Cultura

Pasolini, cinquant’anni dopo, la verità negata e la voce che non smette di interrogarci

di Demetrio Rodinò
 
Pasolini, cinquant’anni dopo, la verità negata e la voce che non smette di interrogarci
Era il 2 novembre 1975 quando Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, regista, drammaturgo, venne ucciso all’Idroscalo di Ostia. Aveva portato a Roma, dove era approdato nel 1950 fuggendo la provincia e le persecuzioni giudiziarie per la sua omosessualità, un modo nuovo di guardare l’Italia. Camminando ai margini della Capitale, aveva visto il fronte della città spostarsi verso le periferie, aveva dato nome e dignità all’umanità respinta dalla modernità. Cinquant’anni dopo quella notte, la sua morte resta una ferita aperta e la sua eredità una bussola scomoda, ma necessaria. Questa mattina, tra le iniziative di Roma Capitale, la deposizione di una corona di alloro ha rimesso al centro la sua parola: “Passavo come un uccello che vede tutto, volando, e si porta in cuore nel volo in cielo la coscienza che non perdona”, recitano i versi incisi sul monumento dell’Idroscalo. Una coscienza che non perdona e che non dimentica.

La dinamica di quella notte è stata, fin dall’inizio, avvolta nelle ombre. La verità giudiziaria si è fermata presto, un processo, un imputato, Pino Pelosi, allora diciassettenne. La sua confessione iniziale, un litigio degenerato, un bastone, l’omicidio, non ha mai convinto davvero: la violenza delle percosse, l’assenza di ferite sul ragazzo, tracce e testimonianze discordanti hanno alimentato dubbi che il tempo non ha dissolto. Anni dopo, uscito dal carcere, lo stesso Pelosi ritrattò, evocando un gruppo di uomini con accento siciliano. Da quel momento, le ipotesi si sono moltiplicate, dalla vendetta privata al delitto politico, dagli ambienti della criminalità organizzata a trame più alte. I fili della “seconda storia”, quella che sfugge agli atti, chiamano in causa il Pasolini corsaro, l’autore dell’“Io so” sul Corriere nel 1974, il romanzo incompiuto “Petrolio” con i suoi rimandi a poteri economici e segreti di Stato, l’ENI di Mattei, il nome di Eugenio Cefis, la strategia della tensione, persino piste che, a ondate, hanno sfiorato la Banda della Magliana. Nessuna ha trovato approdo definitivo, e proprio questa indeterminatezza continua a interrogare il Paese, fu una trappola per “dare una lezione” a un intellettuale scomodo, degenerata in linciaggio? O un affare di piccola malavita finito nel sangue? La rapida chiusura della vicenda processuale non placò, allora, e non placa oggi.

Eppure, ridurre Pasolini alla notte della sua morte è il modo più rapido per non capirlo. La sua opera, un curriculum sterminato di poesie, narrativa, cinema, teatro, saggi, epistolari, perfino quattro album, ha attraversato come un sismografo l’Italia del secondo Novecento. Nei film, dal Vangelo secondo Matteo ad Accattone fino a Salò o le 120 giornate di Sodoma, la macchina da presa ha cercato l’anticipo del nostro presente. Il consumismo come “nuovo fascismo”, l’omologazione televisiva, l’erosione del sacro e dei legami. Nelle Lettere luterane, pubblicate a ridosso della morte, l’intellettuale “uomo-orchestra”, per usare una definizione che gli calza, chiedeva ai figli di liberarsi dalle colpe dei padri, disegnando una pedagogia della responsabilità individuale che suona attuale oggi più che allora. È questa pluralità di registri, questa radicale libertà di sguardo, a spiegare perché Pasolini non solo non sia scomparso dall’orizzonte, ma abbia ampliato la sua influenza ben oltre i confini nazionali.

