Salute
La fotografia come terapia: così Dola ha sconfitto la depressione post partum e i suoi demoni
Redazione
La depressione post partum è da tempo immemore un tabù: una (buona) madre non può essere depressa dopo un evento felice come una nascita. Deve anzi essere gioiosa, grata alla vita per avere avuto un dono che tante non hanno, con quasi la stessa logica di quando si diceva ai bambini ''pensa all’Africa e mangia le verdure''.
Quando una donna soffre di depressione post partum spesso si tende a ignorarla pensando erroneamente che la situazione si risolverà da sé: una convinzione scellerata, che ha anche portato a fatti di cronaca in cui le ammissioni tardive, come ''dopo il parto in effetti non è stata più la stessa'' servono a ben poco.
La fotografia come terapia: così Dola ha sconfitto la depressione post partum e i suoi demoni
Quello che serve invece è parlarne: ad esporsi sono sempre più personaggi dello spettacolo, forti certamente di privilegi e supporti cui le comuni mortali non hanno accesso ma senz'altro coraggiose.
A partire da Gwyneth Paltrow, attrice Premio Oscar e imprenditrice, che dopo la nascita del secondogenito Moses, oggi dodicenne, dichiarò: ''Per me è stato davvero sconvolgente perché non avrei mai immaginato di avere una depressione post partum. Ero così euforica dopo la nascita di Apple, ho pensato che sarebbe successo anche con Moses. Invece sono davvero caduta in un posto buio. Mi sentivo uno zombie scollegato dal mondo incapace di provare emozioni''.
Segno che qualcosa, sotto l’egida del dialogo, comincia ad essere sdoganato.
Dola Posh, fotografa inglese di origine nigeriana, ha affidato il racconto della sua caduta ''in un luogo oscuro'' alla BBC ricordando il periodo in cui, dopo aver partorito, ''non sapevo più chi fossi'': sei giorni dopo la nascita della figlia, era sul letto di un ospedale inglese, in pieno lockdown dovuto al Covid.
Impossibilitati a farle visita, i parenti continuavano a chiamare per controllare lei e la neonata e, dopo una gravidanza difficile, Dola si sentiva sotto pressione. mentre sua madre si trovava a migliaia di chilometri di distanza, nel posto che aveva lasciato due anni prima: Lagos, la città più grande della Nigeria.
Intanto, Dola si chiedeva se avrebbe potuto ricominciare a fare ciò che amava: scattare fotografie. “Pensavo: Sono io; la bambina è nata, sono ancora io. Ma non ero più io".
La perdita di identità può essere una delle cause della depressione postnatale, che colpisce in modo sproporzionato le donne di colore. Sebbene non lo riconoscesse all'epoca, era questo il ''pozzo nero'' in cui Dola era scivolata dopo la nascita della figlia. E quando è uscita dall'ospedale, è stata quasi immediatamente subissata di consigli non richiesti: "Troppe chiacchiere, troppo controllo su come avrei dovuto crescere il bambino. In un modo che ha influenzato anche la mia mente. Mi ha fatto sentire come se non sapessi cosa stavo facendo. Non mi è stata data la possibilità di essere una madre".
Una notte, mentre si sentiva, anche lei, come uno zombie a causa della mancanza di sonno, dell'isolamento e della monotonia della sua nuova esistenza, una voce nella sua testa le disse di togliersi la vita. Fortunatamente decise invece di telefonare alla sua infermiera che accettò di passare da lei, convincendola a consultare uno psicologo, che la incoraggiò a usare la macchina fotografica per affrontare i suoi sentimenti. Dopo aver imparato il mestiere in Nigeria, mentre studiava per conseguire la laurea in biologia marina, Dola ha iniziato a costruirsi una reputazione nel mondo maschile di Lagos della fotografia di moda e celebrità. La sua terapia è stata puntare l'obiettivo su sé stessa e, utilizzando un'app sul suo telefono per controllare a distanza la fotocamera, ha iniziato a produrre un portfolio di scatti di lei con Monioluwa, la figlia.
Cresciuta in una famiglia religiosa, soltanto in seguito Dola ha ricollegato i suoi ritratti di madre con uno dei motivi fondamentali della tradizione artistica e il velo, che faceva parte del suo essere religiosa, è diventato un elemento essenziale del suo lavoro: "Quando ho indossato il velo, non mi sentivo più quella persona vuota. Mi sentivo più me stessa. Mi stavo ricollegando alla mia famiglia, sentivo di avere la loro essenza con me." E quando ha iniziato a condividere la sua storia, ha detto: "Si è aperta per me la porta per non provare più vergogna. Ora sto iniziando a lavorare sulle storie di ciò che è realmente accaduto e dell'oscurità, di come ne sono uscita, e cerco di descriverlo attraverso le immagini". All’inizio del 2024 Dola ha vinto un premio sponsorizzato da Leica che le ha consentito di continuare la sua serie di fotografie e di incoraggiare le donne, in particolare quelle di colore, a rompere lo stigma che circonda la depressione postnatale: "È una novità per una donna poter dire: 'Ho quasi messo fine alla mia vita e non me ne vergogno. Sono ancora un'artista, sono ancora una donna e ho qualcosa da dire' ''.