L'assuefazione a quelli che, etichettandoli con superficialità, sono chiamati episodi di microcriminalità è, essa stessa, un sintomo preoccupante di come, come società, non riusciamo a percepire quanto accade, nelle nostre strade e tra i nostri giovani, in tutta la sua enorme rilevanza. L'aggressione a colpi di coltello di uno studente universitario a Milano, per questo, non può essere archiviato, nella memoria collettiva, insieme ad altre, che vedono protagonisti giovani che sono ormai il simbolo di un degrado dei valori, perché ad essere protagonista non è il solito gruppetto di ragazzi espressione del degrado e delle periferie, ma figli di famiglie ''normali'', semmai questa classificazione abbia ancora una ragione d'essere.
Sicurezza: l'accoltellamento del giovane a Milano va oltre la violenza, è la conferma di una crisi sociale
Il figlio di un bancario, il figlio di un rappresentante di commercio, che vivono in un quartiere residenziale, in famiglie che non hanno problemi economici e, quindi, non incubatrici di disagio e rabbia, sono i protagonisti, insieme ad altri, di questo fatto di cronaca (la vittima, che ha rischiato la vita, resterà disabile per il resto della sua esistenza) che resta inspiegabile non per la violenza che lo ha caratterizzato, ma per la ferocia che lo connota, quasi che questi ragazzi siano usciti di casa, con in tasca un coltello a serramanico, solo per infilarlo nella pancia di qualcuno.
Davanti ad episodi del genere ci si sarebbe aspettata aspettare una sollevazione delle coscienze, ed invece tutto sembra sfumare col passare dei giorni, e, statene certe, se ne parlerà ancora per poco, perché la bulimia di notizie grondanti di sangue pretende sempre fatti nuovi, con nuove vittime, con nuove maratone televisive a nutrirsi di esse.
Ma quello che resta incomprensibile è che, davanti a questa che deve essere considerata parte di una tragedia complessiva, la nostra politica sceglie come sempre la strada dell'azzannarsi reciprocamente, non proponendo altre soluzioni a quelle che fanno comodo al proprio partito.
E, mai forse come oggi, in questo momento manca l'azione del governo, non la voce, ma l'azione. Perché di voci e parole ne sentiamo tante. Forse (ma altri dovrebbero dirlo, magari non con in mano statistiche, ma con la ragionevolezza dei padri e delle madri di famiglia) oggi è necessaria una risposta che non si limiti a mandare un pugno di agenti o carabinieri in più sulle strade, ma con una strategia che non sia figlia dell'improvvisazione e che coinvolga lo Stato nella sua interezza.
A cominciare dalla Scuola, che mai come oggi appare indifesa davanti all'offensiva di una violenza generalizzata, che nasce dai giovani, ma che vive e si alimenta anche in soggetti fragili, impreparati a fronteggiare il disagio.
Una battaglia che non può e non deve avere colori politici, perché qui in ballo non c'è la condanna al riformatorio di quattro ragazzini deficienti, ma il futuro di una parte importante della nostra società, quella che esercita la violenza e anche quella che crede che questo atto sia conseguenza solo di motivazioni personali.
Se un quasi bambino va per strada armato di coltello non è solo per colpe sue, ma anche della famiglia, della comunità e, a cascata, anche della Scuola e dagli esempi che gli vengono dai media. Parlare della violenza per alimentare la libido di sangue dei telespettatori è, essa stessa una causa, forse una concausa, ma è parte di un meccanismo di omogeneizzazione del male, che è entrato nel lessico quotidiano come qualcosa di cui non si può fare a meno.