Lei aveva 22 anni; lui qualcuno in più.
Lui l'ha uccisa a coltellate e, poche ore fa, ha deciso di farla finita, impiccandosi in una cella del carcere di Messina, dove era recluso in attesa della prima udienza del processo, fissata per settembre.
Lei, Sara Campanella, è già entrata nella statistica delle donne uccise da un uomo; nella casella che, sotto la dizione ''femminicidio'', mette tutto dentro, non distinguendo quale sia la causale di un simile efferato atto. Come lo sono tutti gli omicidi, senza distinzione di genere.
Ragazza uccisa dal suo stalker: risarcimento per la famiglia assassino suicida in carcere paradossale
Anche lui, Stefano Argentino, descritto come un ragazzo introverso, che su Sara si era costruito un castello di sogni impossibili, alimentati da chissà quale demone, entrerà in un'altra casistica, quella dei suicidi in carcere, anch'essi con troppo superficialità accomunati nel medesimo profilo di chi si toglie la vita, non entrando troppo nel merito delle motivazioni e, quindi, di cosa si sarebbe potuto fare per evitarli.
Un po' come per i femminicidi, che tutti, giustamente, condannano, ma che ormai vengono presi alla stregua di un fenomeno irrisolto, da analizzare, ma davanti al quale si spendono solo lacrime, condite da buoni propositi, progetti irrealizzabili, con il corollario di dichiarazioni fatte anche da chi nulla sa e che nulla nel suo pregresso personale autorizza a parlare, sparando parole a vanvera, come accade nei salotti televisivi, sempre pronti a tuffarsi sui casi che trasudano sangue, infischiandosene del dolore degli altri.
Ma la morte per sua stessa mano di Stefano Argentino, se chiude l'iter del processo per l'uccisione di Sara, lascia aperta un'altra evoluzione di questa vicenda. Perché lo Stato ha mancato nel suo compito di vegliare anche sull'incolumità di chi s'è macchiato di colpe gravissime (come in questo, caso, con Stefano che ha ammesso tutto, giustificando il suo gesto per il troppo amore) , peccando di omessa vigilanza e aprendo la strada alla richiesta, della famiglia dell'omicida, di essere risarcita.
Quel risarcimento che non viene contemplato, se non in una forma quasi simbolica (50 mila euro: cosa sono davanti alla perdita di una figlia, di una moglie, di una sorella, ribaltando i termini di genere di questa devastante equazione?), per le famiglie delle vittime.
Ma, come pure qualcuno ha fatto, guardare a questa vicenda come ad un paradosso non è esatto, perché sebbene Sara e Stefano facciano parte di una stessa storia, come soggetti non sono assimilabili, perché la loro fine è stata per cause diverse, sebbene egualmente drammatiche.
Che Sara sia stata uccisa, perché vittima di un reato violento, dà ai suoi familiari il diritto di chiedere un risarcimento. Ma la morte di Stefano rientra in un altro profilo, perché se si è ucciso è stato perché, dopo essere stato sottoposto a una particolare sorveglianza, avendo manifestato propositi omicidi, era stato rimandato in una cella con altri detenuti, avendo qualcuno ritenuto che la fase dei pensieri di autodistruzione fosse stata superata.
Quindi due percorsi umani, giudiziari e, ora, risarcitori diversi perché, sebbene uniti in un destino tragico, nonostante il fatto che Sara, è morta per mano di altri; Stefano, per sua scelta, anche se si doveva vegliare su di lui.
Qualcuno, per commentare questa vicenda, ha fatto riferimento alla Costituzione, soprattutto laddove, all'art.27, dice che ''le pene non possono consistere in trattamenti contrati al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato''. Come questo passaggio possa essere accostato a questa storia sfugge, perché, almeno in questo caso, le autorità del carcere di Messina, ma, in generale, tutti coloro che hanno avuto un ruolo in questa storia, hanno garantito la loro azione di controllo e di garanzia, per poi interromperla quando Argentino è sembrato avere scacciato dalla mente il pensiero di darsi la morte.
Diverso invece è il discorso sulla mancata sorveglianza, alla quale invece è tenuta l'Amministrazione penitenziaria, che deve garantire che, dentro le carceri, i detenuti abbiamo condizioni sicure e dignitose (anche se, visto lo stato penoso di molte dei nostri reclusori, questa affermazione è quasi un insulto al diritto al rispetto di cui tutti devono essere destinatario, anche chi vi è entrato con le mani sporche del sangue di innocenti).
Alla fine, forse perché è giusto che vada così, la famiglia dell'omicida avrà un ristoro economico dalla morte di Stefano (''L'unica responsabilità è da attribuire allo Stato, che non ha accolto la nostra richiesta di perizia psichiatrica'', ha già dichiarato l'avvocato Giuseppe Cultrera, che difendeva Argentino), mentre a quella di Sara Campanella arriverà forse una manciata di banconote, che non potranno saziare la giusta richiesta di giustizia che l'ha motivata in questi mesi.