Cinema & Co.

“L’abbaglio”. Roberto Andò interpreta la spedizione dei Mille

di Teodosio Orlando
 

Il regista e scrittore Roberto Andò, conoscitore come pochi della storia e della cultura siciliana (si ricordino due film come Il manoscritto del Principe, dedicato a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e La stranezza, incentrato su Luigi Pirandello), ci propone con L’abbaglio una prospettiva peculiare sulla spedizione dei Mille. Prima di lui, a cimentarsi con l’epopea garibaldina erano stati Alessandro Blasetti con 1860. I Mille di Garibaldi (1934), intriso di retorica fascistizzante; Anton Giulio Majano, con lo sceneggiato televisivo L’Alfiere (1956), ispirato in parte al romanzo “filoborbonico” di Carlo Alianello; e Roberto Rossellini, con Viva l’Italia! (1961), di impianto neorealista. A questi lungometraggi andrebbe aggiunta la miniserie RAI Il generale, di Luigi Magni (1987), che però prende le mosse dalla fine della spedizione dei Mille, con l’ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli.

L’abbaglio assume fin dall’inizio le vesti un po’ ambigue di opera cinematografica che coniuga storia e finzione per indagare i paradossi e le contraddizioni dell’identità italiana. Ambientato nel 1860, con la collocazione cronologica che focalizza i preparativi e le prime fasi della spedizione dei Mille, il film offre un affresco che mescola il dramma, una certa comicità e una riflessione storica non superficiale, grazie a una narrazione in bilico tra epica e ironia.

Il film si concentra su un episodio della spedizione garibaldina tanto poco conosciuto quanto fondamentale: una manovra diversiva congegnata dallo stesso Garibaldi e portata a termine dal ferreo colonnello Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo), che deve anche fare i conti con il suo passato in quanto ex ufficiale dell’esercito borbonico. La missione, finalizzata a confondere l’esercito del re Francesco II (soprannominato Franceschiello), diventa il pretesto per esplorare il contrasto tra le idealità che muovono i volontari e gli inevitabili compromessi politici. Con questi eventi reali si intrecciano le vicende di due personaggi immaginari, Domenico Tricò, contadino con problemi di deambulazione, e Rosario Spitale, abile baro nei giuochi di carte, interpretati rispettivamente da Salvo Ficarra e Valentino Picone. Si presentano all’arruolamento volontario a Quarto, forse più animati dal desiderio di tornare nella terra natìa che di combattere, e sorprendentemente vengono accettati, portando una carica insospettata di umanità e umorismo. Ma dopo le prime schermaglie susseguenti allo sbarco a Marsala, i due simpatici bricconi disertano, terrorizzati dalla pericolosità degli scontri a fuoco. Si rifugiano poi in un convento di suore dove ricevono un’inattesa ospitalità, fin quando un episodio poco chiaro relativo ad ammanchi di denaro non li obbliga a lasciare il ricovero ecclesiastico e a ricongiungersi ai garibaldini, in virtù dell’indulgenza di Orsini: ricongiungimento che determinerà poi il loro riscatto, grazie alla decisiva partecipazione all’azione centrale nell’economia del film. 

Va detto che Roberto Andò, noto per il suo approccio sofisticato e spesso teatrale, confeziona un’opera che coordina momenti di riflessione con situazioni di grande impatto visivo. Toni Servillo ci offre un’interpretazione di grande spessore nel ruolo del colonnello Orsini: incarna  l’aristocratico palermitano con il carisma e la complessità emotiva che contraddistinguono l’attore, già protagonista in altri film di Andò. Ficarra e Picone, pur mantenendo il loro tratto comico, dimostrano una sorprendente versatilità, aggiungendo profondità ai loro personaggi.

Il cast di supporto, che comprende Tommaso Ragno nel ruolo di Giuseppe Garibaldi e Pascal Greggory nei panni del generale borbonico Jean-Luc Von Mechel, arricchisce ulteriormente la narrazione con performance intense e convincenti (anche se Greggory ha palesemente recitato a memoria la sua parte, a causa della sua conoscenza sommaria della lingua italiana).

