Economia

Dazi: Unimpresa, commercio USA-Cina vale 575 miliardi di dollari

Redazione
 
Dazi: Unimpresa, commercio USA-Cina vale 575 miliardi di dollari

Nel 2023 il commercio bilaterale di merci tra Stati Uniti e Cina ha toccato quota 575 miliardi di dollari, con un disavanzo commerciale a sfavore di Washington pari a 279 miliardi. È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa, i cui dati fotografano un saldo fortemente negativo per l’economia americana: le importazioni dalla Cina hanno raggiunto i 427 miliardi, mentre le esportazioni verso Pechino si sono fermate a 148 miliardi. Nonostante le tensioni politiche e le barriere commerciali imposte negli ultimi anni, la Cina si conferma tra i principali partner degli Stati Uniti.

Dazi: Unimpresa, commercio USA-Cina vale 575 miliardi di dollari

Il deficit con Pechino rappresenta circa il 40% del totale del disavanzo commerciale americano nel 2023. La struttura degli scambi resta fortemente sbilanciata a favore della Cina, con gli Usa che continuano a dipendere dall’importazione di beni industriali e di consumo a basso costo.

«Il dato sul commercio bilaterale tra Stati Uniti e Cina è il riflesso di un rapporto complesso e stratificato, dove rivalità strategiche, concorrenza tecnologica e scontro tra modelli di governance coesistono con una profonda, e per certi versi inevitabile, interdipendenza economica - sottolinea il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora -. L’ampiezza del deficit commerciale americano verso la Cina resta una costante nelle dinamiche internazionali, ma rappresenta al tempo stesso una sfida e un’opportunità per ridefinire, nei prossimi anni, le regole del gioco del commercio globale. In questo scenario, i nuovi equilibri tra Washington e Pechino non saranno neutri per gli altri attori del mercato internazionale: a farne le spese oa beneficiarne, a seconda delle traiettorie che prenderanno le politiche commerciali, sarà anche l’export europeo e in particolare il made in Italy. La progressiva riallocazione delle catene del valore, dettata dalle logiche di “friend-shoring” e di riduzione della dipendenza da fornitori cinesi nei settori strategici, potrebbe aprire spazi di mercato per le imprese italiane in comparti ad alto valore aggiunto, come l’agroalimentare, la meccanica di precisione, il design, la moda e il farmaceutico. Allo stesso tempo, un irrigidimento delle relazioni tra USA e Cina, con un’ulteriore militarizzazione dei rapporti commerciali o con il rischio di un nuovo ciclo di dazi e contro-dazi, rischia di innescare dinamiche protezionistiche a catena che potrebbero penalizzare gli esportatori italiani su entrambi i fronti», evidenzia Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, nel 2023, il commercio bilaterale di merci tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto la cifra di circa 575 miliardi di dollari, confermandosi come uno dei rapporti commerciali più rilevanti a livello globale, nonostante le tensioni geopolitiche, le barriere tariffarie e le crescenti spinte protezionistiche da parte di Washington. Questo flusso, seppur in calo rispetto ai picchi pre-pandemia, testimonia la persistente interdipendenza economica tra le due maggiori economie mondiali. Le importazioni americane dalla Cina nel corso dell’anno sono state pari a 427 miliardi di dollari, mentre le esportazioni statunitensi verso il mercato cinese si sono attestate a 148 miliardi. Ne risulta uno svantaggio commerciale per gli Stati Uniti pari a 279 miliardi di dollari, una cifra che conferma il ruolo strutturale del deficit USA nel rapporto con Pechino.

Nel dettaglio, la struttura del commercio evidenzia uno squilibrio persistente che riflette la diversa natura dei due sistemi economici. Gli Stati Uniti continuano a importare in grandi volumi beni di consumo, componentistica elettronica, macchinari e tessili dalla Cina, beneficiando dei costi di produzione più bassi e delle economie di scala offerte dal sistema industriale cinese. Le esportazioni americane, invece, sono composte in larga parte da prodotti agricoli, semiconduttori, aeromobili e attrezzature industriali, che tuttavia non riescono a compensare il volume delle importazioni, anche a causa di limiti imposti dalle normative cinesi e da una crescente politica di autosufficienza industriale promossa da Pechino.

