Ancora una volta Donald Trump ha adottato la politica dell'imboscata, tendendo ad un suo ospite un agguato mediatico. Questa volta la vittima è il presidente del Sud Africa, Cyril Ramaphosa, caduto in un tranello quando, entrando nello Studio Ovale, pensava ad un incontro per placare le tensioni con gli Stati Uniti ed invece si è trovato a doversi difendere dall'accusa di non fare nulla per fermare il genocidio dei contadini bianchi.
Usa: Trump eleva l'imboscata a sistema politico, ne fa le spese il presidente sudafricano
L'incontro è arrivato dopo che la scorsa settimana gli Stati Uniti avevano concesso asilo a circa 60 afrikaner. Una decisione che aveva irritato il Sudafrica, tanto che la visita di Ramaphosa era stata vista come un'occasione per ristabilire le relazioni tra i due Paesi.
Al contrario, Trump ha sorpreso Ramaphosa durante una conferenza stampa in diretta con affermazioni ampiamente screditate su un "genocidio bianco" in Sudafrica.
Ha mostrato un video in cui, durante una protesta, venivano mostrate diverse croci che costeggiavano una strada, sostenendo che fossero luoghi di sepoltura di contadini bianchi assassinati.
Trump ha affermato di non sapere in quale parte del Sudafrica sia stato girato il video. Le croci, in realtà, non sono tombe vere e proprie, ma sembrano provenire da una protesta del 2020 dopo l'uccisione di una coppia di contadini nella provincia di KwaZulu-Natal.
Prima dell'incontro di mercoledì alla Casa Bianca, il leader sudafricano ha sottolineato che il miglioramento delle relazioni commerciali con gli Stati Uniti era la sua priorità. Le esportazioni sudafricane verso gli Stati Uniti saranno soggette a dazi del 30% una volta che la sospensione delle nuove tasse sulle importazioni di Trump terminerà a luglio.
Ramaphosa sperava di ''colpire'' Trump durante l'incontro, portando con sé due famosi golfisti sudafricani e regalandogli un enorme libro che illustrava i campi da golf del suo Paese.
L'incontro ha avuto un inizio cordiale, sino a quando Trump ha chiesto di abbassare le luci nello Studio Ovale, per trasmettere il video, gelando la delegazione sudafricana.
Il filmato mostrava la voce del principale oppositore sudafricano, Julius Malema, che cantava: "Sparate al boero , sparate al contadino". Poi mostrava un campo di croci che il presidente degli Stati Uniti, commentando le immagini, definì un luogo di sepoltura di contadini bianchi.
Trump ha quindi incalzato Ramaphosa, chiedendogli una "spiegazione" sulle accuse di "genocidio" dei bianchi in Sudafrica. Accuse che, peraltro, non hanno trovato alcuna conferma.
''In Sudafrica - ha replicato Ramaphosa - abbiamo una democrazia multipartitica che permette alle persone di esprimersi''.
Ramaphosa ha affermato di sperare che Trump ascolti le voci dei sudafricani su questo tema. Ha menzionato i membri bianchi della sua delegazione, tra cui i golfisti Ernie Els e Retief Goosen, e l'uomo più ricco del Sudafrica, Johann Rupert.
"Se ci fosse stato un genocidio, questi tre signori non sarebbero qui", ha detto Ramaphosa, interrotto da Trump che gli ha detto: "Ma voi permettete loro di prendere la terra, e poi quando prendono la terra, uccidono il contadino bianco, e quando uccidono il contadino bianco non succede loro niente".
Una legge controversa, firmata da Ramaphosa all'inizio di quest'anno, consente al governo di confiscare terreni privati senza indennizzo in alcune circostanze. Il governo sudafricano afferma che nessun terreno è stato ancora confiscato ai sensi della legge.
Ramaphosa ha riconosciuto che nel nostro Paese esiste "criminalità... le persone che vengono uccise a causa di attività criminali non sono solo i bianchi, la maggior parte di loro sono neri".
Riferendosi alle croci nel video, Trump ha detto: "I contadini non sono neri. Non dico che sia un bene o un male, ma i contadini non sono neri..."
Le accuse di genocidio in Sudafrica circolano da anni tra i gruppi di destra. A febbraio, un giudice sudafricano ha respinto le accuse definendole "chiaramente immaginarie" e "irreali", pronunciandosi in una causa di successione che riguardava una donazione a un gruppo suprematista bianco.
Patrick Gaspard, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Sud Africa sotto l'allora presidente Barack Obama, ha definito l'incontro "davvero imbarazzante".
"È chiaro che è stata tesa una trappola al presidente sudafricano. C'era ogni intenzione di umiliarlo, di mettere in imbarazzo il Sudafrica, per estensione", ha affermato.