La fotografia di Maurizio Calvesi cattura i paesaggi siciliani in modo particolarmente intenso, evocando una Sicilia arcaica e misteriosa, mentre le musiche di Michele Braga ed Emanuele Bossi contribuiscono a sottolineare l’atmosfera drammatica e, al contempo, ironica della vicenda. La scenografia e i costumi ricostruiscono con cura l’epoca risorgimentale, aggiungendo autenticità al racconto.

Andò utilizza l’episodio storico per riflettere sui paradossi dell’identità nazionale italiana: un popolo diviso tra furbizia e generosità, opportunismo e idealismo. Il regista inserisce elementi di riflessione storico-filosofica, evidenziando come la Storia, spesso, sia plasmata non solo dagli eroi, ma anche da figure marginali e apparentemente di scarso spessore. Il tema della manipolazione delle vicende storiche – esplicitato dal titolo – diventa centrale, richiamando l’arte della strategia militare e della narrazione stessa, fino a sfiorare l’ambito di quelle che oggi si chiamano fake news. Garibaldi, Orsini e persino i due protagonisti fittizi si muovono in un gioco di illusioni e verità che rispecchia il complesso processo di unificazione italiana. Come se già allora, nella Sicilia dove peraltro secoli prima era fiorita la sofistica di Gorgia di Leontini, la distinzione tra verità e inganno fosse problematica – problematicità confermata dal relativismo di Pirandello, che prelude alle attuali discussioni sulla cosiddetta post-verità (ossia su un’oggettività apparente, veicolata da credenze diffuse e non da fatti verificati, ma che tende a essere accettata come veritiera da un’opinione pubblica succube dell’emotività). 

 La pellicola si presenta così come un’opera che cerca di intrecciare la Storia nazionale con le sue contraddizioni, offrendoci un ritratto a chiaroscuro dell’Italia risorgimentale. Tuttavia, alcune scelte narrative e interpretative sollevano interrogativi che meritano una riflessione critica più approfondita. Innanzitutto, il film rischia di indulgere a un registro troppo agiografico, soprattutto nel modo in cui rappresenta il colonnello Vincenzo Giordano Orsini. La figura dell’ufficiale, pur caratterizzata con cura e incisività, sembra eccessivamente idealizzata, quasi al punto da oscurare lo stesso Giuseppe Garibaldi (comunque ben interpretato da Tommaso Ragno), che rimane un personaggio secondario rispetto al carisma del colonnello. Questa scelta narrativa risulta discutibile, considerando il ruolo centrale di Garibaldi nella spedizione dei Mille, benché trovi una spiegazione nell’ambito dell’economia generale del film.

Un altro aspetto critico è l’assenza, o almeno l’omissione, di riferimenti significativi al ruolo dei servizi segreti inglesi e della Royal Navy, elementi storici fondamentali che hanno contribuito al successo dell’impresa garibaldina (di recente rievocati anche da Umberto Eco nel romanzo Il cimitero di Praga). Allo stesso modo, il film evita di affrontare apertamente il tema della corruzione tra gli ufficiali borbonici, che fu determinante per superare la sproporzione numerica tra i due eserciti. Questo silenzio storico potrebbe far apparire la vittoria di Garibaldi come un dato scontato, privandola della complessità reale.

Inoltre, la negazione assolutamente esplicita (e quasi “gridata”) di ogni possibile intesa tra Orsini e i capimafia locali appare come una semplificazione significativa, in quanto comunque circoscritta a un episodio e a una figura di particolare probità e dirittura morale. Certo, Roberto Andò, nella conferenza stampa, ha sostenuto che Orsini rifiutò effettivamente la collaborazione con i capimafia durante la spedizione garibaldina, una scelta che avrebbe sottolineato l’integrità etica e il senso di giustizia del personaggio. Andò ha basato le sue dichiarazioni su prove storiche a quanto pare incontrovertibili. Ma avrebbe potuto anche sottolineare che non sempre il comportamento degli altri “liberatori” fu esemplare, anche nei rapporti con i “potentati” locali: sarebbe stato così possibile esplorare le ambiguità e i compromessi del Risorgimento, invece di idealizzarlo in modo un po’ panegiristico. 

