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La guerra alle larve: negli Stati Uniti torna la strategia delle mosche sterili per salvare il bestiame

Redazione
 
La guerra alle larve: negli Stati Uniti torna la strategia delle mosche sterili per salvare il bestiame

Sembra la sinossi di un thriller fantascientifico, e invece è tutto vero. Negli Stati Uniti è in corso una delle più singolari campagne di sanità pubblica e veterinaria mai concepite: una guerra silenziosa e invisibile contro un piccolo, letale parassita capace di devastare interi allevamenti, colpire la fauna selvatica e persino uccidere gli animali domestici. La protagonista? Una mosca. L'arma? Mosche sterilizzate con radiazioni e liberate nei cieli per decimarne la popolazione naturale.

La guerra alle larve: negli Stati Uniti torna la strategia delle mosche sterili per salvare il bestiame

Il nemico si chiama New World screwworm, la "mosca della vite senza fine", un insetto tropicale che ha fatto nuovamente capolino nel sud del Messico, facendo suonare l’allarme alle agenzie sanitarie americane. Le sue larve, carnivore, si insediano nelle ferite di mammiferi vivi, nutrendosi dei tessuti e provocando infezioni gravissime, spesso letali. «Un bovino di mille libbre può morire nel giro di due settimane», ha spiegato Michael Bailey, presidente eletto dell'American Veterinary Medicine Association, in un’intervista ad AP News.

Gli allevatori, soprattutto quelli più anziani, ricordano bene il terrore che questo parassita provocava negli anni ‘60. «Aveva un odore disgustoso, come di carne in putrefazione», racconta Don Hineman, allevatore in pensione del Kansas occidentale.

La strategia scelta per fronteggiare questa minaccia non prevede pesticidi o insetticidi, ma una tecnologia biologica raffinata: la sterilizzazione maschile. Il piano del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense (USDA) è semplice nella teoria quanto ambizioso nella pratica: allevare milioni di mosche maschio, sterilizzarle tramite radiazioni e poi liberarle in natura. Le femmine si accoppieranno con loro, ma non deporranno uova fecondate, bloccando così la catena riproduttiva. «È una tecnologia eccezionalmente valida», ha dichiarato Edwin Burgess, professore associato all’Università della Florida e studioso di parassiti animali. «È un'eccellenza assoluta in termini di applicazione della scienza alla risoluzione di problemi di grandi dimensioni.»

Non è la prima volta che questo metodo viene utilizzato. Tra il 1962 e il 1975, Stati Uniti e Messico hanno allevato e rilasciato oltre 94 miliardi di mosche sterili, riuscendo a debellare il parassita a nord del Canale di Panama. Da allora, le operazioni sono proseguite da una fabbrica specializzata a Panama, in grado di produrre fino a 117 milioni di esemplari a settimana. Ma ora la minaccia è tornata, e con essa l’urgenza di rafforzare il fronte. L’USDA prevede di costruire una nuova fabbrica nel sud del Messico entro luglio 2026, e di aprire un centro di distribuzione nel sud del Texas già entro fine anno.

L’obiettivo è triplicare la capacità di produzione: si punta ad allevare almeno 400 milioni di mosche a settimana. Per farlo, saranno investiti 21 milioni di dollari per la riconversione di un impianto messicano attualmente adibito all’allevamento di moscerini della frutta, e altri 8,5 milioni per la struttura texana. Nonostante l’apparente semplicità della procedura, la riproduzione in cattività delle mosche della vite comporta una serie di difficoltà tecniche. «In un certo senso, allevare una grande colonia di mosche è relativamente facile», spiega Cassandra Olds, professoressa di entomologia alla Kansas State University. «Ma bisogna dare alla femmina gli indizi giusti per deporre le uova, e le larve devono avere nutrienti sufficienti.»

 Negli anni, il “menu” per le larve si è evoluto. Un tempo si utilizzava carne di cavallo e miele; oggi, la miscela include uova in polvere, plasma e globuli rossi bovini. In natura, invece, le larve si staccano dal corpo dell’animale ospite e si interrano, trasformandosi in pupe simili a caramelle marroni prima di diventare adulte. Nelle fabbriche, questo processo viene replicato artificialmente in vassoi di segatura.

Ma non tutto è sotto controllo. Il mese scorso, un piccolo aereo impegnato nel rilascio di mosche sterili si è schiantato vicino al confine tra Messico e Guatemala, provocando la morte di tre persone. Un tragico promemoria di quanto possa essere pericolosa, oltre che fondamentale, questa missione. Anche la sicurezza biologica è una priorità. «Un centro di riproduzione deve impedire la fuga di eventuali adulti fertili tenuti per la riproduzione», ha sottolineato Sonja Swiger, entomologa della Texas A&M University.

Se una sola mosca fertile dovesse sfuggire, potrebbe compromettere l'intera operazione. Nonostante i rischi, i vantaggi sono evidenti: la tecnica è più ecologica dei pesticidi e sfrutta un aspetto chiave della biologia di questi insetti. Le femmine, infatti, si accoppiano una sola volta nella loro breve vita adulta. Basta quindi che incontrino un maschio sterile perché la loro capacità riproduttiva sia azzerata. A maggio, il governo americano ha chiuso temporaneamente il confine sud alle importazioni di bovini, cavalli e bisonti vivi, per impedire che la mosca attraversi il confine. Le restrizioni resteranno in vigore almeno fino a metà settembre. Ma il vero rischio è che la minaccia si spinga ancora più a nord, favorita dal cambiamento climatico e dall'aumento delle temperature medie.

«Qualcosa su cui pensiamo di avere il controllo totale, e su cui abbiamo dichiarato trionfo e vittoria, può sempre ripresentarsi», avverte Burgess. È per questo che alcuni esperti chiedono che le nuove fabbriche non vengano chiuse nemmeno dopo un’eventuale nuova vittoria. Il nemico potrebbe non sparire mai del tutto. Per ora, il fronte si sposta nei cieli. In un curioso paradosso della scienza moderna, l’arma più avanzata contro un parassita millenario è una pioggia di mosche sterili, liberate da aerei leggeri, come negli esperimenti pionieristici degli anni ’50. Allora venivano lanciate in bicchieri di carta. Oggi, escono da macchine automatiche con nomi suggestivi come Whiz Packer. E domani? Forse, ancora una volta, sarà una mosca a decidere le sorti dell’agricoltura americana.

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