Non è un vizio, è un rifugio segreto. È il balsamo che lenisce le ferite invisibili del cuore, il tepore di una coperta di cachemire che avvolge nei giorni più gelidi, il complice silenzioso dei pomeriggi in cui la vita sembra franare sotto i piedi.
Cioccolato, la scienza svela l’alchimia del gusto: l’arte segreta dei microbi
È conforto nelle notti insonni, fazzoletto discreto che asciuga lacrime senza pretendere spiegazioni, risposta muta a quell’enigma antico che lega l’animo – soprattutto quello femminile – al bisogno improvviso di una dolcezza assoluta e senza condizioni. Non c’è modo più sincero per dirlo: il cioccolato è già perfetto così com’è, dono divino che placa i pensieri e restituisce un sorriso anche nell’ora più amara. Eppure la scienza, con la sua instancabile ambizione di penetrare ogni mistero, ha voluto spingersi oltre, indagando le profondità invisibili di quel morso che consola e illumina, persino quando la vita ci prende un po’a schiaffi.
Secondo una ricerca pubblicata su Nature Microbiology e riportata dalla BBC, gli scienziati avrebbero infatti decifrato il codice del gusto perfetto del cioccolato. Non più un segreto custodito dal fato, ma il risultato di un esercito invisibile di microbi. Il dottor David Gopaulchan, docente alla facoltà di bioscienze dell’Università di Nottingham, ha spiegato: «La nostra ricerca consentirà di produrre cioccolato con qualità e profilo aromatico costanti».
In altre parole, ciò che fino a oggi dipendeva dal capriccio della natura, dalla terra e dalle stagioni, potrebbe presto diventare un processo replicabile in laboratorio. Un pensiero che affascina e inquieta insieme. Perché se è vero che ogni tavoletta è diversa - quella amara e selvatica del Madagascar, quella più rotonda dell’Ecuador, quella calda e profonda del Perù - è proprio in quella differenza che, da sempre, risiede il fascino. Come le donne: nessuna identica all’altra, ognuna con il suo retrogusto irripetibile. Eppure Gopaulchan racconta che la scintilla di questa indagine nacque proprio così, durante un periodo di lavoro al Cocoa Research Centre di Trinidad, quando assaggiava i diversi cioccolati provenienti dai continenti.
«C’erano differenze evidenti nel sapore… quindi la domanda era: cosa determinava questa differenza di sapore?», racconta alla BBC. Finora la convinzione diffusa era che tutto dipendesse dalla genetica della pianta di cacao. E invece, spiega il ricercatore, «questo non torna», perché le stesse varietà, trapiantate in suoli differenti, sviluppano profili aromatici completamente nuovi.
Da qui lo studio condotto in Colombia, nelle regioni di Santander, Huila e Antioquia, dove sono state osservate le fermentazioni di tre fattorie diverse. Il risultato? Ancora una volta la risposta arriva dal mondo invisibile. «Quello che sapevamo già è che se non si fermentano le fave, il cioccolato non avrà più lo stesso sapore», spiega Gopaulchan, sottolineando che «la fermentazione è in realtà guidata dai microrganismi».
Il team ha quindi utilizzato il sequenziamento del DNA per tracciare quali microbi guidano questo alchemico processo, arrivando a una scoperta sorprendente: ogni territorio custodisce comunità microbiche diverse, e sono loro a definire quel bouquet aromatico che ci avvolge quando lasciamo sciogliere un quadratino in bocca. Il cioccolato di Antioquia, ad esempio, si è rivelato “abbastanza diverso” dagli altri due, con una composizione microbica unica. Per confermare l’intuizione, gli scienziati hanno replicato in laboratorio la fermentazione, isolando i microbi e aggiungendoli alle fave fresche.
«Ciò che abbiamo visto è che i fagioli hanno iniziato a fermentare proprio come nei campi», ha raccontato Gopaulchan. Con lo stesso aumento di temperatura, la stessa caduta del pH e, cosa più stupefacente, lo stesso sapore. Un esperimento che, per dirla con le sue parole, ha mostrato come sia ora possibile «replicare un processo antichissimo e molto selvaggio che avviene nelle fattorie di milioni di agricoltori in tutti i tropici». E qui si apre la questione che va oltre la scienza. Perché certo, la possibilità di garantire «un profilo qualitativo e aromatico costante» potrebbe rivoluzionare l’industria. «L’industria al momento non ha alcun controllo sulla fermentazione», ha ricordato il ricercatore, «questa ricerca apre le porte a queste aziende, consentendo loro di produrre un profilo aromatico unico e coerente ogni volta».
Ma cosa significherà davvero per noi? Avremo tavolette impeccabili, uniformi, rassicuranti come un vestito su misura? Gopaulchan stesso riconosce di non sapere quale sarà il destino di questa scoperta una volta varcata la soglia dei laboratori e consegnata al mercato. «Penso che almeno quello che stiamo dimostrando è che non si tratta di un processo misterioso. Ora – dice - possiamo effettivamente controllare i sapori», ipotizzando che, d’ora in avanti, qualcuno possa «creare autonomamente un cioccolato perfetto».
Forse. Ma c’è da chiedersi se valga davvero la pena. Perché il cioccolato è già un piccolo miracolo, fragile e irripetibile, nato dall’incontro tra natura, caso e tempo. Ed è proprio nella sua imprevedibilità che risiede la sua grazia: in quel primo morso che non è mai identico al precedente, e che proprio per questo sorprende, conforta e riconcilia con il mondo.