Cinema & Co.

Il Gladiatore II. Lo spettacolo vince sulla verità storica

di Teodosio Orlando
 
Il Gladiatore II. Lo spettacolo vince sulla verità storica
Sono passati ben ventiquattro anni da quando Ridley Scott realizzò un colossal, Il gladiatore, ispirato alla figura leggendaria del generale romano Massimo Decio Meridio, campione degli ideali di libertà e di giustizia conculcati da un potere spietato e iniquo. All’epoca furono Russell Crowe e Joaquim Phoenix a interpretare i due antagonisti, il generale Massimo e l’imperatore Commodo, considerato un bieco usurpatore. Di solito non passano così tanti anni per un sequel, ma una serie di circostanze problematiche aveva procrastinato sine die la seconda puntata dell’epica storia. Nel maggio 2006, Scott aveva disputato con Crowe sull’idea di un’ambientazione fantasy per riportare in vita Massimo, mentre un’idea più realistica era quella di puntare su di un nuovo protagonista, Lucio, figlio di Massimo e Lucilla. L’ipotesi più straordinaria, ben presto accantonata, fu dovuta al cantautore e scrittore Nick Cave, che fu incaricato di scrivere una nuova bozza della sceneggiatura. Cave abbozzò una storia dove Massimo, dopo un transito nel Purgatorio, viene resuscitato come un guerriero immortale per volere degli dèi romani, e rimandato sulla Terra con il compito di porre fine al cristianesimo uccidendo Gesù e i suoi discepoli, dato che la nuova religione stava prosciugando il potere degli antichi dèi pagani. Durante la sua missione, Massimo viene ingannato e finisce con l’uccidere il suo stesso figlio. Come l’Immortale del celebre racconto di Borges o lo Highlander del film di Russell Mulcahy, Massimo è condannato a vivere per sempre: combatte nelle Crociate, nella Seconda Guerra Mondiale e nella Guerra del Vietnam, fino a diventare un generale del Pentagono. La sceneggiatura, troppo deviante dall’idea originaria, fu alla fine rifiutata e scartata.

Nel Gladiatore II, la promessa è quella di riprendere l’epicità del film originale e riportare sul grande schermo l’eterna lotta per il potere e l’onore, questa volta attraverso gli occhi di Lucio Vero, figlio di Lucilla e nipote di Marco Aurelio. Ambientato nel 200 d.C., sedici anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, il film ci racconta la caduta e la rinascita di Lucio, costretto alla schiavitù e spinto a combattere nell’arena, seguendo l’esempio dell’eroico “gladiatore”.

Dopo gli eventi che hanno portato alla caduta dell’imperatore Commodo, il film ci trasporta in un’epoca in cui il sogno di Marco Aurelio per un Roma giusta è ormai quasi del tutto dissolto. La città è governata dai fratelli Caracalla e Geta, figure dominate da una tirannia brutale e da un’inarrestabile sete di potere.

La trama, ideata da David Scarpa e Peter Craig, rievoca il conflitto per la sopravvivenza e per la conquista di una posizione dominante che ha reso il primo Gladiatore una pietra miliare del cinema. Nelle intenzioni degli sceneggiatori, non dovremmo avere a che fare con un semplice sequel, ma con una narrazione densa di tensioni politiche e drammi personali, che ampliano il mondo del film originale con nuovi personaggi e dinamiche intrecciate.

Al centro della trama troviamo Lucio (Paul Mescal), figlio di Lucilla, cresciuto lontano da Roma per sfuggire agli intrighi di corte, ma ora risucchiato nel vortice del destino che lo lega alla città eterna. La sua storia si intreccia con quella del generale romano Marco Acacio, interpretato magistralmente da Pedro Pascal, secondo marito di Lucilla, che inizialmente ignora il legame di sangue tra sé e Lucio. Questa rivelazione rappresenta uno dei punti di svolta del film, unendo temi di vendetta, onore e riconciliazione.