Il cinquantesimo diventa così occasione di memoria viva, non di liturgia. A Roma, il gesto civile della corona d’alloro parla alla città che Pasolini ha raccontato, dal Pigneto alle baracche, mentre in tutta Italia fioriscono progetti che ne rimettono in circolo la voce. A Firenze è stata registrata al Teatro Verdi “Musica per una fine”, un brano inedito di Ennio Morricone su poesia di Pasolini, riportato alla luce da SZ Music con la produzione di K-Array e l’Orchestra della Toscana. Un incontro tra due maestri che promette di diventare documento e dialogo, presto in audio e in un video che ne narra la genesi. Sempre nel capoluogo toscano, “Giovani infelici” debutta in prima nazionale al Cantiere Florida, affidando a interpreti under 35 e under 25 la rilettura scenica delle parole pasoliniane, una scelta non ornamentale, perché sono proprio i giovani, spesso additati e raramente ascoltati, i primi interlocutori di quell’appello alla responsabilità. A Pescia, per tutto novembre, la Fondazione Poma Liberatutti organizza “Una storia sbagliata. Pasolini sotto assedio”: lezioni, dialoghi, musica, cinema, giornalismo per restituire la complessità di un pensiero troppo spesso semplificato. Da Accattone al Vangelo, da Edipo Re a Medea, fino ai “saggi corsari”, studiosi e studiose, critici, musicisti scandaglieranno il rapporto tra sacro e modernità, tra scandalo e bellezza, tra indignazione e amore per il popolo. E a Scandicci, l’Associazione Art-U intreccia letture, musica e immagini in un omaggio che entra nella programmazione diffusa di Open City Winter, segno che la voce di Pasolini continua a vibrare anche nei contesti civici, non solo accademici.

Resta, però, l’ombra lunga della verità negata. In mezzo secolo, nuove testimonianze, rivelazioni indirette, tracce genetiche multiple sulla scena del crimine, la vicenda delle bobine di Salò sparite e cercate febbrilmente, le varianti del racconto di Pelosi (scomparso nel 2017) hanno eroso la credibilità della tesi dell’assassino solitario. Eppure, ogni riapertura d’indagine si è infranta contro l’insufficienza degli elementi. Di fatto, convivono due narrazioni, quella giudiziaria, che riduce tutto a un incontro finito in tragedia, e quella pubblica, che allarga il quadro a un delitto esemplare o a un cortocircuito di poteri e miserie. Forse è proprio qui che la lezione pasoliniana torna a pungere, nel senso di non accontentarsi delle versioni comode, non cedere alla rassegnazione, continuare a “vedere tutto, volando”, e a nominare ciò che vediamo.

Abbiamo perso prima di tutto un poeta”, disse Alberto Moravia nell’orazione funebre. Poeti non ce ne sono tanti in un secolo, e Pasolini è fra quei pochissimi che continuano a contare. Non sapremo mai cosa avrebbe detto delle nostre guerre, delle rivoluzioni tecnologiche, delle nuove periferie digitali. Ma possiamo ancora ascoltarlo nell’unica maniera che non lo tradisce: leggere, vedere, discutere, tradurre la sua inquietudine in domande necessarie. Cinquant’anni dopo, il suo fantasma non chiede commemorazioni, ma cittadinanza, dove? Ovunque, nelle scuole, nei teatri, nei giornali, nelle piazze e nelle periferie. Finché resterà viva questa cittadinanza, il delitto dell’Idroscalo non potrà chiudersi in un fascicolo polveroso. E la coscienza che non perdona continuerà a farci alzare gli occhi.
  • Generali -300x600 - Adesso per il tuo futuro
  • Ifis - Siamo il credito per la tua azienda 300x600
  • Ifis - Siamo il credito per la tua azienda 300x600
  • Non è solo luce e gas, è l'energia di casa tua.
  • La risposta alla tua salute. Sempre
Notizie dello stesso argomento
Pasolini, cinquant’anni dopo, la verità negata e la voce che non smette di interrogarci
02/11/2025
di Demetrio Rodinò
Pasolini, cinquant’anni dopo, la verità negata e la voce che non smette di interrogarci
Dal Mic fondi per nuove librerie under 35. Ali Confcommercio: Segnale importante
31/10/2025
Redazione
Dal Mic fondi per nuove librerie under 35. Ali Confcommercio: "Segnale importante"
Bohemian Rhapsody, delirio geniale che ha cambiato la musica per sempre
31/10/2025
Redazione
I cinquant’anni di Bohemian Rhapsody: delirio geniale che ha cambiato la musica per sempre
La chiesa della Sagrada Familia è ora la più alta del mondo
31/10/2025
Redazione
La chiesa della Sagrada Familia è ora la più alta del mondo