Politica
Giorgia Meloni alle prese con le beghe tra Lega e Forza Italia
Redazione
L'immagine che si trae, ascoltando o leggendo dichiarazioni firmate da esponenti dei tre maggiori partiti della coalizione di maggioranza, è quella di un gruppo di rissanti che, a seconda delle circostanze e delle convenienze, usano la clava o il cesello. Oppure, per chi ama la letteratura, ricordano i capponi di Renzo che passano il tempo a beccarsi l'un con l'altro, perdendo di vista il loro presumibile triste destino.
Ma certo è che la ribadita, anche nelle ultime ore, coesione del governo appare come un artificio politico, per evitare che le polemiche interne indeboliscano un esecutivo che, in vista degli importanti impegni che si dovranno affrontare a breve (anche sul fronte europeo), ha invece bisogno di saldezza e, per quello che può valere questa affermazione in una direzione formalmente collegiale, di prospettive certe. E a questo che forse fa appello il richiamo di Fratelli d'Italia rivolta ai compagni di alleanza affinché la smettano e lavorino insieme, anche se le distanze attuali sembrano rendere improbabile una soluzione del genere almeno nel breve periodo e solo se il passo indietro di Lega e Forza Italia sia contestuale per evitare recriminazioni ulteriori.
Giorgia Meloni alle prese con le beghe tra Lega e Forza Italia
Però le bordate che, appena qualche ora fa, hanno continuato a spararsi Forza Italia e Lega (con Fratelli d'Italia e Giorgia Meloni a cercare da raccapezzarsi nel pantano dell'Ue in cui il Paese è politicamente finito), non è che siano rassicuranti per il futuro del governo che, di sicuro, continuerà a lavorare in spirito costruttivo, ma che non potrà reggere in eterno se chi ne fa parte coglie ogni occasione che gli presenti per attaccare chi gli sta accanto.
Da questo punto di vista le affermazioni della Lega dopo la rielezione di Ursula von der Leyen sono l'epitome di una strategia che vede nel continuo spostarsi all'estrema destra della compagine di governo il solo strumento che resta a Matteo Salvini per frenare la lenta, ma sfortunatamente per lui progressiva, erosione dei consensi, che confluiscono in FdI o in Forza Italia, a seconda del posizionamento dell'elettorale potenziale.
La scelta di Salvini è, comunque, coerente con quelle che sta portando avanti da anni e che il fare parte del governo (con una Giorgia Meloni convintamente atlantista e sostenitrice dell'Ucraina aggredita) non ha certo scalfito.
Che, emozionalmente, il segretario della Lega, al di là di qualche dichiarazione generica di condanna della Russia, si senta vicino a Putin è abbastanza evidente e su questa linea sono concordi (o appiattiti) i vertici del partito - gli stessi che lui ha voluto intorno a sé, dopo avere spazzato l'opposizione interna - , che, non facendo parte del governo, si sentono autorizzati a dire di tutto e di più contro la guerra, senza entrare nel merito della genesi, con affermazioni che talvolta appaiono formulate sono per cercare lo scontro.
La conferma di Ursula von der Leyen ha costituito l'ennesima occasione per Matteo Salvini e per la Lega di marcare le differenze soprattutto con Forza Italia, colpevole di appartenere alla famiglia europea del Ppe e, quindi, di avere sostenuto il secondo mandato di ''VdL'', come se Tajani potesse decidere in modo diverso.
Con un distinguo, sul quale, come da prassi, si potrà dire di essere stati fraintesi.
Per la Lega il voto alla presidente uscente ha una sola, palese, umiliante spiegazione: uno scambio di favori, al fine di ottenere qualche prebenda politica. Come incarichi di peso, le celeberrime ''poltrone'' di cui nessuno dice di essere alla ricerca, ma che poi tornano ad occupare pensieri e opere.
Ora che queste cose si dicano tra avversari si può accettare, sempre che siano rispettate le forme e l'educazione, ma che lo si dica di partiti alleati, con i quali domani ci si dovrà sedere accanto a Palazzo Chigi, è il sintomo di qualcosa di ben più grave che una polemicuccia.
Né la risposta di Forza Italia è stata meno puntuta, solo rinviando quella che, nelle prossime settimane, potrebbe essere una sanguinosa, politicamente parlando, resa dei conti. Anche perché, in questo momento, Antonio Tajani, dopo la soddisfazione per il voto per la presidente dalla commissione, deve fare i conti con il suo partito. Non quello che lo ha acclamato presidente, ma quello vero, quello che, come si dice a Roma, ci mette i soldi. Parliamo della famiglia Berlusconi che, pare, non gradisca molto, da azionista di riferimento di Forza Italia, l'appiattimento del partito sulle posizioni di Giorgia Meloni e, soprattutto, le scelte del presidente del Consiglio in materie (come il futuro della Rai - che impatta su Mediaset direttamente - e la distribuzione di cariche e incarichi e altre amenità del genere) che, se gestite da un solo soggetto della coalizione di governo, indeboliscono gli altri.