La struttura narrativa alterna grandi momenti di azione, come la spettacolare battaglia presso le mura di una città numidica (che richiama la guerra contro la tribù germanica dei Marcomanni all’inizio del Gladiatore I), a scene di profondo pathos emotivo. La perdita di Arishat, moglie di Lucio e fiera guerriera “amazzone”, durante questa battaglia, è un momento devastante che segna l’inizio della trasformazione del protagonista da comandante numidico a gladiatore schiavo. Il percorso di Lucio, addestrato dal crudele Macrino (un intenso Denzel Washington), riporta sullo schermo il mondo crudo e brutale delle arene, evocando lo spirito del primo film ma con una visione più cupa e complessa.

La lotta per il potere a Roma si sviluppa su più livelli: da un lato, Lucilla e Acacio tramano per porre fine alla tirannia dei fratelli imperiali; dall’altro, Macrino sfrutta ogni occasione per avanzare le proprie ambizioni, fino a consumare un tradimento che destabilizza definitivamente il fragile equilibrio politico. La scena del confronto tra Acacio e Lucio nell’arena rappresenta un apice emotivo del film, con una coreografia dei combattimenti straordinaria e un uso simbolico della luce che richiama le grandi tragedie classiche.

La figura di Lucio, interpretata con intensità da Paul Mescal, richiama direttamente Massimo, sebbene ora la lotta sia contro i tiranni Geta e Caracalla, imperatori corrotti e capricciosi, interpretati rispettivamente da Joseph Quinn e Fred Hechinger. Questi antagonisti, benché forse meno iconici di Commodo, sono rappresentati con sfumature grottesche e irriverenti: entrambi, secondo gli sceneggiatori, richiamano delle vere icone della musica punk: uno l’aspetto stralunato di Sid Vicious, l’altro l’ombra caricaturale di John Lydon, membri dei Sex Pistols.

Tra i nuovi volti, spicca l’interpretazione di Denzel Washington nel ruolo di Macrino, un ex schiavo trasformatosi in ricco trafficante e allenatore di gladiatori. Il personaggio, affascinante e crudele, sembra richiamare l’eredità di Proximo di Oliver Reed, ma Washington infonde in lui un’aura di autorità e carisma che lo rendono uno degli elementi più memorabili del film. Connie Nielsen e Derek Jacobi tornano nei panni di Lucilla e del senatore Gracco, donando un senso di continuità con il primo capitolo e arricchendo il quadro complesso della politica romana.

La regia di Scott riprende le ambientazioni grandiose e suggestive dell’antica Roma, benché il film sia stato girato tra Malta e l’Inghilterra, con scene di battaglie visivamente spettacolari, tra cui un momento peculiare che coinvolge una lotta contro un’orda di babbuini carnivori nell’arena (alquanto inverosimili, in realtà), offrendo un tocco di originalità inatteso. La colonna sonora di Harry Gregson-Williams fa eco all’epicità di Hans Zimmer, mantenendo l’intensità emotiva nelle scene cruciali e aiutando a fondere azione e introspezione in un equilibrio narrativo ben riuscito.

Se Il gladiatore II cattura momenti di grande pathos e azione, non mancano i richiami diretti al primo film, talvolta con la sensazione di un “remake mascherato”, come molti hanno osservato. Diversi personaggi sembrano ricalcare gli archetipi dell’originale, e la struttura narrativa conserva, a tratti troppo fedelmente, lo schema del primo Gladiatore. Tuttavia, Scott riesce a far emergere il proprio estro creativo nelle scene che si discostano maggiormente dal modello iniziale, sfruttando al meglio le interpretazioni del cast. Inoltre, le scene di battaglie, duelli e scontri potrebbero essere ambientate anche in altre epoche e contesti, reali o immaginari: al tempo della guerra di Troia, di Leonida alle Termopili, di Carlo Magno, di Napoleone (sul quale Scott ha girato un biopic storico controverso); oppure in mondi immaginari come Dune, la distopia di Hunger Games, Il pianeta delle scimmie, il Marvel Cinematic Universe. Tutti con lo stesso copione, con il buono di turno che vince alla fine il duello risolutivo con il villain.

