Economia

Le ripercussioni sul mercato valutario restano limitate nonostante l’escalation delle tensioni in Medio Oriente

Lee Hardman, Senior Currency Analyst di MUFG Bank
 
Le ripercussioni sul mercato valutario restano limitate nonostante l’escalation delle tensioni in Medio Oriente

Il dollaro statunitense ha continuato a rafforzarsi moderatamente all’inizio di questa settimana, a seguito di una nuova escalation delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente durante il fine settimana. Questo ha contribuito a riportare l’indice del dollaro sopra il livello di 99.000. Tuttavia, la performance di altre valute rifugio tradizionali è stata più eterogenea.

Le ripercussioni sul mercato valutario restano limitate nonostante l’escalation delle tensioni in Medio Oriente

Il franco svizzero si è rafforzato moderatamente insieme al dollaro USA, mentre lo yen si è ulteriormente indebolito, portando il cambio USD/JPY a risalire sopra il livello di 147,00 durante la notte. La debolezza dello yen potrebbe riflettere inizialmente le preoccupazioni degli investitori sul fatto che l’economia giapponese potrebbe essere colpita più duramente dall’aumento dei prezzi del petrolio, data la sua dipendenza dalle importazioni energetiche dalla regione, e il potenziale aumento dell’inflazione che potrebbe far salire i rendimenti più al di fuori del Giappone. La domanda di beni rifugio in risposta agli attacchi missilistici statunitensi contro l’Iran non è stata sufficiente a invertire la tendenza al ribasso dello yen che si è manifestata di recente, sostenuta anche dalla cautela della BoJ nell’alzare i tassi a fronte dell’elevata incertezza legata alla politica commerciale e ai rischi geopolitici in Medio Oriente. Le valute ad alto beta del G10 per le materie prime, come il dollaro australiano e quello neozelandese, hanno anch’esse sottoperformato insieme allo yen.

Nel complesso, la reazione iniziale dei mercati finanziari agli attacchi militari statunitensi contro l’Iran è stata relativamente contenuta. Il prezzo del Brent è inizialmente salito sopra gli 80 dollari al barile, ma è poi tornato vicino ai livelli di fine settimana scorsa, appena sopra i 78 dollari al barile. La reazione inizialmente contenuta del mercato potrebbe riflettere l’attesa da parte degli operatori di capire come risponderà l’Iran agli attacchi statunitensi, per determinare se il conflitto sarà più dirompente per l’economia globale e i mercati finanziari. Alle Nazioni Unite, domenica, l’ambasciatore iraniano Amir Saeid Iravani ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza riunito in sessione d’emergenza che il “momento, la natura e la portata” della loro risposta “saranno decisi dalle forze armate”. Il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha affermato che il Paese si riserva tutte le opzioni per rispondere. Tuttavia, sono anche consapevoli che il presidente Trump ha minacciato di rispondere a qualsiasi ritorsione contro gli Stati Uniti con una forza “ben maggiore” rispetto agli attacchi iniziali che nel fine settimana hanno colpito siti nucleari, e ciò dovrebbe costituire un deterrente significativo per limitare una risposta da parte dell’Iran.

In assenza di ritorsioni, l’amministrazione Trump ha inizialmente indicato che gli attacchi militari del fine settimana sono probabilmente un’azione isolata volta a danneggiare le capacità nucleari dell’Iran, piuttosto che l’inizio di un conflitto più ampio. Il vicepresidente JD Vance ha dichiarato che gli Stati Uniti “non sono in guerra con l’Iran, siamo in guerra con il programma nucleare dell’Iran” e il segretario di Stato Marco Rubio ha affermato che gli USA “non cercano una guerra con l’Iran”. Dopo gli attacchi statunitensi, il primo ministro israeliano Netanyahu ha dichiarato che Israele è “molto vicino” al raggiungimento dei suoi obiettivi dopo aver inflitto gravi danni alle infrastrutture nucleari e ai programmi missilistici iraniani. Tali dichiarazioni indicano che sembra esserci una possibilità di de-escalation del conflitto. Tuttavia, il presidente Trump ha sollevato la questione del cambiamento di regime in Iran, che potrebbe portare a uno scenario potenzialmente più destabilizzante.

Ha scritto su Truth Social: “Non è politicamente corretto usare il termine ‘cambiamento di regime’, ma se l’attuale regime iraniano non è in grado di MAKE IRAN GREAT AGAIN, perché non dovrebbe esserci un cambiamento di regime??? MIGA!!!”. L’elevato livello di incertezza geopolitica e il rischio di un nuovo shock sui prezzi dell’energia stanno offrendo un ulteriore supporto al dollaro statunitense nel breve periodo, insieme alla riluttanza della Fed a riprendere i tagli dei tassi.

USD: L’audizione semestrale del presidente della Fed Powell sarà un altro punto focale nella settimana a venire

Gli ultimi sviluppi in Medio Oriente detteranno comprensibilmente l’andamento dei prezzi sui mercati finanziari all’inizio di questa settimana. Questo dopo una settimana passata densa di aggiornamenti da parte delle banche centrali. Le banche centrali scandinave, in particolare la Norges Bank, sono state più attive del previsto, contribuendo all’indebolimento delle valute locali in un contesto di più ampio deterioramento del sentiment di rischio degli investitori globali. La Riksbank ha tagliato i tassi di 25 punti base dopo aver temporaneamente interrotto il ciclo di allentamento all’inizio dell’anno, e ha lasciato aperta la possibilità di un altro taglio entro la fine dell’anno, che porterebbe il tasso di riferimento all’1,75%.

Più sorprendente è stata la decisione della Norges Bank di iniziare il ciclo di allentamento un po’ prima del previsto, segnalando l’intenzione di tagliare i tassi altre due volte entro la fine dell’anno. La Riksbank ha riconosciuto che la ripresa economica in Svezia sta procedendo più lentamente del previsto e si aspetta che l’elevata incertezza ostacoli la ripresa nel breve termine. La decisione della Norges Bank di iniziare prima con i tagli ai tassi è stata invece guidata da evidenze di un’inflazione di fondo più debole del previsto in Norvegia. Questi aggiornamenti di politica monetaria accomodante rendono la corona norvegese (NOK) e quella svedese (SEK) vulnerabili a ulteriori indebolimenti nel breve termine.

Le prospettive della Fed in materia di politica monetaria torneranno in primo piano questa settimana, quando il presidente Powell terrà l’audizione semestrale sulla politica monetaria di fronte al Congresso martedì e mercoledì. Ci aspettiamo un messaggio simile a quello emerso dalla riunione del FOMC della scorsa settimana, indicando che la Fed non ha fretta di riprendere i tagli dei tassi finché non avrà maggiore chiarezza sulle prospettive economiche. Un membro del FOMC che ha recentemente adottato una posizione più accomodante è il governatore Waller, menzionato come possibile futuro presidente della Fed. Ha dichiarato che la Fed dovrebbe tagliare i tassi già il mese prossimo, dopo aver in precedenza sostenuto di aspettare fino alla fine dell’anno. Ritiene che “abbiamo spazio per abbassarli, e poi possiamo vedere cosa succede con l’inflazione”. Queste dichiarazioni sarebbero viste più favorevolmente dal presidente Trump, che di recente ha chiesto alla Fed di tagliare i tassi di 2-2,5 punti percentuali. Questo mette in evidenza come la forza del dollaro statunitense, sostenuta dalle tensioni in Medio Oriente e dalla riluttanza della Fed a tagliare i tassi, poggi su basi fragili.

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