir destinati a evocare l’amato in sua assenza, a sedurre, a permanere. E poi, naturalmente, i doni: fiori pressati come le violette, simbolo di amore fedele; balze ricamate a mano, vesti cucite con dedizione; miniature su avorio, libri sottolineati con cura per rivelare affinità spirituali. Perché, dice Holloway, «le coppie cercavano di capire se il proprio carattere e la propria visione della vita fossero compatibili». Un processo infondo non molto dissimile da quel che oggi chiamiamo “match di personalità”.

Con l’arrivo dell’era vittoriana e della fotografia, il corteggiamento visivo subì una rivoluzione tecnologica. Nacquero le cartes de visite, piccoli ritratti fotografici incollati su cartoncino, che cominciarono a circolare tra amici e potenziali amanti. Un formato 9x6 centimetri, che in breve tempo si diffuse a tal punto da diventare quasi virale — un equivalente ottocentesco del selfie condiviso sui social. John Plunkett, professore all’Università di Exeter, racconta alla BBC che «ci si vestiva con l’abito della domenica, si posava accanto ad oggetti simbolici: libri, sculture, animali domestici. Si metteva in scena il proprio io ideale, sociale e romantico».

Un po’ come oggi, in cui ci si fotografa in palestra, in vacanza o con un cane in braccio per mostrare che si è sani, dinamici, amorevoli. Nulla è cambiato, se non il supporto: da cartoncino a pixel. Le carte potevano anche diventare oggetti feticcio. Gli amanti le tenevano accanto, magari sotto al cuscino, esattamente come adesso si tengono nel cellulare i messaggi di chi ci fa battere il cuore. E come oggi, anche allora ci si sforzava di apparire migliori, più colti, più interessanti: «Era un modo per affermare chi si era», spiega Plunkett, «e mostrare il proprio status, reale o aspirato».

A ben pensarci, il passaggio da un ritratto pittorico alla fotografia e poi al selfie digitale non ha cambiato la sostanza: ci innamoriamo ancora con gli occhi. E se ieri era l’artista a mediare il fascino, oggi è il filtro. Ma il meccanismo, quello sì e vivaddio, resta intatto: una rappresentazione visiva, destinata a suscitare interesse, a suggerire una storia, a stimolare il desiderio. Basti pensare che nelle app di incontri moderne, il profilo è curato nei minimi dettagli: non solo l’immagine, ma la bio, gli interessi, le canzoni preferite. Ogni elemento è pensato per costruire un’identità appetibile. E dietro quell’identità, come un tempo, c’è la speranza che qualcuno — tra mille volti — decida di fermarsi.

Di guardare davvero. E magari innamorarsi. Certo, oggi il ventaglio è stato sostituito dall’emoji, il profumo dalle note vocali su WhatsApp, e le miniature dai video su Instagram. Ma il gesto è lo stesso: dire "ti penso", "mi piaci", "ci somigliamo". Holloway lo sintetizza così: «Tutti questi rituali, ieri come oggi, servono a creare intimità e vicinanza emotiva».  In fondo, il grande paradosso è che nel nostro mondo iper-connesso, dove le parole scorrono infinite, il primo passo nell’amore continua a non essere verbale.

È uno sguardo, una posa, una fotografia. È un modo di dirsi, senza dire, che ci si potrebbe appartenere. Come Anna di Clèves, anche noi cerchiamo l’amore attraverso immagini, filtrando, scegliendo, cercando affinità a distanza. Con la differenza che oggi, per fortuna, possiamo evitare l’annullamento con un semplice swipe a sinistra.

  • BPM Milano
  • villa mafalda 300x600
  • skin Banca Ifis
  • Poste Italiane giugno 2025
  • Enel Prima Vera - Rata Vera
  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
  • Fineco Change is Good
Rimani sempre aggiornato sulle notizie di tuo interesse iscrivendoti alla nostra Newsletter
Notizie dello stesso argomento
Operazione Pala d’Altare: il tesoro nascosto sul Lago Maggiore
08/07/2025
Redazione
Operazione Pala d’Altare: il tesoro nascosto sul Lago Maggiore
Viaggio nel cuore sacro e profano del cioccolato
07/07/2025
Barbara Leone
Viaggio nel cuore sacro e profano del cioccolato
Alle Gallerie d’Italia – Milano, Museo di Intesa Sanpaolo, tutti pazzi per i Beatles
05/07/2025
Samantha De Martin
Alle Gallerie d’Italia – Milano, Museo di Intesa Sanpaolo, tutti pazzi per i Beatles