Tre citazioni classiche emergono con forza, ognuna densa di significato e simbolismo, aggiungendo profondità al percorso di Lucio e alla trama complessiva. La prima proviene da Tacito: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (“Dove fanno il deserto, lo chiamano pace”), tratta dal De vita et moribus Iulii Agricolae (Vita e costumi di Giulio Agricola, 30, 4). Questa citazione sembra incarnare l’imperialismo brutale di Roma e la devastazione provocata dalle campagne militari. Per Lucio, il motto diventa una presa di coscienza sulla vera natura del potere imperiale: la “pace” promessa dai dominatori è in realtà la distruzione delle terre e delle culture. Viene inserita in una scena in cui Lucio osserva il conflitto o gli effetti devastanti delle guerre, fino a sviluppare profondi dubbi verso il sistema politico a cui appartiene.

La seconda proviene da Epicuro, e viene ripetuta due volte: “Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti” (Lettera a Meneceo). Questa riflessione epicurea sul non temere la morte si adatta alla filosofia di chi combatte nell’arena, ma va oltre il coraggio fisico. Mentre Lucio affronta la sua missione, comprende che la morte non è qualcosa di cui aver paura, perché riguarda solo l’istante della fine. Questa filosofia può motivarlo ad abbracciare il proprio destino e a non temere il sacrificio, avvicinandolo all’idea che la sua esistenza debba avere un significato oltre la paura della fine.

La terza citazione è da Virgilio, Eneide, VI, 126-129: “Facilis descensus Averno, / noctes atque dies patet atri ianua Ditis; / sed revocare gradum superasque evadere ad auras, / hoc opus, hic labor est” (”Scendere agli Inferi è facile: la porta di Dite è aperta notte e giorno; ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo qui sta il difficile, qui la vera fatica. “). Questi versi simboleggiano il percorso di Lucio: il discendere nel caos dell’arena e della guerra è facile, ma la vera impresa è risalire, recuperando l’umanità e la libertà. Scott ha usato questi versi come metafora visiva del viaggio del protagonista nell’oscurità (l’arena e la crudeltà dei giochi circensi) e della sua lotta per emergere da quella disumanizzazione e riconquistare la luce e la pace, come accade anche nel mito della caverna di Platone.

Questi richiami ai classici fungono da colonne portanti per il percorso di crescita e rinascita di Lucio. Scott riesce a legare l’antichità con la contemporaneità, dando vita a un’epica che esplora i temi della memoria, del sacrificio, della guerra, della morte, della resilienza e della lotta contro le oppressioni del potere, dimostrando ancora una volta la sua capacità di fondere cinema e letteratura in un’unica, potente narrazione, con l’ambizione, a onor del vero non sempre riuscita, di articolare una riflessione sulle eterne verità della condizione umana.

Peraltro, tanta ambizione è un po’ perturbata da alcune incongruenze storiche, per non parlare di vari anacronismi e di licenze narrative, che sembrano voler privilegiare una visione spettacolare piuttosto che storicamente fedele ed accurata dell’antica Roma. Ad esempio, Giugurta, re di Numidia, è collocato nella narrazione come figura contemporanea agli eventi, nel III secolo d.C., mentre storicamente regnò nel II secolo a.C. e fu sconfitto da Gaio Mario nel 105 a.C. Questo spostamento temporale è fuorviante: Giugurta è ricordato come simbolo della resistenza africana all’espansionismo romano, ma inserirlo in un’epoca in cui l’Africa romana era ormai consolidata e la Numidia era stata assorbita da Roma da secoli (mentre il film la rappresenta come un’entità ancora indipendente, utilizzata per enfatizzare il conflitto tra romani e popolazioni locali) può confondere lo spettatore sul reale contesto politico e militare della Roma imperiale. Questa scelta potrebbe essere stata fatta per motivi narrativi, ma riduce la complessità storica delle vicende di Roma nel III secolo d.C.

