Economia

Italia: nel 3° trimestre minore spinta dai servizi, meno debole l'industria, ancora male l'export

Confindustria
 

Cresce il PIL. Dopo il +0,2% registrato dal PIL italiano nel 2° trimestre 2024 (+0,3% nel 1°), con l’export che perde quota, le indicazioni per il 3° sono di minore crescita nei servizi e di un’attenuazione nel calo dell’industria. L’inflazione rallenta nell’Eurozona e finalmente famiglie e imprese saranno aiutate dal taglio dei tassi, che stimola consumi e investimenti. Risale però il prezzo del gas in Europa.

In discesa i tassi. La BCE, che aveva tagliato a giugno (di -0,25%), il 12 settembre ha deciso un secondo taglio dei tassi (ancora -0,25%). I mercati si aspettano il 18 una prima mossa FED, anch’essa limitata (-0,25%), ma seguita da altri tagli entro fine anno. Nell’Eurozona anche i tassi sovrani hanno imboccato un sentiero decrescente: BTP a 3,58%, da 3,92% a giugno, Bund a 2,22% da 2,49%.

Inflazione quasi in linea. Nell’Eurozona l’inflazione è scesa a +2,2% in agosto (+2,6% a luglio), vicina alla soglia BCE, anche se al netto di energia e alimentari è al +2,8%. L’Italia si conferma il paese a minor inflazione: +1,1% (core a +2,1%), contro +2,0% in Germania, +2,2% in Francia, +2,4% in Spagna. Anche negli USA gli ultimi dati sono favorevoli: +2,9% a luglio (da +3,5% a marzo), ma core ancora alta (+3,2%).

Energia: rincara il gas. Dopo il balzo in agosto (+17,2%), a settembre il prezzo del gas in Europa si mantiene a 36 €/mwh, da un minimo di 27 a marzo. Scende invece quello del petrolio, a 74 dollari al barile, da un massimo di 90 in aprile. Entrambi i prezzi sono più alti rispetto ai livelli del 2019. Il gas più caro alzerà i prezzi dell’elettricità per famiglie e imprese, agendo negativamente sull’inflazione.

I servizi rallentano. Nel 2° trimestre i servizi erano cresciuti (+0,4% il valore aggiunto), con il traino del turismo (+2,7% annuo a giugno la spesa degli stranieri). A luglio, RTT (CSC-TeamSystem) indica un recupero del fatturato dopo il calo di giugno. Tuttavia, in agosto, il PMI è calato ancora e ora indica crescita più tenue (51,4 da 51,7) e recupera solo in parte la fiducia delle imprese dopo mesi di calo.

Industria: minor calo. La produzione, dopo due mesi in recupero, è diminuita di -0,9% a luglio, determinando un acquisito negativo anche nel 3° (-0,4%, da -0,9% nel 2°). Le prospettive sono meno deboli: RTT segnala a luglio un rimbalzo del fatturato industriale, in agosto l’HCOB PMI ha quasi recuperato la soglia di stabilità (49,4, da 47,4), ma la fiducia delle imprese ha perso ulteriore terreno.

Adagio i consumi. La spesa delle famiglie nel 2° (+0,2%) ha proseguito la lenta dinamica positiva. Prospettive modeste: il reddito reale è sostenuto dalla frenata dei prezzi, dalla moderata crescita salariale e dall’aumento dell’occupazione, la propensione al risparmio è risalita a valori storici, il costo del credito è in calo, ma la fiducia delle famiglie è diminuita in agosto dopo tre aumenti.

Ancora positiva la dinamica degli investimenti. Nel 2° trimestre sono cresciuti di +0,3% (da +0,4% nel 1°). Buona la dinamica di impianti e macchinari (+1,1%), trainati dai mezzi di trasporto (+1,7%). Quelli in costruzioni sono invece rimasti fermi: il calo delle abitazioni (-1,1%), per il venir meno del Superbonus, è stato compensato dall’incremento dei fabbricati non residenziali (+1,8%), sostenuti dal PNRR.

Su gli occupati, non le forze lavoro. Prosegue la buona performance del mercato del lavoro italiano: ancora su l’occupazione (a luglio +56mila unità, +260mila su gennaio) e giù la disoccupazione (-107mila le persone in cerca di occupazione; al 6,5% il tasso, il più basso da marzo 2008). Tuttavia, da inizio 2024 gli inattivi hanno smesso di diminuire e le forze lavoro di espandersi, con il rischio che la crescita occupazionale possa essere limitata nel prossimo futuro dal lato dell’offerta di lavoro.

Export in calo. L’export italiano è diminuito nel 2° trimestre (-1,8% i beni, -0,3% i servizi; in volume), pur su livelli ben sopra il pre-Covid (+7,1% i beni, +18,4% i servizi). Il calo è diffuso ai mercati UE (-2,1%) ed extra-UE (-0,8%); giù in particolare le vendite in Germania e nei principali paesi asiatici. I dati sugli ordini manifatturieri esteri (Istat e PMI) danno indicazioni negative anche per i mesi estivi: pesa la debolezza della domanda europea. Il commercio mondiale di beni, invece, è risalito nel 2°, sostenuto dagli scambi cinesi; tuttavia, il PMI sugli ordini manifatturieri globali è tornato in territorio recessivo in estate.

 

Eurozona debole. Nel 2° trimestre il PIL dell’area è cresciuto di +0,2% (+0,3% nel 1°) grazie al contributo della spesa pubblica, ma soprattutto alla domanda estera netta (+0,5%) che ha compensato il calo degli investimenti (-0,5%), mentre è calata di poco la spesa delle famiglie. L’area è trainata dalla Spagna (+0,8%), tengono Italia e Francia (+0,2%), mentre è in negativo la Germania (-0,1%).

