La Biennale di Venezia, nella sua edizione più recente curata da Carlo Ratti, sembra aver imboccato una strada sempre più distante dall’architettura costruita, preferendo concentrarsi su allestimenti concettuali, dispositivi scenografici e arte esperienziale: ambienti immersivi, oggetti-scultura, percorsi narrativi e installazioni interattive hanno preso il posto di edifici, progetti o proposte spaziali tangibili.
Biennale di Venezia: quando l’Architettura si dissolve nell’Installazione
Il risultato è una Biennale che parla molto di architettura, ma ne mostra poca. Uno degli allestimenti più emblematici è un grande calciobalilla curvilineo in tonalità viola e giallo, disposto come un fluido organismo nello spazio. L’ambiente che lo contiene è costruito attraverso pannelli traslucidi, superfici metalliche ondulate e monitor che proiettano coreografie umane. È “SIDELINED” nel padiglione Olandese.
Il significato è chiaro: la socialità come architettura, il gioco come metafora spaziale. Ma l’esito rischia di ridurre l’architettura a un apparato ludico, più vicino al design esperienziale che alla disciplina progettuale. Un secondo ambiente mostra una grande piattaforma circolare in materiale terroso, simile a una struttura in terra battuta, utilizzata come seduta collettiva.
Si tratta di “HOME” nel Padiglione Australiano. È un paesaggio astratto, quasi rituale, che invita alla sosta più che alla lettura progettuale. È uno spazio piacevole, avvolgente, ma nuovamente distante dal progetto architettonico nel senso stretto: evoca un’architettura “possibile”, ma non la rappresenta. L’oggetto-scultura che prende il posto del prototipo architettonico. Un altro allestimento “BUILD OF SIDE” nel Padiglione Danese, presenta un cantiere attivo, con materiale recuperato dallo stesso edificio, scarti, elementi dismessi, reinterpretati e riutilizzati come parte dell’allestimento.
Qui si percepisce una volontà di tornare alla tecnica, ai materiali, al cantiere. Ma è un racconto museale, non un progetto. È architettura senza edificio: un’analisi, non una proposta. Infine, l’immagine con la grande mappa dei cavi sottomarini globali nel Padiglione Italiano mostra un contenuto informativo potente e attuale, ma ancora una volta presentato sotto forma di mostra divulgativa più che come interpretazione architettonica dell’infrastruttura contemporanea. Si parla di infrastrutture, ma non se ne rappresenta alcun progetto, nessuna visione di trasformazione.
La sensazione complessiva è che la Biennale di Venezia si sia trasformata in un grande racconto per immagini, oggetti e atmosfere, dove l’architettura è un tema ma non un contenuto. Non si vedono progetti urbani, edifici, modelli in scala, analisi del costruito. Si vedono invece: installazioni immersive, sculture tecnologiche, dispositivi interattivi, grandi pannelli informativi, paesaggi concettuali. spazi suggestivi, ma non affrontando la complessità del progettare, abitare, costruire.
È una Biennale che ha perso la sua funzione. Se l’architettura è costruzione di mondi possibili, la mostra sembra avere paura di mostrarli, preferendo raccontarli attraverso metafore e atmosfere. Il risultato è una Biennale che lascia un vuoto: quello della vera architettura.