Attualità

Medio Oriente: l'Italia è ormai un Paese sull'orlo di una crisi di nervi

di Demetrio Rodinò
 
Medio Oriente: l'Italia è ormai un Paese sull'orlo di una crisi di nervi

Per chi bazzica, ahinoi, ormai da qualche decennio le cose di casa nostra, le manifestazioni di piazza, dove ci si schiera contro una cosa o qualcuno o anche a favore, tanto l'effetto è lo stesso, sono una consuetudine da cui è difficile staccarsi. Chi, ad esempio, vive a Roma - che, da Capitale, deve anche farsi carico di questo - , vedere le strade bloccate da un corteo è cosa frequente, perché è giusto dare a tutti il diritto di protestare, anche se poi, alla fine, qualcuno ne pagherà le conseguenze pratiche.

Medio Oriente: l'Italia è ormai un Paese sull'orlo di una crisi di nervi

Il caso della Palestina è da questo punto di vista la conferma plastica, in termini di immagine, di come l'Italia stia vivendo il dramma di un popolo e di come voglia dire la sua, con tutti gli strumenti, magari anche sbagliati, ma nel rispetto del dialogo.

E appunto ''dialogo'' è la parola che, nel lessico quotidiano, sembra avere perso di significato perché, a conferma della rissosità delle nostre piccole agorà quali sono le trasmissioni televisive, non sembra perdersi l'occasione per buttarla in caciara o addirittura in rissa, che fino ad oggi è stata verbale, ma che ha anche rischiato di trascendere. Anche se noi italiani siamo bravi a fermarci un istante prima dello scontro fisico.

I talkshow nostrani ormai sono diventati questo e traducono, in uno studio televisivo, quel che accade in altre sedi, riproducendo un microcosmo fatto di urla e minacce, che fanno sembrare quel che un tempo era il simbolo del trash televisivo, l'americana arena dei gladiatori che aveva Jerry Springer come officiante, quasi una riunione in parrocchia, preparatoria del catechismo.

Prendiamo quel che è accaduto durante un confronto televisivo cui partecipavamo Daniele Capezzone, direttore editoriale di Libero, e Luca Telese, giornalista e direttore de Il Centro, e che aveva come tema le vicende mediorientali. Quando Capezzone ha affermato, citando fonti giornalistiche, che Flotilla è stata finanziata da Hamas, Telese - che ha sposato tesi assolutamente opposte - gli si è avvicinato per mostrargli un giornale, dando il via ad un breve quanto acceso scontro verbale, conclusosi con il secondo che ha abbandonato lo studio, dove peraltro (erano a La7) anche lui è un padrone di casa.

Partendo dal fatto che abbandonare una trasmissione non è mai bello o costruttivo (lasciando campo libero all'avversario) , lo ''scazzo'' è stato il momento iconico del talkshow, ma anche la prova provata che ormai tutto quel che è argomento di discussione e che riguarda il Medio Oriente sia una miscela esplosiva, pronta a deflagrare e a cancellare rispetto ed educazione.

Quindi, ed è amaro constatarlo, se due persone che si presuppone, per il ruolo che hanno nella società, finiscono a botte di insulti, tra ''fascista rosso'' (bellissima definizione, ci riporta indietro di qualche anno...) e ''stai a cuccia'', come se ci si rivolgesse al botolo di casa, non ci si può certo sorprendere che nelle piazze si arrivi a tutto: celebrare la mattanza del 7 ottobre come un momento della resistenza palestinese e non invece al massacro che è stato; insozzare la statua di Giovanni Paolo II (bollato, semplicemente, come ''fascista di merda''); distruggere quel che poteva essere distrutto; la risposta dello Stato muscolare il giusto, ma forse anche andando oltre la normale dinamica delle manifestazioni di piazza, con tutte le giustificazioni che il caso imponeva.

Guardandoci intorno vediamo che ormai l'Italia sembra affidare alla virulenza delle parole e a quella degli atti la sua protesta contro il nemico di turno, contro l'avversario da combattere e, contemporaneamente, ami ignorare che questo possa, alla fine, dimostrarsi il brodo di coltura di qualcosa che il nostro passato ha pagato col sangue e con la paura quotidiana.

Non vogliano essere profeti di sventure, ma ci sembra giunto il momento chiedere a tutti che i toni si abbassino, a cominciare dai vertici politici dello Stato, che, forti del potere parlamentare, dovrebbero capire che proseguendo su questa strada - quella delle dichiarazioni di guerra e non invece della ricerca della composizione dei contrasti - si corre un rischio enorme.

Perché se la Palestina è lontana e la Flotilla è stata una operazione politica, in cui l'aspetto umanitario era assolutamente marginale, qualcuno potrebbe trarne spunto e forza per armare le proprie idee. E quando parliamo di ''armare'' ci riferiamo a quel ''salto di qualità'' che non ci portò ad un passo dalla guerra civile (come una certa narrazione ancora oggi vuole sostenere), ma all'aggiornamento quotidiano di vittime della violenza terroristica.

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