Inoltre, la rappresentazione di Caracalla e Geta come figure deboli, effeminate e paranoiche distorce la realtà storica: Caracalla, in particolare, è ricordato per essere stato un imperatore forte, ai limiti della crudeltà, e per le sue campagne belliche. Introdusse la Constitutio Antoniniana (nota appunto anche come Editto di Caracalla, 212 d.C.), che estese la cittadinanza romana agli abitanti dell’Impero, rafforzando la coesione imperiale. Raffigurarlo come un uomo debole potrebbe servire al film per costruire un contrasto narrativo con la virilità dei gladiatori, ma sacrifica l’autenticità storica.

Un altro blooper riguarda gli spettacoli nel Colosseo: essi includevano effettivamente le “naumachie”, ossia battaglie navali simulate, ma l’introduzione degli squali è una fantasia modernizzante. Storicamente, per queste battaglie si usavano piccole imbarcazioni e la fauna marina non era parte dell’intrattenimento, poiché difficilmente gli animali acquatici potevano essere mantenuti vivi in tali condizioni. Questa aggiunta cinematografica punta evidentemente a esagerare la ferocia dell’arena e ad aumentare la tensione, ma potrebbe risultare poco credibile per chi ha familiarità con le pratiche del tempo e apparire più vicina a un’estetica hollywoodiana sensazionalista che a una rappresentazione accurata dell’antica Roma. Del resto, visivamente, Il gladiatore II si rivela come un trionfo. Le riprese in Marocco e Malta danno vita a paesaggi mozzafiato, mentre la colonna sonora di Harry Gregson-Williams offre una degna erede al lavoro di Hans Zimmer, con temi musicali che bilanciano epica e intimità. 

Infine, la mancanza di un serio approfondimento psicologico dei personaggi rischia di rendere la narrazione superficiale e appiattita. Nei film storici, un’adeguata introspezione è fondamentale per trasmettere le complessità morali e psicologiche di figure che vivevano in un contesto di guerra e potere. Nel Gladiatore II, questo aspetto è trascurato a favore dell’azione e dello spettacolo visivo. Lucio, pur essendo il protagonista, sembra muoversi in modo schematico e prevedibile, nel suo arco di redenzione e vendetta: se avesse maggior profondità interiore, l’intero film risulterebbe più ricco e autentico, anziché dipendere da scene d’azione che non approfondiscono i dilemmi morali dei protagonisti. Anche personaggi come Lucilla e lo stesso Macrino rischiano di apparire come pedine funzionali alla trama piuttosto che come individui con motivazioni profonde.

In sintesi, Il gladiatore II sacrifica parecchi elementi di verità storica e spessore psicologico in favore della spettacolarità. Il crescendo finale, che si snoda tra il tumulto delle lotte gladiatorie al Colosseo e la battaglia campale fuori dalle mura di Roma, è un esempio magistrale di regia. Ridley Scott utilizza l’iconografia del caos per riflettere l’instabilità morale e politica del periodo, mentre Lucio emerge come un eroe riluttante che incarna il sogno spezzato di Marco Aurelio. Tuttavia, una maggiore aderenza ai dettagli storici e un approfondimento dei conflitti interiori dei personaggi non solo arricchirebbero la trama, ma offrirebbero un ritratto più genuino e coinvolgente della Roma imperiale. Alla fine, abbiamo un’opera che si pone in bilico tra l’omaggio al passato e la ricerca di un nuovo mito per il presente: mito che sembra incarnato in un vago auspicio della restaurazione della Roma repubblicana. Il suo discorso, che richiama l’ideale di una Roma giusta, risuona non solo come un omaggio al passato ma anche come un ammonimento per il presente.

Tuttavia, parlare del “desiderio di una Roma giustaall’interno del contesto storico dell’Impero Romano può sembrare paradossale, se non addirittura ipocrita, alla luce delle sue contraddizioni: lotte di potere incessanti, guerre espansionistiche brutalmente condotte e una società interamente fondata sullo schiavismo. Il concetto di “Roma giusta” appare più un ideale filosofico che un dato storico, dato che anche la Roma repubblicana era comunque un regime basato sullo schiavismo e in cui i diritti umani contemporanei erano qualcosa di totalmente sconosciuto.