Inoltre, pur menzionati da Andò in conferenza stampa, i fatti di Bronte (peraltro successivi di qualche mese agli avvenimenti messi a fuoco dal regista) non trovano spazio nel film: si tratta della vicenda in cui il luogotenente di Garibaldi, Nino Bixio, decise di fucilare dei contadini rivoltosi, illusi che l’arrivo dei Mille avrebbe portato un’immediata giustizia sociale: un episodio chiave per comprendere le contraddizioni sociali della spedizione garibaldina, reso poi celebre dalla novella Libertà di Giovanni Verga (pubblicata nella raccolta Novelle rusticane), che pure non solidarizza, da vero conservatore, con le motivazioni dei contadini rivoltosi. Quest’omissione priva il racconto di una dimensione sociale e politica che avrebbe reso l’opera più completa e incisiva.

Peraltro, Andò ha dichiarato di essere stato ispirato dal racconto Il silenzio di Leonardo Sciascia, ora pubblicato nella raccolta Il fuoco nel mare. Sebbene Sciascia fosse spesso critico nei confronti delle mitologie risorgimentali, ha comunque lasciato tracce interpretative sulla condotta morale di figure come Orsini. Quest’ultimo viene implicitamente paragonato con altri capi garibaldini che, al contrario, accettarono compromessi con i poteri locali, rafforzando l’immagine del colonnello come figura integra e di specchiata probità. E Sciascia annota: “Il colonnello si sentiva commosso: quei segni di greve miseria lo colpivano. Non aveva mai visto questa faccia dolente e squallida della sua terra. E più lo colpiva che in queste condizioni di vita, non diverse da quelle della capra, dell’asino, la gente conservasse intatti ed alti i sentimenti umani: la pietà, la gentilezza, il coraggio. E si chiese se davvero avevano il diritto di portare a gente simile nuove sofferenze, la violenza della guerra, il rischio della devastazione e del saccheggio: e in nome di che cosa. «In nome della libertà di scrivere dei libri, di pubblicare dei giornali, di eleggere dei rappresentanti?... E la libertà di non avere fame, di abitare in luoghi più umani, di vestire dignitosamente?»”.

Nonostante le dichiarazioni di Andò, l’assenza di un unanime consenso storico su questo aspetto rende la sua interpretazione aperta a discussioni. Il contesto siciliano del 1860 era caratterizzato da una complessa rete di poteri locali, e Garibaldi stesso si avvalse di alleanze strategiche, talvolta implicite, con figure influenti. L’idea che Orsini abbia agito in totale autonomia rispetto ai potentati locali potrebbe dunque apparire come un episodio isolato, utile per costruire una narrazione dai toni encomiastici e apologetici. In ogni caso, il rifiuto del colonnello di collaborare con i capimafia resta un elemento che aggiunge fascino alla sua figura, ma che rischia di rimanere confinato nella sfera del mito cinematografico.

La scena finale con il colonnello, ormai a riposo, che allude alle speranze tradite del Risorgimento, risulta vaga e pervasa da una certa ambiguità, determinata anche dal luogo “equivoco” dove si svolge. Andò sembra voler trasmettere un messaggio di flebile speranza, venata da un certo scetticismo, ma le battute finali rischiano di lasciare lo spettatore insoddisfatto. Una rappresentazione più diretta e coraggiosa di questa disillusione avrebbe dato forse maggiore spessore all’opera.

