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Segnali contrastanti: BoE pronta al taglio, Fed ancora in attesa
di Anthony Willis, Investment Manager di Columbia Threadneedle Investments

Questa settimana l’attenzione si concentra sulle probabilità divergenti di un taglio dei tassi a dicembre da parte della Bank of England e della Federal Reserve, due istituzioni che oggi si trovano su traiettorie di politica monetaria sempre più differenziate.
Nel Regno Unito, i dati economici diffusi di recente hanno rafforzato ulteriormente l’aspettativa di una riduzione dei tassi già nelle prossime settimane, mentre negli Stati Uniti tali attese si sono progressivamente ridimensionate. Basti pensare che, appena un mese fa, i mercati attribuivano una probabilità del 95% a un taglio di 25 punti base da parte della Fed; oggi tale stima si è dimezzata al 45%, riflettendo anche un tono più prudente e incerto da parte dei vari membri del FOMC, che riconoscono come il quadro macroeconomico non offra al momento indicazioni sufficientemente chiare per sostenere una decisione immediata.
Nel caso del Regno Unito, il miglioramento delle aspettative deriva da una serie di elementi macroeconomici che, nel loro insieme, sembrano rafforzare la posizione dei membri più “dovish” della BoE. L’inflazione ha interrotto la sua fase di accelerazione e, dopo aver toccato un picco al 3,8%, appare avviata verso un ulteriore rallentamento, con la lettura attesa per mercoledì che dovrebbe scendere al 3,4%. Sebbene questi livelli restino ben al di sopra dell’obiettivo della banca centrale, la direzione di marcia rappresenta un segnale chiave. A questo si aggiunge un mercato del lavoro più debole: la disoccupazione è salita al 5%, il punto più alto degli ultimi quattro anni, mentre la crescita salariale sta perdendo slancio. Anche la crescita economica rimane fiacca, come mostrano i dati sul PIL del terzo trimestre, fermo allo 0,1%, confermando un’economia che fatica a trovare slancio. Nella precedente riunione, il Comitato di politica monetaria si era spaccato quasi a metà, con un voto 5 a 4 a favore del mantenimento dei tassi; tuttavia, i recenti interventi del governatore Andrew Bailey e di altri membri fanno pensare che la propensione a considerare un taglio sia oggi più forte. Ulteriore contesto proviene dalle nuove proiezioni del Regno Unito, che indicano una crescita modesta nei prossimi anni, 1,2% nel 2026, 1,6% nel 2027 e 1,8% nel 2028, livelli ben inferiori agli obiettivi del governo. In questo scenario, il bilancio pubblico atteso la prossima settimana, che dovrebbe contenere misure non inflazionistiche, potrebbe offrire alla BoE un margine decisionale più ampio.
Negli Stati Uniti la situazione è più complessa. Nella conferenza successiva all’ultima riunione, il presidente Jay Powell ha dichiarato con chiarezza che un taglio dei tassi a dicembre «non è affatto scontato», sottolineando l’incertezza che continua a caratterizzare il contesto. La Fed appare divisa tra falchi e colombe, e al momento sembrano prevalere le posizioni più caute, con diversi membri che invitano a «procedere con prudenza» e a mantenere una linea «moderatamente restrittiva» fino a quando non emergeranno evidenze più solide di un rallentamento dell’economia. A complicare il quadro vi è anche il vuoto informativo generato dallo shutdown del governo americano: questa settimana verrà pubblicato solo il rapporto sull’occupazione di settembre, mentre permangono dubbi sulla disponibilità e sull’affidabilità dei dati relativi all’inflazione e al mercato del lavoro di ottobre. In un contesto così incerto, la Fed potrebbe preferire attendere la normalizzazione dei flussi informativi prima di procedere a nuove decisioni.
In definitiva, sembra che i mercati finanziari avrebbero oggi più bisogno di un taglio dei tassi rispetto alla stessa economia statunitense. Per intervenire, tuttavia, la Fed dovrà osservare segnali più chiari di un raffreddamento del mercato del lavoro. È vero che la banca centrale ha già tagliato i tassi in misura significativa pur in assenza di una recessione, ma guardando al 2026 va ricordato che la composizione del board assumerà un’impronta più accomodante. Ciò significa che, anche nel caso in cui la decisione di dicembre non portasse a un taglio — eventualità che potrebbe generare un breve momento di delusione nei mercati — questo non precluderebbe interventi più espansivi l’anno successivo.
Nel quadro internazionale emerge quindi un disallineamento sempre più evidente: la Banca Centrale Europea mantiene una posizione attendista, la Bank of Japan si prepara a un futuro rialzo dei tassi, mentre nel Regno Unito un taglio a dicembre appare verosimile. Negli Stati Uniti, invece, il percorso è meno definito, confermando un contesto globale di politica monetaria sempre più eterogeneo e ricco di implicazioni per gli investitori.