Rispetto al 2022, il volume complessivo del commercio bilaterale ha registrato un leggero calo, frutto di diversi fattori, tra cui la ridefinizione delle catene del valore globali, le restrizioni su alcune categorie di beni ad alta tecnologia, e il rallentamento della domanda globale. Va sottolineato, inoltre, come la composizione del disavanzo sia sempre più legata a una riduzione delle esportazioni americane, più che a un aumento delle esportazioni cinesi. Se nel 2018, all’apice della guerra commerciale innescata dall’amministrazione Trump, il deficit USA nei confronti della Cina superava i 400 miliardi, la flessione registrata negli anni successivi non ha modificato la natura strutturale di questo squilibrio, che si mantiene comunque tra i più elevati al mondo.

Dal punto di vista macroeconomico, il dato di 279 miliardi di dollari di deficit rappresenta circa il 40% dell’intero deficit commerciale americano nel 2023, una testimonianza del peso che la Cina continua ad avere nella bilancia dei pagamenti statunitensi. Il rapporto resta peraltro centrale nel dibattito politico americano, con l’amministrazione Biden che, pur con toni meno aggressivi rispetto al suo predecessore, ha mantenuto gran parte delle tariffe imposte negli anni precedenti e avviato politiche volte a ridurre la dipendenza da fornitori cinesi nei settori strategici come i microchip, le batterie e le tecnologie verdi. Parallelamente, Pechino ha avviato una progressiva diversificazione dei mercati di sbocco per le sue esportazioni, puntando con forza su Asia, Africa e America Latina, ma non ha rinunciato al mercato statunitense, che resta fondamentale in termini di valore aggiunto e prestigio commerciale.

Il fatto che, malgrado le tensioni, la Cina resta il secondo partner commerciale degli Stati Uniti per valore delle dimostra come la “decoupling economy”, di cui tanto si discute a livello politico, trovi ancora forti limiti nella realtà delle interconnessioni produttive e nelle esigenze delle imprese di entrambi i Paesi. Più nel dettaglio, la composizione merceologica del commercio tra Stati Uniti e Cina ha evidenziato differenze strutturali significative, specchio delle rispettive specializzazioni industriali e delle strategie economiche nazionali. Le statunitensi dalla Cina, pari a circa 427 miliardi di dollari, si sono concentrati prevalentemente su beni di consumo e prodotti manifatturieri a medio-alta intensità di lavoro: in particolare, spiccano articoli di elettronica di largo consumo (smartphone, laptop, tablet), componentistica elettronica e semiconduttori, elettrodomestici, abbigliamento, giocattoli, mobili e accessori per la casa.

La Cina, forte della sua capacità produttiva e della competitività in termini di costi, continua a rappresentare per gli Stati Uniti una fonte primaria di approvvigionamento in numerosi settori chiave del consumo interno. Al contrario, le esportazioni statunitensi verso la Cina, per un valore complessivo di 148 miliardi di dollari, si sono concentrate su categorie merceologiche ad alto valore tecnologico o strategico: aeromobili civili e componenti aerospaziali, macchinari industriali, automobili, strumentazione medica, semiconduttori, ma anche prodotti agricoli come soia, mais e carni bovine, oltre a prodotti chimici e farmaceutici. Tuttavia, l’accesso al mercato cinese resta condizionato da barriere regolamentari, da un’ampia presenza di imprese statali e da politiche industriali protezionistiche che limitano il potenziale di espansione dell’export americano, contribuendo al mantenimento di un ascensore disavanzo commerciale.

«L’Italia, che vanta una vocazione all’export e un forte radicamento nei mercati globali, si troverà così a dover gestire con attenzione la propria collocazione tra le due grandi potenze, evitando di essere risucchiata in logiche di schieramento che limiterebbero la libertà di manovra delle imprese. In questo contesto, sarà decisiva anche la capacità dell’Unione europea di definire una linea autonoma e coerente in politica commerciale, in grado di tutelare gli interessi industriali dei Paesi membri e salvaguardare la competitività del tessuto produttivo europeo. Per l’Italia, quindi, il nuovo equilibrio tra Stati Uniti e Cina non sarà soltanto un fatto di geopolitica globale, ma un nodo concreto da affrontare in chiave di politica industriale, diplomazia economica e strategie di penetrazione dei mercati», osserva in conclusione il vicepresidente di Unimpresa.

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