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A Predappio tornano i nostalgici del Duce, in una triste liturgia che mostra i segni del tempo

Redazione
 
A Predappio tornano i nostalgici del Duce, in una triste liturgia che mostra i segni del tempo

Sempre che interessi a qualcuno parlarne, il fatto che anche ieri, come accade da decenni, si è rinnovato il triste rituale della marcia dei nostalgici del fascismo a Predappio, davanti alla tomba di Benito Mussolini, nel cimitero di San Cassiano, meriterebbe d'essere menzionato solo per lo ''scazzo'' che ha visti contrapposti la famiglia del Duce e Forza Nuova, partito di estrema destra.

Predappio tornano i nostalgici del Duce, in una triste liturgia che mostra i segni del tempo

E invece, anche quest'anno ci si deve occupare di una manifestazione che sembrerebbe avere fatto il suo tempo, anche se, tra i partecipanti, c'erano più anziani e ragazzi che non persone della ''fascia di mezzo'', a conferma che il fascismo e la sua eredità attecchiscono tra chi ha molti anni - e magari ha avuto in caso un esempio diretto di chi era stato cresciuto nell'idolatria del Duce - e i ragazzini che manco sanno nemmeno in cosa il regime si sia tramutato, diventando una macchina al servizio dell'annientamento, con ogni mezzo, di chi fascista non era.

La cerimonia ha rispettato il canone di tutte quelle che l'hanno preceduta, tra bomber neri, teste rasate, simil-gagliardetti e braccia tese, in un clima da gita fuori porta che non della celebrazione di un mito politico.
Cose viste e che in fondo ormai ci hanno abituato a questa espressione di adesione ad una idea che è stata sconfitta dalla Storia, ma che ancora attecchisce, oggi più di ieri, in alcune componenti del centro-destra, in cui il termine ''anti-fascismo'' è impronunciabile, pena l'orticaria o, peggio, una temporanea afasia.

Quelli che ieri hanno camminato, ordinatamente, verso il cimitero di Predappio non sono gli eredi del fascismo, né, per quello che si è visto, i prosecutori. Sono semplicemente delle persone che credono in qualcosa e sono pronte ad affrontarne le eventuali conseguenze negative. Solo che l'apologia del fascismo è ancora un reato previsto e punito dal nostro codice penale, anche se le condanne sono sempre state una puntura di spillo sulle natiche di un rinoceronte.

Per questo, in ossequio allo stereotipo degli ''italiani brava gente'', il reato, introdotto nel 1952 dalla cosiddetta Legge Scelba e che prevede persino la reclusione (da sei mesi a due anni), ormai è ridotto ad un mero deterrente, anche se la Cassazione, a sezioni unite, dando quindi maggiore peso alla sentenza, ha ribadito che tendere il braccio e gridare presente, in manifestazioni pubbliche, è reato.

Ma nessuno sembra curarsene e il prossimo processo a una trentina di persone, che salutarono ''romanamente'' l'addio pubblico ad un camerata, sarà quasi una medaglia da appuntarsi al petto. Il nodo, quindi, se accettare il saluto romano come una semplice manifestazione di un credo politico o confermarne la illegalità, è stato sciolto confermando l'evidenza: reato era, è e resterà.

Ma, tornando a Predappio, la manifestazione è stata ordinata, diremmo quasi nel rispetto delle regole, per la gioia dei due negozi della cittadina che, al netto dei nostalgici che la visitano in altri periodi dell'anno che non quello dell'anniversario della Marcia su Roma, aspettano con ansia questa occasione per svuotare gli scaffali di gadget che inneggiano al Duce (ma questo non è ancora un reato).

Che poi ci sia stato lo scontro tra la famiglia Mussolini e Forza Nuova (accusata di cercare visibilità) è l'elemento nuovo di una manifestazione che potrebbe indurre a tristezza se, negli ultimi tempi, anche se il governo lo nega, la violenza politica è tornata a fare capolino nelle nostre città.

Fare il saluto romano, comunque, non significa armarlo e picchiare, ma allo stesso modo, per noi che crediamo nel diritto e nella legge, è qualcosa di tollerato e forse anche tollerabile, entro certi limiti.
A patto che non sia il primo passo per fare tornare il Paese in un clima che, a partire dalla fine degli anni '60 e per qualche decennio, spingeva tutti ad avere paura nel sentire cosa raccontavano i giornali radio e tv, parlando di vittime che, mai dimenticarlo, erano di un fronte e dell'altro.

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