Questo era il piano, sin dall'inizio, e ogni mossa e contromossa segue un percorso scritto e pensato da tempo: così rispondono il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e i suoi consiglieri alle perplessità sulle politiche tariffarie dell'Amministrazione che sono sintetizzate in poche battute: spaventare a morte il mondo annunciando tariffe astronomicamente elevate, convincere i Paesi a sedersi al tavolo delle trattative e, con l'eccezione della Cina, abbandonare le barriere commerciali più severe mentre l'America elabora nuovi accordi commerciali in tutto il mondo.
I mercati scettici sui tempi dell'agenda di Trump: basteranno 90 giorni per concludere 150 accordi?
Ma se questo era il piano - caratterizzato da una audacia che sembra rasentare l'incoscienza, visto quel che è accaduto in queste settimane - è l'agenda di Trump che desta molte perplessità, quando fissa in 90 giorni il tempo per raggiungere accordi sui dazi "reciproci", che in realtà reciproci non sono mai stati reciproci, con 150 Paesi o blocchi. Un numero enorme.
Quindi appena tre mesi per concludere accordi commerciali estremamente complessi con decine di Paesi che, a dire del presidente americano, sono in fila per negoziare, quasi genuflettendosi davanti a Trump.
I mercati però non prestano molta fiducia nelle scadenze temporali che il presidente americano si è poste e lo confermano le ondate di vendite, a causa dell'impennata della volatilità, e anche l'andamento di altri mercati, tra cui petrolio, obbligazioni e dollaro. Tessere del puzzle della grande finanza che stanno inviando un chiaro messaggio di profondo scetticismo sulla capacità di Trump di farcela.
Andando per singoli settori, il mercato del petrolio si sta muovendo come se stessimo entrando in recessione.
I prezzi sono crollati nel corso delle ultime due settimane perché gli investitori temevano che la politica commerciale di Trump potesse indebolire la domanda di viaggi, spedizioni e trasporti, tutti settori che necessitano di carburante.
Il petrolio statunitense è sceso a circa 60 dollari al barile, vicino al minimo di quattro anni. Il Brent, il benchmark globale, si aggira intorno ai 63 dollari al barile, anch'esso al minimo da aprile 2021.
Negli ultimi anni, i prezzi del petrolio sono stati un importante indicatore di recessione. Sono crollati dopo aver superato per la prima volta i 100 dollari al barile durante la Grande Recessione del 2008. E sono diventati negativi per la prima volta durante la pandemia, quando l'eccesso di petrolio è diventato così grave che i trader hanno letteralmente pagato i depositi per liberarsi del petrolio indesiderato.
Né segnali incoraggianti vengono dal dollaro, che anche oggi è in arretramento nei confronti dell'euro e della sterlina. Negli ultimi giorni, è crollato al livello più basso degli ultimi tre anni, cosa che è l'esatto contrario di quanto ci si aspetterebbe quando vengono introdotti i dazi, che, in genere, aumentano il valore della valuta locale perché incoraggiano i residenti ad acquistare prodotti fatti in casa anziché prodotti stranieri, facendo così fruttare di più il loro denaro rispetto ad altre valute.
Ma gli operatori di cambio hanno svenduto il dollaro perché credono che l'America pagherà il peso maggiore delle ricadute della guerra commerciale di Trump e finirà per essere relativamente più debole rispetto a prima dell'introduzione dei dazi.
Nel frattempo, venerdì, i prezzi dell'oro hanno superato il record di 3.200 dollari l'oncia troy. L'oro è salito di oltre il 21% quest'anno e ha appena registrato il suo miglior trimestre dal 1986. Il metallo giallo è considerato un bene rifugio in un contesto di incertezza economica e politica.