Quando muore un giovane, quale che ne sia la causa, il mondo perde un pezzo del suo futuro, perché è sui nostri ragazzi che abbiamo l'obbligo di sperare. Sperare che rendano un po' migliore questo mondo che si sta uccidendo con le sue mani, tra guerre e scelte contrarie ad ogni logica, ma che favoriscono chi ha il potere economico e ne vuole ancora di più.
Andare a 250 km all'ora, sorridendo alla morte
E mentre c'è chi muore per riversare la sua passione su una squadra di calcio o per avere difeso un amico, magari per dividere chi si sta picchiando, c'è anche chi muore inseguendo il mito della velocità, pensando che andare più forte sia la strada più corta verso la felicità. Correre, sempre di più, anche sapendo che pigiare il piede sull'acceleratore è come mettere, nel tamburo di un revolver, un altro proiettile per aumentare il pericolo di una roulette russa.
Sapere che i tre ragazzi morti in provincia di Brindisi perché l'automobile su cui viaggiavano era lanciata a 250 chilometri all'ora fa dapprima scattare la più scontata delle reazioni, del tipo ''se la sono cercata'', ma dopo fa riflettere su cosa spinga dei ragazzi a sfidare la morte.
Perché chi era alla guida - probabilmente il giovane, le altre vittime erano due ragazze - non poteva non capire che il bolide che aveva per le mani, anche se può correre tanto, era costretto tra strade che non sono fatte per quelle velocità, perché ad ogni angolo si può nascondere una trappola mortale: un dosso, una buca, un albero troppo vicino, del pietrisco sull'asfalto.
Tutte variabili che un guidatore esperto mette in conto, anche se poi lancia la macchina a velocità folle. Ma i nostri giovani, non necessariamente i tre bravi ragazzi morti nel brindisino, sembrano avere chiuso, nella cantina della mente, la percezione del pericolo, cercando sempre una vita al limite.
Che in Puglia è stato un mostro da centinaia di cavalli, a Monreale è stata una pistola infilata in tasca e tirata fuori durante una zuffa, finita con tre ventenni uccisi.
Il problema non è, quindi, dei singoli ragazzi, della loro estrazione sociale o del contesto familiare nel quale sono cresciuti e si sono formati. Il problema è che questo società propone modelli sempre più portati al limite, quasi che arrivare alla fine della scogliera, con il dirupo sotto a ipnotizzarti, sia diventato un modo per sentirsi vivi, importanti, realizzati. Un bungee jumping, senza l'elastico che ti riporta su.
I ragazzi morti in Puglia stavano vivendo la loro serata della vita, belli, giovani e allegri, dentro un'auto da sogno che mai avrebbero potuto forse permettersi, ma che si erano regalati per poche ore per mostrarsi in giro, per potere un giorno ricordarsi di averlo fatto, di avere fatto capire al mondo quel che avrebbero voluto essere e che non erano.
Luigi, Karina e Sara domani saranno presto dimenticati al di fuori del cerchio della loro famiglia e dei loro amici. La stessa fine che faranno Salvatore, Andrea e Massimo, che hanno irrorato col loro giovane sangue la piazza principale di Monreale. Oggi li piangiamo, domani saranno una statistica che gli altri, i ''grandi'', non sapranno essere un esempio positivo.
Belle parole che le prossime lacrime cancelleranno.