L’industria del fintech sta entrando in una nuova fase del mercato, e azzardando una similitudine con il mondo farmaceutico, potremmo classificarla come fase III. Dopo oltre un decennio di generazione impetuosa di idee, startup e nuovi prodotti tecnologici applicati al settore finanziario, dopo numerosi esperimenti, riuscite e fallimenti, oggi le tecnologie digitali applicate alla finanza, ai prestiti e ai servizi bancari in generale sono sempre meno un fenomeno sperimentale e sempre più una funzione integrata all’interno delle banche tradizionali. O perché gli stessi istituti bancari sviluppano modelli e sistemi digitali avanzati per stare al passo con le richieste dei clienti, che siano business o consumer, o perché li acquisiscono sul mercato internalizzando i servizi e le funzioni.
In generale si nota che il settore finanziario sta attraversando una profonda trasformazione guidata esclusivamente dal comparto fintech. È merito di queste aziende tecnologiche innovative se si sta ridefinendo il modo in cui i servizi finanziari vengono erogati, e se sul mercato sono disponibili soluzioni e prodotti sempre più veloci, flessibili e accessibili rispetto alle proposte dei tradizionali istituti bancari. Questo modello di integrazione tra piccole aziende innovative e grandi player consolidati non è esclusivo del settore finanziario. Possiamo trovare esempi simili in altri ambiti ad alta tecnologia. Si pensi a quello che è successo nel settore farmaceutico, dove le piccole biotech hanno permesso di sviluppare nuovi farmaci innovativi che vengono poi prodotti e commercializzati dalle grandi case farmaceutiche. O nell'industria automobilistica: le startup che lavorano su veicoli elettrici e a guida autonoma collaborano con i grandi costruttori per portare queste tecnologie sul mercato. Infine nel campo della tecnologia, le piccole aziende innovative in settori come l'intelligenza artificiale e la blockchain vengono spesso acquisite o entrano in partnership con i giganti del tech come Google, Apple e Microsoft.
Fintech in “fase III”: da sperimentatori a industrializzatori
Le aziende fintech operano in modo simile alle startup di altri settori ad alta tecnologia. Sono agili, focalizzate sull'innovazione e spesso partono da piccole dimensioni per sviluppare soluzioni all'avanguardia. Questo approccio può essere paragonato al settore farmaceutico, dove le piccole biotech si concentrano sulla ricerca e sviluppo di nuovi farmaci, mentre le grandi case farmaceutiche si occupano della produzione e della commercializzazione su larga scala.
Allo stesso modo, le Fintech stanno creando nuovi modelli di business e tecnologie disruptive nel campo dei servizi finanziari, mentre le banche tradizionali possono sfruttare la loro solidità patrimoniale, la base clienti e la regolamentazione per portare queste innovazioni sul mercato su vasta scala.
Tutti i vantaggi della collaborazione tra banche e sviluppatori di tecnologie
Questa integrazione tra fintech e banche tradizionali porta vantaggi per entrambe le parti. Le fintech possono accedere a risorse, clienti e infrastrutture delle banche, mentre queste ultime possono beneficiare dell'innovazione e dell'agilità delle startup tecnologiche. Numerosi esempi di partnership di successo dimostrano come questa collaborazione possa funzionare. Ad esempio, la banca Barclays ha lanciato un programma di accelerazione per fintech, mentre Santander ha acquisito la startup Ebury per espandere la propria offerta digitale e NatWest è diventata socio di maggioranza di Vodeno per sviluppare servizi di Banking-as-a-Service. E perché non citare il caso di Banca Valsabbina che ha rilevato il 100% di Prestiamoci, la piattaforma digitale di consumer lending; oppure Azimut e Banca Sella che hanno investito in Young Platform, la startup fintech per la compravendita di criptovalute. E ancora Intesa Sanpaolo si è spinta oltre con il lancio di Isybank, banca digitale del gruppo che punta a 4 milioni di clienti con l’obiettivo di diventare punto di riferimento di chi non usa le filiali. Non da ultimo anche l’operazione che ci ha visto protagonisti con Generalfinance. La società quotata su Euronext STAR Milan e specializzata nel factoring per le PMI, ha acquisito il 96% di Workinvoice, pioniere del trading di fatture. Un’unione articolata ma completa che integra quattro partner chiave: Workinvoice con la sua tecnologia innovativa, Generalfinance con risorse e capitale, CRIF con dati e modelli di rischio avanzati, e Banco Desio con una vasta rete di distribuzione. Questa sinergia crea una potente piattaforma, migliorando le capacità operative e offrendo soluzioni di finanziamento avanzate e personalizzate alle PMI.
Previsioni di crescita del settore (dati estratti da report McKinsey)
I numeri mostrano chiaramente quanto spiegato sopra. Nel 2022, le fintech hanno rappresentato il 5 percento dei ricavi netti del settore bancario globale (tra 150 e 205 miliardi di dollari). Le stime prevedono che questa quota possa aumentare a più di 400 miliardi di dollari entro il 2028, rappresentando un tasso di crescita annuale del 15 percento dei ricavi delle fintech tra il 2022 e il 2028, tre volte il tasso di crescita dell'intero settore bancario, che è approssimativamente del 6 per cento.
Questi numeri, se inquadrati nel contesto italiano e in particolare nel settore delle Pmi che hanno fame di liquidità, lasciano immaginare ampi spazi di crescita soprattutto per il fintech lending, di cui Workinvoice è leader. Secondo l’analisi realizzata assieme all’Osservatorio Supply Chain del Politecnico di Milano, il 56% delle Pmi ha bisogno di liquidità entro una settimana il 31% entro due giorni, ma solo il 3% conosce la Supply chain finance. Il 72% degli imprenditori si rivolge alle banche e il 15% al proprio commercialista, che spesso non hanno gli strumenti per dare risposte adeguate in tempi rapidi. Con l’integrazione tra banche e fintech questi strumenti avranno ricadute molto più ampie, con vantaggio sia per gli erogatori, sia in generale per il sistema economico.