Tutti hanno diritto a dire quel che pensano, nel rispetto della legge (quindi senza falsità, minacce o insulti). Non lo diciamo noi, ma la nostra Costituzione che ha voluto dedicare uno specifico articolo, il 21, proprio a questo, proprio alla libertà di affermare il proprio pensiero senza che questo possa causare problemi concreti a chi se ne fa portatore.
L'ideona di Franceschini: contro le ingiustizie verso le donne, ai figli solo i cognomi delle madri...
''Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione'', scrissero i padri costituenti nella convinzione che, dopo il Ventennio (sì, signori miei, ci sono stati vent'anni in cui questo diritto era negato, ma oggi solo qualcuno se ne ricorda), sostenere una tesi non dovesse comportare repressioni o peggio.
Ma ogni tanto, credeteci, noi che guardiamo alla Costituzione come alla stella polare nella nostra società, abbiamo il sospetto che forse una stretta ai bulloni virtuali di questo sacrosanto principio, che evidentemente con gli anni si sono allentati, ci vorrebbe.
Ci perdoni il senatore Dario Franceschini, ma non ci convince affatto la sua proposta che, per sanare secoli di ''ingiustizia'' e ''discriminazione di genere'' di cui sono vittime le donne, basti dare ai figli il cognome delle madri.
Sorry, solo il cognome delle madri.
La proposta, che sarà depositata a breve, deve essere considerata come un risarcimento per le donne, nella evidente convinzione che basti questo inguacchio politico-anagrafico a sanare tutto.
Capiamoci: che le donne non possano più sopportare quello che, chi parla come i cattedratici di Oxford o Princeton, chiama gender gap è evidente, ma soprattutto ha ancora davanti a sé una strada lunga, anche se chi siede a Palazzo Chigi si chiama Giorgia Meloni, è donna, madre e qualche altra cosa.
Ma chiedere che i figli portino i cognomi delle sole madri a cosa serve?
Ma, vista la sua matrice ideologica, quale problema reale risolve?
La spiegazione di Franceschini ha una logica, ma solo per lui perché spiega che, facendo discendere il cognome solo per la componente femminile dei genitori, si eviterebbero i problemi, lo citiamo, ''con la gestione dei doppi cognomi o con la scelta tra quello del padre e quello della madre''.
Ora, con il rispetto che Franceschini (ma anche se si chiamasse Fanfulla da Lodi sarebbe lo stesso) merita, vorremmo dirgli che nei Paesi di lingua e cultura spagnola, dove tutti portano i cognomi dei due genitori, non è che ci sono suicidi di massa per la confusione o crisi di identità magari non ricordandosi come presentarsi se si stringe la mano di un estraneo.
''Dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre, stabiliamo che dalla nuova legge prenderanno il solo il cognome della madre. È una cosa semplice ed anche un risarcimento per una ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali delle disuguaglianze di genere'', ha scritto Franceschini sui social.
Una frase ad effetto, ma l'effetto è quello del boomerang perché se il cognome da solo fosse ''una delle fonti culturali delle diseguaglianze di genere'' significherebbe che cultura, sapienza, santità, capacità sono legate non alla persona, ma al come che lo si distingue all'anagrafe.
E poi, se pure passasse - e non passerà, statene certi - la proposta di Franceschini, in una stessa famiglia ci sarebbero figli che portano cognomi diversi a seconda dell'anno di nascita.
E questo sarebbe un rimedio alle disparità di genere?
Tacendo poi del fatto che non si cancellerebbe una presunta disparità, ma se ne cambierebbero gli addendi. Tanto, alla fine, la somma è la stessa.