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Ponte sullo Stretto: il governo accetta le sentenze, ma solo quelle favorevoli

Redazione
 
Ponte sullo Stretto: il governo accetta le sentenze, ma solo quelle favorevoli

La reazione, durissima sino a sfiorare (o forse superare) i limiti della violenza verbale, con cui Giorgia Meloni ha commentato la decisione della Corte dei Conti di fermare l'iter della costruzione dell'attraversamento stabile dello Stretto di Messina, ha allargato la già ampia frattura tra due dei tre poteri dello Stato, ponendo la politica in netta e forse irreversibile contrapposizione rispetto alla magistratura, nei confronti della quale sono state usate parole e circollocuzioni che sono una dichiarazione di guerra.

Ponte sullo Stretto: il governo accetta le sentenze, ma solo quelle favorevoli

Sarebbe facile entrare nel merito delle cose che la Corte dei Conti ha rilevato come censurabili nell'iter dell'opera (a cominciare dai criteri con i quali essa sia stata appaltata) e su cosa ne abbia determinato il parere negativo. Qui, da commentare, c'è la risposta del Governo che ha visto la decisione della magistratura contabile come un attacco preordinato alle scelte di Governo e Parlamento.

Ma a questo punto, e lo diciamo facendo semplici domande, a cosa serve la Corte dei Conti se, quando si mette per traverso a qualcosa, finisce per essere accusata di essere parte non di una fazione politica, ma di un complotto che, se confermato, avrebbe risvolti penali?

Cioè, se, come dice Meloni e Salvini, la decisione dei magistrati contabili non tiene conto della realtà delle carte (posto che siano tutte perfette, tutte giustificate) , ci troveremmo davanti all'ipotesi, nell'ordine, di un complotto, di funzionari dello Stato infedeli, di personaggi che manipolano la realtà a vantaggio della loro parte politica.

Se è questo che realmente pensano gli esponenti di spicco della coalizione di maggioranza, la strada dovrebbe essere quella di collazionare le parti di un dossier e presentarlo alla magistratura ordinaria, chiedendole in indagare su quella contabile.
Stiamo rischiando un corto circuito istituzionale che mai s'era palesato nella Storia della Repubblica.

Mai era accaduto che un governo accusasse, con tale livore, degli uomini in toga di fare parte di una congrega di iniziati che, per specifici obiettivi che a questo punto rientrano nell'eversione, travisano i documenti, alterandone composizione e, quindi, correttezza.

Ai tempi di ''Mani pulite'' i magistrati inquirenti che indagavano sulla casta erano attaccati, contestati, persino insultati (un vezzo continuato anche dopo, in epoca berlusconiana, con i parlamentari di Forza Italia a protestare davanti ai tribunali), ma mai si era giunti a ipotizzare che il disegno politico dietro un'ordinanza o, come nel caso del Ponte sullo Stretto, una mancata autorizzazione alla spesa ci fosse un gesto mirato a delegittimare il Governo, bloccandone una sua iniziativa.

Quando Giorgia Meloni parla, in merito alla mancata registrazione da parte della Corte dei conti della delibera CIPESS , di un ''ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento'' sembra delineare una extraterritorialità dell'esecutivo rispetto alle regole, che, per loro stesso profilo, valgono per tutti.
Quindi anche per il governo che dovrebbe prendere atto dell'erga omnes e non invece sentirsene esentato.

Ma Giorgia Meloni va oltre lasciando intuire che la decisione della Corte dei Conti possa essere una risposta alla riforma della Giustizia. Anzi, più che una risposta, una rappresaglia condotta da masnadieri del diritto e non da suoi garanti.

Davanti alle bordate arrivate dalla maggioranza - e dalla stampa amica -, la Corte dei Conti ha chiesto soltanto rispetto per il proprio operato.
''Le sentenze e le deliberazioni della Corte dei conti non sono certamente sottratte alla critica che, tuttavia, deve svolgersi in un contesto di rispetto per l'operato dei magistrati'', ha scritto in una nota la Corte, per poi aggiungere che ''il rispetto della legittimità è presupposto imprescindibile per la regolarità della spesa pubblica, la cui tutela è demandata dalla Costituzione alla Corte dei conti''.

I toni usati da Giorgia Meloni sono inequivocabili e, sempre che ci sia consentita una considerazione ulteriore, forse dettati dai tempi della politica e non da quelli della concretezza. Nel senso che, prima di trinciare giudizi al vetriolo, sarebbe stato meglio capire, nel merito, cosa abbia spinto i giudici a dire no e, quindi, a non imbastire un processo che è solo politico, come se si sia voluto dire, inequivocabilmente, che quello della Corte dei Conti è un abuso che travalica le competenze dell'organo, per entrare nelle prerogative della politica. Che, essendo fatta dagli uomini, qualcosa se ne dovrebbe fare una ragione, è tutto fuorché infallibile.

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