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Mercati laterali, ma tensioni in movimento

E' una settimana altalenante tra risk-on e risk-off quella sui mercati che si chiude con indici pressoché invariati ed indici su supporti tecnici di breve periodo.
Da una parte il sentiment migliora grazie alla fine del più lungo shutdown governativo nella storia degli Stati Uniti, durato 43 giorni, che dovrebbe riportare un po’ di chiarezza sui dati economici sospesi. Tuttavia, l’umore degli investitori resta incerto e le probabilità di un taglio dei tassi da parte della Fed a dicembre sono scese dal 70% a circa il 50%, dopo i recenti commenti di alcuni membri più cauti del board, come Bostic e Collins.
Insomma, il mercato si trova a metà del guado: sollievo per la riapertura del governo, ma ancora timori per inflazione, andamento economico, politica monetaria e soprattutto le valutazioni elevate.
I dati ufficiali sull’inflazione sono ancora incompleti, ma il quadro che emerge dagli indicatori privati non è rassicurante, in sostanza l’inflazione non sta accelerando, ma nemmeno rientra verso il target del 2%.
Questa persistenza, insieme ad una lettura difficile sull’andamento del mercato del lavoro, alimenta la prudenza della Fed. Williams, presidente della Fed di New York, ha parlato apertamente della possibilità di “tornare ad acquistare asset” per stabilizzare il mercato dei finanziamenti overnight, che mostra nuove tensioni. Un linguaggio che evoca, di fatto, l’ipotesi di un ritorno del quantitative easing. Così la volatilità dei Treasuries, misurata dal MOVE Index , è salita sensibilmente, segnalando instabilità e potenziale rischio d’irrigidimento nei mercati obbligazionari.
Anche i dati sul sentiment dei consumatori raccontano una storia contraddittoria. La fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan è scesa a 50,3, il secondo valore più basso mai registrato dal 1952.
Eppure, nello stesso periodo, le vendite al dettaglio sono cresciute del 4,8% su base annua, ben sopra l’inflazione, segno che la spesa delle famiglie resta sostenuta.
È una dinamica paradossale ma ricorrente nelle fasi finali di ciclo: i consumatori dicono di essere pessimisti, ma continuano a spendere.
Una sorta di “negazione macroeconomica” che spesso anticipa un rallentamento, perché dietro la tenuta dei consumi si nasconde l’aumento del credito al consumo e il calo del risparmio disponibile.
Ma il principale argomento di dibattito sui mercati è stato ancora una volta il tema dell’intelligenza artificiale, con gli investitori che sembrano abbiano iniziato ad interrogarsi non tanto sulla crescita dei ricavi, ma sulla sostenibilità fisica e finanziaria di questa corsa. Dietro la narrativa high-tech, emergono problemi sorprendentemente low-tech: mancano l’elettricità, i permessi e la capacità infrastrutturale per costruire abbastanza data center da sostenere la domanda in arrivo.
Un esempio: il fornitore di infrastrutture AI CoreWeave ha avvertito che non riuscirà a completare in tempo i nuovi data center previsti per il quarto trimestre, rinviandoli al 2026.
Il risultato è che il mercato ha iniziato a prezzare, per la prima volta, la possibilità che i limiti fisici rallentino la crescita digitale. Lo stesso Nadella, CEO di Microsoft, ha dichiarato che “il problema non sono più i chip, ma la capacità di collegarli”. In altre parole, abbiamo GPU in eccesso ma pochi data center pronti a essere collegati alla rete.
La spesa per la costruzione di data center ha raggiunto 42 miliardi di dollari al mese, il doppio rispetto all’anno scorso e quattro volte i livelli del 2023.
Nel frattempo, il costo medio per metro quadrato è salito da 665 a quasi 1.000 dollari.
E non è solo una questione di costi: oggi i data center statunitensi consumano circa 183 terawattora all’anno, pari a oltre il 4% della domanda elettrica nazionale. Entro il 2030, secondo le stime, questa cifra più che raddoppierà, arrivando a 426 TWh.
Un terzo di queste strutture è concentrato inoltre in tre Stati — Virginia, Texas e California — dove già oggi si registrano tensioni sulla rete.
In Virginia, addirittura il 26% dell’elettricità prodotta viene assorbita dai data center. Le utility parlano di connessioni ritardate anche di cinque anni. È il paradosso della nuova economia digitale: può crescere solo finché le infrastrutture energetiche della vecchia economia riescono a reggerla.
C’è poi un’altra contraddizione. La rivoluzione AI, che avrebbe dovuto liberare le aziende dalla dipendenza dal capitale umano, sta creando una nuova dipendenza dal capitale finanziario.
Negli ultimi mesi, Meta e Google hanno collocato 55 miliardi di dollari in obbligazioni per finanziare nuovi data center, mentre Oracle ha acceso un prestito privato da 38 miliardi, nonostante un leverage già spinto.
Gli hyperscaler, che fino a poco tempo fa si autofinanziavano con flussi di cassa record, stanno tornando a fare debito. Si stima che lo sviluppo globale delle infrastrutture AI possa richiedere tra i 5.000 e i 7.000 miliardi di dollari nei prossimi anni. Una cifra enorme, che rende evidente quanto la rivoluzione dell’intelligenza artificiale non sia più solo una questione tecnologica, ma una scommessa di leva finanziaria e di disponibilità energetica.
Di fronte a questi limiti, le aziende più visionarie guardano oltre la Terra.
Google, ad esempio, sta sperimentando un sistema di data center orbitanti alimentati da energia solare nello spazio, con collegamenti ottici a bassa latenza. È una prospettiva affascinante, ma che evidenzia un punto chiave: la crescita dell’AI richiede energia, spazio, tempo e capitale. E nessuno di questi fattori è infinito.
Il mercato sembra riscoprire una verità elementare: anche le storie più rivoluzionarie devono confrontarsi con i vincoli del mondo reale. Dopo mesi di entusiasmo e di revisioni a rialzo di stime sugli utili, la narrativa dell’AI sta entrando in una fase più matura, dove si comincia a distinguere tra potenziale economico e capacità di esecuzione.
Per gli investitori, è un momento che richiede disciplina. Non serve fuggire dal tema, ma capirne i limiti e i tempi. Molte delle valutazioni incorporate oggi presuppongono una crescita lineare e immediata, ma la realtà sarà probabilmente più intermittente: periodi di accelerazione alternati a fasi di assestamento, man mano che la tecnologia incontra i suoi vincoli infrastrutturali.
La lezione è sempre la stessa: nei mercati, come nella vita, la tecnologia può accelerare tutto, ma non può eliminare i cicli. E il compito di un investitore razionale è restare lucido mentre gli altri oscillano tra euforia e paura. Per questo, in una fase in cui i mercati mostrano segnali di compiacenza e le valutazioni restano tirate, continuiamo a favorire i settori difensivi, che offrono maggiore visibilità sugli utili e minore esposizione alla volatilità di breve periodo, in una fase di potenziale inizio di rotazione settoriale.