Cina: luci e ombre. Le esportazioni accelerano più dell’atteso (+8,7% annuo in agosto): le imprese cinesi potrebbero aver adottato strategie per anticipare l’intensificarsi delle barriere tariffarie. D’altra parte, l’import resta al palo (+0,5%): oltre alla competitività delle imprese locali, ciò si spiega con la debole domanda interna. A luglio le vendite al dettaglio sono cresciute (+2,7% annuo), risultato però gonfiato da un “effetto base” positivo rispetto allo scorso anno, debole in confronto ai livelli pre-Covid.

Gli USA sono davvero a rischio recessione? 

In estate crollo dei mercati asiatici. Le Borse azionarie asiatiche hanno registrato un crollo il 5 agosto: in particolare, Tokyo ha subito un -12,4% in un giorno. Tale scivolone, dovuto all’aumento di luglio dei tassi ufficiali giapponesi e alla seguente brusca riduzione del fenomeno del carry trade (prendere a prestito in Yen a tassi bassi per investire in Dollari a tassi alti), che ha creato volatilità, a livello mediatico è stato collegato ai timori di una  recessione negli USA. I ribassi in Europa e negli USA si sono rivelati molto più contenuti (-2,2%).

Perché il crollo in Giappone è stato associato a una  recessione USA? Da tempo si manifestano dei timori di un’eventuale inversione di tendenza dell’economia USA, che però ha sempre sorpreso in positivo. La FED appena a giugno aveva confermato le previsioni di buona crescita economica negli USA (+2,1% il PIL nel 2024, +2,0% nel 2025), nonostante scontasse un sentiero di riduzione lenta dei propri tassi (che attualmente si collocano nella forchetta 5,25-5,50%). Ma poi, proprio mentre il mercato azionario di Tokyo a fine luglio/inizio agosto crollava, sono stati pubblicati alcuni dati economici statunitensi piuttosto deboli, che sono sembrati una “prova” di quei timori latenti. E i cali di Borsa sembravano essere la “controprova”. 

Quali dati sugli USA hanno spaventato i mercati? A fine luglio, l’indice dei Direttori degli acquisti di Chicago è sceso a 45,3 punti da 47,3 e il 1 agosto il PMI manifatturiero a 49,6 da 51,6, anche se entrambi sono diminuiti in misura minore di quanto si attendessero gli operatori (44,8 e 49,5). Il dato che ha scosso la fiducia degli operatori è stato l’ISM manifatturiero, pubblicato sempre giovedì 1 agosto: si è confermato su valori recessivi (46,8 punti), in forte calo rispetto a giugno (48,5) e soprattutto molto inferiore alle attese che erano addirittura di contenuto recupero (48,8). Il giorno successivo, venerdì 2 agosto, la variazione dei posti di lavoro nei settori non agricoli (uno degli indicatori più monitorati sull’economia USA) è stata una sorpresa sfavorevole, o meglio meno favorevole di quanto pensassero gli operatori di mercato: 114 mila unità, da 179 mila di giugno, e molto inferiore alle 176 mila attese. Contestualmente, il tasso di disoccupazione è aumentato al 4,3% (da 4,1% di giugno e contro la stabilità attesa). 

I dati successivi sugli USA hanno attenuato la tensione. Gli indicatori macro pubblicati nelle settimane successive hanno fornito indicazioni incoraggianti dal lato dei servizi, ancora di rallentamento nel mercato del lavoro, deludenti sull’attività manifatturiera. Ad agosto, l’ISM non manifatturiero (51,5 punti, da 48,8 di giugno) e il PMI servizi (55,7 da 55,3) hanno confermato un’indicazione espansiva. E la fiducia dei consumatori è cresciuta (103,3 punti da 101,9). Le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono state inferiori alle attese, ma la deludente variazione degli occupati nei settori non agricoli (+142 mila) ha confermato la frenata del mercato del lavoro. D’altra parte, la produzione industriale si è contratta a giugno dello 0,6%, mentre gli indicatori congiunturali sull’attività di agosto sono stati recessivi. 

Quindi, l’economia USA rischia una recessione? Il PIL USA nel 2° trimestre è cresciuto più delle attese (+0,75%), grazie ad un buon contributo dei consumi (+0,5%) e alla crescita pur rallentata degli investimenti (+0,13%). L’andamento dell’economia americana in questa fase dipende, quindi, soprattutto dalla tenuta dei consumi e dal possibile recupero degli investimenti. I primi però evidenziano qualche segnale di tensione: 1) il tasso di risparmio ha toccato il minimo storico (2,9%) e dovrebbe risalire; 2) sono aumentate le insolvenze sulle carte di credito e il credito al consumo; 3) le vendite al dettaglio stanno crescendo più dei salari reali; 4) se si confermasse il rallentamento del mercato del lavoro, ne risentirebbero le retribuzioni. D’altra parte, la debolezza dell’attività manifatturiera e degli investimenti, soprattutto nel settore delle costruzioni, dipende dai tassi elevati. Dopo i recenti timori per le Borse, gli operatori (dati CME) si aspettano che i tassi di interesse FED siano tagliati a settembre e di nuovo entro dicembre fino a 4,25-4,50: un punto di arrivo più basso di mezzo punto, rispetto a quanto si attendevano nella prima parte di luglio. L’idea dei mercati pare essere che la FED dovrà tagliare di più, per sostenere un’economia USA giudicata in difficoltà, in bilico tra soft landing (che sembra lo scenario più probabile, in base ai dati attuali) e una stagnazione/mild recession.

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