FOTO: TV33
C'era un tempo in cui i padri redarguivano i figli che dicevano bugie quando, colti in flagranza, ricevano che il pallone finito contro il vetro, infrangendolo, era sì il loro, ma che era stato il vento a farlo volare via.
I padri di quei tempi urlavano e magari mettevano in punizione i figli non tanto per il vetro rotto, ma perché avevano mentito davanti all'evidenza. E parliamo di padri, perché le madri, tradizionalmente, avevano altri metodi per ''educare''.
Dov'è finito il coraggio delle proprie azioni, cara sindaca di Merano?
Era il cosiddetto ''coraggio delle proprie azioni'' quello che le famiglie di qualche generazione fa cercavano di inculcare nelle testoline dei figli, una specie di lezione di vita a futura memoria, di cui fare tesoro quando sarebbe stati adulti.
Oggi questa cosa sembra essersi dissolta (con il permissivismo che impera), soprattutto nelle nebbie della politica, quando si crede di risolvere tutto con la solita formuletta: sono stato/stata fraintesa.
Ma se ci sono delle immagini ad certificare comportamenti che altri censurano ci sarebbe poco da fare, se non ammettere.
Questo, evidentemente, vale fino ad un certo punto ''geografico'' fermandosi davanti al municipio di Merano che oggi è guidato da Katharina Zeller, 38 anni, eletta nelle liste dell'SVP (il partito ''tedesco'') con ampio margine.
Cos'è accaduto agli occhi di tutti, ad eccezione della diretta interessata?
Nella cerimonia del passaggio di consegne con il predecessore, Dario Del Medico, Zeller, quando il sindaco uscente le ha fatto indossare la fascia tricolore, simbolo della carica, lei se l'è subito sfilata, poggiandola su una sedia, e mostrando con orgoglio il medaglione che simboleggia la comunità locale.
Una mossa improvvida dal punto di vista politico, perché è stata interpretata, per come in effetti è sembrata, quasi una presa di distanza dalle Istituzioni, che nel tricolore hanno il simbolo dell'unità nazionale, e quindi una rivendicazione orgogliosa della propria matrice politica/etnica/culturale/linguistica.
Ora, se il gesto è sembrato inequivocabile - avendone tutte le caratteristiche, compreso il valore di sistemare la fascia quasi fosse una sciarpa, un indumento, uno straccio con cui togliere la polvere -, ad accrescere lo sconcerto è stato il dopo, quando il sindaco Zeller s'è avveduta di avere, come si dice?, pestato qualcosa di organico, e piuttosto che accettarne la responsabilità (ciascuno è padrone di pensarla come vuole, a patto di non offendere o dileggiare) s'è lanciata in una spericolata spiegazione del suo comportamento, una toppa peggiore del buco.
Perché, sentirle dire che "da noi i simboli di rappresentanza sono tre. Una chiave, un medaglione che si indossa quando si rappresenta la comunità locale, e la fascia tricolore che si mette quando si rappresenta lo Stato Italiano, soprattutto se si agisce da ufficiale di stato civile. Per me era normale, in quell’occasione, mettermi solo la collana che rappresenta il territorio, tutti e due i gruppi linguistici, tutte le comunità", è sembrata più che un abbozzo di difesa, una supercazzola lessicale, senza un filo logico se non nella testa del sindaco.
Ma Katharina Zeller ha voluto andare oltre e, premesso che non intendeva mancare di rispetto al tricolore (ma, anche se non era sua intenzione, è proprio questo che ha fatto), se l'è presa con il sindaco uscente, accusandolo di averle messo la fascia quasi fosse una reginetta di bellezza.
''Mi sono opposta a un gesto provocatorio e patriarcale: teso a presentarmi come una bambina ingenua, obbligata a ubbidire a un uomo politico esperto", ha spiegato, dicendo comunque che non lo rifarebbe.
Buon per lei, anche se le Istituzioni e i loro simboli si rispettano sempre, non a corrente alternata.