Il sogno di Marco Aurelio, come rappresentato nella cultura popolare e in parte nella storiografia, è spesso associato alla sua figura di imperatore-filosofo: Marco Aurelio è ricordato anche come importante filosofo stoico, autore dei Colloqui con sé stesso (Τὰ εἰς ἑαυτόν, nell'originale in greco), un uomo che cercava di governare secondo i principi stoici di giustizia, saggezza e moderazione. In pratica, però, anche Marco Aurelio partecipò a campagne militari sanguinose e consolidò il potere imperiale. Questo ideale, dunque, non era tanto una realtà quanto una narrazione, utile a posteriori per dare significato a una figura storica che voleva essere percepita come diversa.

In un’opera cinematografica, un ideale del genere è ancora più importante. Funziona come motore narrativo e morale, soprattutto per i protagonisti: il sogno di Marco Aurelio diventa un simbolo che giustifica la lotta del personaggio di Lucio e la sua battaglia finale. È una sorta di utopia, una visione che permette al pubblico di simpatizzare con la lotta contro l’oppressione e la corruzione, anche se queste erano onnipresenti nella Roma storica. Tuttavia, non si può ignorare la dissonanza storica: il film rischia non tanto di ignorare la realtà di Roma, quanto di costruire una sorta di mito morale, adattandola alla sensibilità contemporanea. Questo solleva una domanda interessante: possiamo accettare l’uso di ideali storicamente inconsistenti se servono a trasmettere un messaggio universale?

Il Gladiatore II
 
Titolo originale    Gladiator II
Lingua originale    inglese
Paese di produzione    Stati Uniti d'America, Regno Unito
Anno    2024
Durata    148 minuti
Genere    storico, epico, azione, drammatico, avventura
Regia    Ridley Scott
Soggetto    personaggi creati da David Franzoni
Storia di David Scarpa, Peter Craig
Sceneggiatura    David Scarpa
Produttore    Ridley Scott, Michael Pruss, Douglas Wick, Lucy Fisher, David Franzoni
Casa di produzione    Paramount Pictures, Scott Free Productions, Red Wagon Entertainment, P + M Image Nation
Distribuzione in italiano    Eagle Pictures
Fotografia    John Mathieson
Montaggio    Claire Simpson, Sam Restivo
Musiche    Harry Gregson-Williams
Costumi    Dave Crossman, Janty Yates
Interpreti e personaggi
Paul Mescal: Lucio Vero
Pedro Pascal: Marco Acacio
Connie Nielsen: Augusta Lucilla
Denzel Washington: Macrino
Joseph Quinn: Geta
Fred Hechinger: Caracalla
Derek Jacobi: senatore Gracco
  • villa mafalda 300x600
  • PP evolution boost estivo giugno 2024
Rimani sempre aggiornato sulle notizie di tuo interesse iscrivendoti alla nostra Newsletter
Notizie dello stesso argomento
“Il Nibbio”. La missione di Nicola Calipari nell’inferno di Baghdad
12/03/2025
di Teodosio Orlando
“Il Nibbio”. La missione di Nicola Calipari nell’inferno di Baghdad
Captain America: Brave New World. I supereroi del Marvel Cinematic Universe in una distopia à la Huxley
28/02/2025
di Teodosio Orlando
Captain America: Brave New World. I supereroi del Marvel Cinematic Universe in una distopi...
“A Complete Unknown”: il soffio del cambiamento tra musica e mito
08/02/2025
di Teodosio Orlando
“A Complete Unknown”: il soffio del cambiamento tra musica e mito
“Itaca. Il ritorno”: Ralph Fiennes è Ulisse in un’Odissea dove è assente il divino
02/02/2025
di Teodosio Orlando
“Itaca. Il ritorno”: Ralph Fiennes è Ulisse in un’Odissea dove è assente il divino