Esteri
Trump sfida la Corte Suprema sui dazi, in gioco 90 miliardi e il potere presidenziale d’emergenza
di Redazione

Gli Stati Uniti trattengono il fiato in attesa della decisione della Corte Suprema sul caso dei dazi di Donald Trump. Al centro della contesa c’è la legalità con cui il presidente ha utilizzato i poteri d’emergenza per imporre tariffe sulle importazioni provenienti da quasi tutti i partner commerciali americani. Una decisione che avrà un impatto enorme non solo sull’economia, ma anche sull’equilibrio istituzionale del Paese, mettendo alla prova i limiti del potere esecutivo.
“Il caso della Corte Suprema è, letteralmente, una questione di vita o di morte per il nostro Paese”, ha scritto Trump sul suo social Truth, sottolineando l’importanza politica della causa, che tocca uno dei pilastri del suo secondo mandato, il protezionismo economico e la difesa della manifattura americana.
Durante l’udienza a Washington, anche i giudici conservatori, molti dei quali nominati dallo stesso Trump, hanno espresso scetticismo sull’interpretazione presidenziale dell’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) del 1977, la norma che consente al capo della Casa Bianca di adottare misure straordinarie in caso di “minacce eccezionali” alla sicurezza nazionale. Trump è il primo presidente in quasi cinquant’anni a utilizzare la legge per imporre tariffe commerciali, sostenendo che non si tratti di “tasse” ma di strumenti di regolazione degli affari esteri.
La giudice Sonia Sotomayor ha però contestato questa interpretazione: “Dici che i dazi non sono tasse, ma è esattamente quello che sono: stanno generando denaro dai cittadini americani”. Anche il giudice Neil Gorsuch, di orientamento conservatore, ha incalzato la difesa di Trump, chiedendo come potesse giustificare un provvedimento unilaterale che non ha ricevuto alcuna autorizzazione dal Congresso.
Secondo i tribunali federali di grado inferiore, Trump avrebbe violato il potere impositivo del Congresso, travalicando i limiti dell’IEEPA. Le tariffe, introdotte con il cosiddetto “Liberation Day”, hanno finora fruttato al Tesoro americano circa 90 miliardi di dollari, ma hanno anche sollevato proteste diffuse da parte di imprese e Stati federati. La Chamber of Commerce, equivalente americano di Confindustria, ha denunciato “danni irreparabili” per le aziende, molte delle quali, dai produttori di vino agli importatori di giocattoli, lamentano aumenti dei costi e licenziamenti.
In caso di sentenza sfavorevole, l’amministrazione potrebbe essere costretta a rimborsare oltre 100 miliardi di dollari in dazi riscossi. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, presente all’udienza, ha dichiarato di essere “molto ottimista”, senza però chiarire quale sarebbe il piano alternativo nel caso in cui la Corte bocciasse la misura.
Le implicazioni, tuttavia, vanno ben oltre la questione economica. Una vittoria di Trump consoliderebbe un precedente senza precedenti, ampliando enormemente i poteri presidenziali in materia di emergenze economiche e politiche. Una sconfitta, invece, rappresenterebbe un colpo alla sua agenda e un segnale di indipendenza della Corte Suprema, a maggioranza conservatrice.
Intanto, davanti al palazzo della Corte, è andata in scena una protesta simbolica, decine di donne dell’organizzazione Handmaid Army DC si sono presentate vestite con i mantelli rossi e le cuffie bianche de "Il racconto dell’ancella" di Margaret Atwood, al grido di “shame”. Un monito contro quella che definiscono “l’erosione dei diritti democratici e delle libertà civili” durante l’era Trump.
La sentenza è attesa entro la fine dell’anno. Ma qualunque sarà la decisione, avrà conseguenze che travalicano le dogane, poiché ridefinirà i confini tra potere presidenziale, Congresso e democrazia americana.