Il mondo è bello perché è vario, quindi ci può anche stare che il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, esprima tutto il suo sdegno per il fatto che il tribunale dei ministri abbia archiviato la sua posizione, nella vicenda del rilascio e consegna a domicilio in Libia, del presunto torturatore Almasri.
Caso Almasri: Meloni si indigna per non essere stata incriminata
Letto bene: Meloni protesta perché non è stata accomunata dalle medesima sorte toccata a due ministri - Matteo Piantedosi e Carlo Nordio - e ad un sottosegretario - Alfredo Mantovano - ritenuti invece meritevoli di giudizio per la strana storia di un ricercato (dalla giustizia internazionale) arrestato, rilasciato e poi riaccompagnato in pompa magna, a bordo di un aereo dei nostri servizi, in quella Libia in cui in molto lo guardano alla stregua di un macellaio.
La storia è risaputa, così come sono risapute le critiche giunte, dalle opposizioni, per le ricostruzioni dell'accaduto fatte da Nordio e Piantedosi, spesso in contrasto logico l'una dall'altra, e contestate nel merito dalla Cpi, per le tempistica riferita e per il contenuto degli atti.
Ma, lasciandoci alle spalle la storiaccia di Almasri e la decisione del tribunale dei ministri (composto da un collegio di tre magistrati, scelti per sorteggio, con almeno cinque anni di toga sulle spalle e che, per il ruolo, sono accreditati di solida formazione giuridica ed equilibrio), resta da valutare la reazione di Giorgia Meloni, che merita una analisi anche per le parole con le quali è stata fatta.
Premettendo che la stessa reazione è stata affidata al social - ormai assurti a quarta Camera, posto che la terzaha come grande cerimoniere Bruno Vespa) -, il presidente del consiglio ha affermato che ''oggi mi è stato notificato il provvedimento dal Tribunale dei ministri per il caso Almasri: dopo oltre sei mesi dal suo avvio, rispetto ai tre mesi previsti dalla legge, e dopo ingiustificabili fughe di notizie. Nel decreto si sostiene che io 'non sia stata preventivamente informata e (non) abbia condiviso la decisione assunta': e in tal modo non avrei rafforzato 'il programma criminoso'. Si sostiene pertanto che due autorevoli Ministri e il sottosegretario da me delegato all’intelligence abbiano agito su una vicenda così seria senza aver condiviso con me le decisioni assunte. È una tesi palesemente assurda''.
In poche righe Giorgia Meloni dice tante cose, forse più di quel che sembra.
Andando per ordine, scorrendo il messaggio, il presidente del consiglio, innanzitutto muove precise contestazioni al tribunale dei ministri, perché ha tardato nella sua decisione (insinuando non si sa bene cosa: prolungare i tempi dell'istruttoria può anche significare che la complessità della materia lo imponeva, non certo per traccheggiare, per fini che non sarebbero chiari) e perché ci sono state ''ingiustificabili fughe di notizie''.
Affermazione, quest'ultima, che, giusta in linea di principio - i processi si fanno in aula, non sui media -, fa sorridere pensando che, appena poco tempo fa, un simpatizzante dello stesso partito della presidente ha vaticinato l'iscrizione nel registro degli indagati di un candidato del campo opposto molte settimane prima che la notizia non venisse fuori, ma diventasse tale, cioè con un atto della procura.
L'affermazione più importante è comunque contenuta nelle ultime righe, quando Giorgia Meloni definisce assurda e palese la tesi che lei non abbia avuto le dovute informazioni sulla vicenda Almasri e quindi che le decisioni prese siano state adottate a sua insaputa. Rivendicando, quindi, almeno per quel che capiamo noi, una responsabilità morale e politica che, invece, non esiste per il tribunale dei ministri, che a questo punto vede crollare la sua legittimazione ad esprimersi.
Ora, di cosa si lamenta Meloni?
Apparentemente del fatto che il tribunale dei ministri abbia ritenuto che nel governo si possa muovere foglia a sua insaputa. Quindi, facendo intendere che lei della vicenda Almasri era informata, condividendo le decisioni prese da Ministri e sottosegretario. Che poi dovrebbe essere la verità, solo che quel che dice il tribunale dei ministri è cosa diversa, nel senso che sostiene che a Meloni siano giunte le informazioni, ma gravate dal peso delle genericità.
Quindi, che lo stesso presidente del consiglio non abbia espresso un suo giudizio, affidandosi ai suoi compagni di governo a fronte di una informazione generica, dal momento che ''non compare alcun dettaglio o elemento valutabile circa la portata, natura, entità e finalità dell'informazione, specie sotto il profilo della sua condivisione delle "decisioni adottate''. Da qui la considerazione che sul tavolo del presidente del consiglio è arrivata una informazione talmente insufficiente da non farle capire la portata della vicenda.
Allora cosa resta della dichiarazione di Giorgia Meloni? Non una presa di distanze dai Nordio, Piantedosi e Mantovano, di cui si chiede il rinvio a giudizio, anzi l'assunzione della responsabilità politica. Che però non è penale ed è questo il nodo della faccenda.
Se il tribunale avesse deciso in modo diverso, oggi Giorgia Meloni avrebbe potuto vestire i panni della perseguitata, ma così non è perché i magistrati l'hanno ritenuta non penalmente responsabile, soffocando sul nascere il concerto di starnazzi che si sarebbe levato all'unisono.