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Medio Oriente: ma nessuno riesce a fermare Netanyahu?

Diego Minuti
 
Medio Oriente: ma nessuno riesce a fermare Netanyahu?

L'ultima minaccia, in ordine di tempo, del governo israeliano è rivolta a Teheran, che, dice il ministro della Difesa, Katz, potrebbe fare la fine di Hamas. E' ormai palese che Benjamin Netanyahu, forte dell'appoggio degli Stati Uniti e della cortese disattenzione di molti governi occidentali (intendendo, per Occidente, quell'area geograficamente non definita in cui ci sono Paesi industrializzati e, si spera, democratici), vuole portare avanti politiche di distruzione, non distinguendo però gli obiettivi tra chiaramente civili e militari, anche se lui spesso e volentieri mischia le due categorie, colpendo laddove pensa che ci siano nemici armati e non pensando che spesso a pagarne le conseguenze sono persone loro malgrado coinvolte nella guerra.

Medio Oriente: ma nessuno riesce a fermare Netanyahu?

Coinvolte magari solo per frequentare luoghi pubblici che si trovano accanto a basi o postazioni di guerriglieri di vario coloro (Hamas, Hezbollah, Jihad islamica, Houti).
La strategia di Netanyahu, nel tempo, ha perso la connotazione iniziale, quella di garantire agli israeliani la sicurezza, perché ora gli obiettivi sembrano altri ed è difficile accettare che il loro perseguimento passi per la distruzione di un popolo, che può essere anche nemico, ma in chi lo rappresenta, non nella sua totalità.

Il premier israeliano e la canea di estremisti che ne applaudono ogni mossa, anche la più mortifera, sembrano avere fatto loro uno dei principi più balordi del vivere umano, considerare la parte per l'insieme. Quindi, se Hamas è fatto da islamisti armati, che non si fermano davanti a nulla, e controlla Gaza, per lui, alla luce di una distorta concezione della proprietà transitiva, tutti i gazawi sono terroristi e devono essere messi nella condizione di non nuocere.

Per ''Bibi'' i modi sono diversi, ma tutti mortalmente efficaci, pur di creare una immensa zona cuscinetto e, quindi, apparentemente, mettere in sicurezza i confini.

Idea apprezzabile, da punto di vista militare, ma che non garantisce un bel nulla, visto che Israele ha perso l'aura di intoccabile quando un missile, lanciato dallo Yemen dai ribelli Houti, ha fatto migliaia di chilometri per cadere a pochissima distanza dall'aeroporto Ben Gurion a Tel Aviv. Che poi il missile non abbia fatto che solo pochi danni non sposta l'evidenza: Israele non è affatto al riparto dagli attacchi e Iron Dome non sempre può fare da scudo.

Ma ormai è chiaro che Netanyahu vuole cancellare i palestinesi intorno ad Israele, costringerli a cercarsi un'altra terra, dimenticando le lezioni che la Storia ha impartito a molti popoli, a cominciare dal suo.
Spingere i palestinesi ad andarsene con le bombe e con la fame, con la mancanza di farmaci e cure e di una casa degna di potere essere chiamata così, non è frutto di scelte politiche, ma di una strategia di annientamento.
Contro di essa sempre più voci si levano, senza che questo induca il primo ministro israeliano a recedere e magari assumersi - dal momento che è lui il capo - la responsabilità politica e morale di non avere saputo difendere la sua gente dalla orrenda azione di Hamas e di altri gruppi islamisti, il sette ottobre di due anni fa.

Le stragi nei kibbutz e al festival di musica nel deserto hanno un responsabile materiale, Hamas, ma ce n'è un altro che cerca di evitare processi politici, dicendo che vuole solo riportare a casa gli ostaggi vivi e i resti di quelli morti in prigionia. E per fare questo chiude il rubinetto del cibo, di quello che, ogni giorno, per ore, mette in fila bambini di ogni età, con una pentola in mano, per elemosinare un mestolo di riso, di qualcosa da mettere in pancia.

Quanto dolore negli sguardi di quei bambini, che spesso piangono perché qualcuno li schiaccia per prendere il loro posto, ma anche perché quelle poche cucchiaiate di zuppa possono essere le uniche che mangeranno loro e la famiglia e non possono permettersi di non portarle a casa.
Benjamin Netanyahu è un politico, un ex militare, e anche un padre. Ma lui, il suo figliolo preferito Yair lo ha mandato negli Stati Uniti, in Florida, quasi dirimpettaio di Trump, evitandogli magari d'essere richiamato alle armi. Questo sì che è amore di padre.

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