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Habemus Papam: il crepuscolo di Roma si accende di fede nella sera della fumata bianca

di Barbara Leone
 
Habemus Papam: il crepuscolo di Roma si accende di fede nella sera della fumata bianca

(da Piazza San Pietro)  - Roma, ore 18:08. Il cielo, come in un dipinto del Bellotto, si tinge d’oro e porpora mentre l’ultimo sole di maggio si frange sulle cupole e sulle finestre dei palazzi vaticani. Un fremito percorre la folla accalcata in Piazza San Pietro. Un respiro trattenuto, poi liberato in un’ovazione quando, finalmente, dal comignolo issato sul tetto della Cappella Sistina, si leva una colonna di fumo bianco, che dapprima quasi si confonde con il cielo per poi farsi denso e chiaro come la lana delle pecore del Buon Pastore.

Habemus Papam! In un istante, la Piazza diventa un corpo unico. Braccia alzate, occhi lucidi, rosari sgranati fra le dita tremanti. Le campane del Vaticano iniziano a rintoccare, solenni, ed è come se tutta Roma rispondesse: le campane del Gianicolo, di Trastevere, del Laterano si uniscono in un concerto che danza con il vento serale: il ponentino, dolce e malinconico, che accarezza le guance e solleva bandiere e stendardi come veli in una liturgia invisibile. 
''È come se il cielo ci avesse sorriso', dice commossa suor Anna, arrivata da Assisi. Le sue mani sono giunte, il volto rigato da lacrime discrete. ''Dio ci ha mandato un nuovo pastore, e io sento che sarà un uomo buono, come Francesco''. C’è chi canta, chi si inginocchia, chi semplicemente resta in silenzio, immobile come davanti a un miracolo. I bambini sono in spalla ai padri, con le mani tese verso la loggia centrale, da dove tra poco, tra pochissimo, si svelerà il volto del nuovo Pontefice.

I gabbiani, padroni del cielo romano, volano in cerchio sopra la piazza, come presenze totemiche di un’antica benedizione. "L’attesa è la parte più struggente", mormora Elvira, 72 anni, venuta da Palermo con la parrocchia. ''Ti senti piccola, come davanti a qualcosa che ti sovrasta, ma anche protetta. Come se qualcuno stesse per dirti che tutto andrà bene''. Mentre il tempo trascorre e l'attesa per sapere chi sarà il successore di Pietro cresce a dismisura, sul colonnato del Bernini, la luce scivola come miele fuso. I volti delle statue — santi e martiri, testimoni e apostoli — sembrano chinarsi sulla moltitudine raccolta in un abbraccio di pietra. 

A ogni finestra accesa del Palazzo Apostolico, la folla trattiene il fiato. Ogni movimento dietro le tende suscita mormorii. Ogni ombra, ogni passo, ogni riflesso è scrutato come un presagio. 
''Non importa chi sarà, è il segno che conta'', afferma padre Jean-Marie, missionario in Congo, avvolto in un mantello leggero. ''Questa è la forza della Chiesa: rinnovarsi sempre, ma restare la stessa. Una madre che ci parla con una voce nuova, ma con lo stesso cuore''.

Poi, d’un tratto, il brusio si fa silenzio. Una figura avanza. Il cardinale protodiacono si affaccia alla Loggia. Tutti trattengono il respiro. È l'istante del sacro e del mistero, quello che appartiene solo alla storia, quello che si scolpisce nella memoria collettiva di un popolo. “Annuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam!”

La folla esplode. Un fragore che sembra scuotere le pietre secolari. Un boato che è canto, grido, preghiera. Alcuni si abbracciano, altri piangono, altri ancora guardano in alto, come se sperassero di vedere davvero, tra le nuvole, lo Spirito scendere in forma di colomba. ''Questo è un giorno che racconterò ai miei figli'', dice con voce spezzata Gianluca, 29 anni, insegnante di religione. “Io c’ero, e ho sentito cosa significa davvero essere parte di qualcosa che ci supera”. Il nuovo Papa — ancora senza nome per i cronisti, ma già nel cuore dei fedeli — comparirà presto. Ma per ora basta l’attesa. L’attesa che è già festa, che è già epifania. 

Il cielo di Roma pian piano si vela di indaco e rame, mentre il sole, come un antico dio stanco, si ritira con passo silenzioso oltre le colline, lasciando che una luna pallida e incerta si affacci timida sopra le acque quiete del Tevere. Su Piazza San Pietro, gremita all’inverosimile e vibrante di luci tremule, aleggia un fremito solenne: è il respiro collettivo di una fede che non si consuma, ma si rinnova come fiamma che, pur battuta dal vento, continua a brillare. In questa sera di maggio, in cui Roma sembra sospesa tra il sacro e l’eterno, la Storia piega il capo e sussurra al mondo un nuovo capitolo di speranza. E noi, pellegrini d’emozione sotto un cielo che presto si accenderà di stelle, siamo stati lì. Testimoni muti e profondamente commossi di un istante che non è solo cronaca, ma eternità che vibra nel cuore degli uomini e delle donne di buona volontà. Poi, al nome del cardinale diventato papa, Robert Francis Prevost, in molti si guardano, ponendosi la stessa domanda che in migliaia si fecero dodici anni fa, quando nessuno conosceva Jorge Bergoglio, se non i fedeli argentini: chi è? 

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