Politica

Violenza di genere, caro Presidente Meloni: fermiamoci tutti e ripartiamo da una presa di coscienza generale

di Demetrio Rodinò
 
Cosa ha fatto più sensazione ieri: le notizie che arrivavano dalle aule delle corti d'assise o le parole (ma sarebbe più giusto parlare di concetti) spiazzanti del presidente del consiglio sulle matrici del turpe fenomeno della violenza di genere?

Probabilmente quelle che hanno riguardato la condanna all'ergastolo per Alessandro Impagnatiello, che ha ucciso la sua compagna, Giulia Tramontano, che portava in grembo suo figlio, anch'esso vittima della furia dell'ex barman.

Una condanna annunciata, scontata, reclamata dal tribunale della gente che mette il sigillo su una storia in cui il senso distorto del potere dell'uomo sulla donna ha toccato il parossismo, non solo e non tanto per il gesto finale, quanto per la preparazione, per le ricerche in rete su come potere fare il male della sua compagna e uscirne fuori, senza che nessuno sospettasse di lui.

Alessandro Impagnatiello, forse in un tempo non lontano, quando anche la corte d'assise d'appello e la cassazione confermeranno la prima sentenza, finirà inghiottito in quel girone infernale degli uomini che, senza avere il coraggio delle proprie azioni o non accettando il ''no'' di quelle che erano le loro compagne o che lo erano solo nella loro mente, uccidono, non mostrando alcuna reazione davanti allo scorrere, in aula, del film dell'orrore di cui sono protagonisti.

E la stessa sorte aspetta Filippo Turetta, il giovane per bene, il figlio di una famiglia normale e forse anche felice, che, preda della gelosia e del senso di possesso, ha preferito uccidere la sua ex ragazza, Giulia Cecchettin, piuttosto che vederla allontanarsi da lui.

Per Turetta, che nella sua lucida ricostruzione di quanto ha fatto, non ha cercato attenuanti, non ha imboccato la strada del ''finto matto'' per alleggerire la sua colpa. E' responsabile dell'uccisione di Giulia, pianificando ogni gesto, anche l'insulto di chiuderne il cadavere in un sacco e gettarlo in una zona isolata. E per lui il pm ha chiesto l'ergastolo, quel ''fine pena mai'' che oggi riguarda altri profili di omicidi e che Turetta non finirà di scontare, tra molti anni, quando per lui si apriranno le porte del carcere, mentre il dolore della famiglia della sua vittima resta immutata.

Due storie sulle quali, da mesi, vanno in sollucchero le trasmissioni televisive che trasudano di particolari raccapriccianti solo per saziare la fame di crudeltà dei telespettatori; due capitoli dell'ormai sterminata letteratura della violenza contro le donne, su cui non si smetterà mai di parlare troppo.

Eppure, davanti all'enormità di questi eventi, c'è chi imbocca la strada della speculazioni politica o, in alternativa, della sottovalutazione, cadendo nel ricorso agli stereotipi.

Come ha fatto il presidente del consiglio che, nel corso di una intervista, ha ripetuto il ritornello che le violenze sessuali hanno una stretta correlazione all'immigrazione clandestina.

Su qual basi statistiche Giorgia Meloni dica questo non lo sappiamo, posto che le fonti del Ministero dell'Interno danno numeri e percentuali diverse. Ma a preoccuparci non è questo, quanto il fatto che, piuttosto che riportare in un alveo di ragionevolezza il dibattito scatenato dalle improvvide sortite sull'argomento del ministro Valditara, Meloni ha invece deciso di cavalcare il teorema tanto caro alla destra leghista, secondo il quale il male assoluto sono gli immigrati irregolari che, per ciò stesso, sono colpevoli di tutto.

Non è così, non perché lo diciamo noi, ma perché questo concetto cozza contro la realtà.

Perché, a fronte di immigrati irregolari che si macchiano di reati, ce ne sono mille volte di più che cercano di sopravvivere senza delinquere. E' forse un concetto difficile da metabolizzare per chi ha fatto una/più campagne elettorali all'insegna del ''dagli all'immigrato''.

Ma non lo può essere per la nostra presidente del Consiglio che, per il suo ruolo, per la delicatezza della situazione e per il prestigio personale di cui gode, dovrebbe farsi invece promotrice di una presa di coscienza generale, evitando di alimentare il rigetto verso chi non viene ritenuto meritevole di entrare nel nostro consesso sociale.

Allo stesso modo in cui nessun italiano è, per definizione, un potenziale stupratore, dobbiamo usare la stessa ragionevolezza verso chi vive nel nostro Paese senza averne diritto.
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