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Autogrill, quando la difesa d’ufficio sostituisce la riflessione critica

di Redazione
 
Autogrill, quando la difesa d’ufficio sostituisce la riflessione critica
Il comunicato di FIPE-Confcommercio a sostegno di Autogrill, diffuso dopo le rivelazioni della trasmissione “FarWest”, appare più come un esercizio di corporativismo che come un contributo lucido al dibattito pubblico. Parlare di “solidarietà piena” e di “modello di italianità esportato nel mondo” suona come un riflesso automatico, privo di una reale presa di posizione sui fatti contestati e sulle questioni strutturali che riguardano l’azienda e il settore.

La Federazione sceglie la via della difesa d’ufficio, eludendo le domande di fondo: le condizioni dei lavoratori, la trasparenza dei contratti, l’equità dei prezzi e la qualità del servizio nei punti vendita autostradali. Rievocare la “centralità della persona” e la “legalità” senza entrare nel merito delle accuse rischia di essere retorica vuota, utile solo a proteggere un marchio più che a chiarire una verità.

È giusto riconoscere il ruolo storico di Autogrill, ma è altrettanto doveroso chiedere responsabilità e trasparenza. Le parole di FIPE-Confcommercio sembrano temere il confronto. Non c’è bisogno di essere eccessivamente diffidenti per avere la sensazione che l’organizzazione pare rifugiarsi in argomentazioni generiche come l’aumento dei costi energetici, le concessioni onerose, l’inflazione, come se bastassero a giustificare i prezzi spesso sproporzionati praticati nei punti di ristoro autostradali o la distanza crescente tra il valore del servizio offerto e quello pagato dagli utenti.

Un sindacato di categoria dovrebbe rappresentare l’interesse collettivo, non limitarsi a fare da scudo alle grandi aziende. La “narrazione parziale” che FIPE contesta ai media rischia di essere sostituita da una narrazione ancora più parziale. Quella di chi preferisce non interrogarsi sui limiti del proprio settore. Se davvero Autogrill è un simbolo del Made in Italy, dovrebbe poter affrontare un’inchiesta televisiva senza bisogno di essere difesa come una vittima sacra.

Il Paese ha bisogno di un dibattito aperto, non di comunicati autoprotettivi. E le associazioni di categoria dovrebbero tornare a essere spazi di analisi, non megafoni del conformismo industriale.

 
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