In realtà a leggere tra le righe, siamo in presenza di un duplice abbaglio: il primo si verifica quando i garibaldini depistano le truppe borboniche. Qui Andò indulge molto al romanzesco, pur ambientando fedelmente l’azione nei luoghi siciliani dove è effettivamente avvenuta. I due personaggi immaginari inseriti nel film, Domenico Tricò e Rosario Spitale, riescono inaspettatamente a salvare la colonna. Viene suggerito che probabilmente l’esito positivo della spedizione è dovuto proprio a loro, in fondo disertori “pentiti”, per uno strano paradosso della Storia. L’azione parallela dei due impostori si rivela fondamentale, come anche la loro abilità nel fingere e simulare. Si può dire che il loro destino venga cambiato da quegli stessi eventi della Storia che essi stessi hanno contribuito a cambiare. Salvo Ficarra e Valentino Picone si confermano interpreti versatili, capaci di aggiungere leggerezza e umanità al racconto. Tuttavia, il loro registro tragicomico rischia di sfiorare la caricatura, evocando a tratti la comicità slapstick di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, loro modelli riconosciuti. Quest’approccio, sebbene efficace in alcune scene, potrebbe risultare fuori luogo in un contesto che si propone di mescolare il comico e il drammatico con maggiore equilibrio.

Il secondo abbaglio è quello tipico di tutti i rivoluzionari che sperano in una palingenesi e rigenerazione della società. Lo stesso Orsini non ne è esente. E all’indomani dell’unità d’Italia si accorge che «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», per citare la celebre frase pronunciata da Tancredi Salina nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

L’abbaglio rimane un’opera significativa e ambiziosa, ma la rappresentazione degli eventi appare talvolta troppo semplificata. Se da un lato offre un ritratto vivido e coinvolgente del Risorgimento italiano, dall’altro si affida a una narrazione che evita di approfondire le zone d’ombra della Storia. Per chi cerca una riflessione più complessa e problematica sui paradossi dell’identità nazionale, il film potrebbe risultare imperfetto. Tuttavia, il valore artistico complessivo, insieme alle eccellenti interpretazioni di Toni Servillo e del cast, lo rendono comunque un’opera meritevole di attenzione.

Alla fine, si tratta di un film ambizioso che riesce a intrattenere, emozionare e far riflettere. Con un cast di alto livello, una regia ispirata e una sceneggiatura che bilancia sapientemente storicità e invenzione, Roberto Andò realizza un’opera capace di parlare sia al passato sia al presente dell’Italia. Consigliato a chi ama il cinema che unisce spettacolo e riflessione, L’abbaglio si distingue come uno dei film più significativi dell’anno, capace di lasciare un segno indelebile nello spettatore.


Titolo: L’abbaglio

Lingua originale: italiano, siciliano
Paese di produzione: Italia
Anno: 2025
Durata:131 minuti
Genere: commedia, drammatico, storico, guerra
Regia: Roberto Andò
Sceneggiatura: Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
Produttore: Luca Bitterlin
Casa di produzione: BiBi Film, Medusa Film, Netflix, Rai Cinema, Tramp Ltd.
Distribuzione in italiano: 01 Distribution
Fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Emanuele Bossi, Michele Braga
Scenografia: Giada Calabria
Costumi: Maria Rita Barbera
Interpreti e personaggi
Toni Servillo: Vincenzo Giordano Orsini
Salvatore Ficarra: Domenico Tricò
Valentino Picone: Rosario Spitale
Tommaso Ragno: Giuseppe Garibaldi
Giulia Andò: Assuntina
Leonardo Maltese: Ragusin
Andrea Gherpelli: Veterano Bergamasco
Daniele Gonciaruk: Nino Bixio
Vincenzo Pirrotta: Sovrastante
Aurora Quattrocchi: la madre che piange
Filippo Luna: Sindaco di Sambuca
Pascal Greggory: Jean Luc Von Mechel
Giulia Lazzarini: Maddalena Orsini

Uscita al cinema: 16 gennaio 2025

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