In primo piano le dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che, come riporta la BBC, ha affermato di essere pronto a indire le elezioni presidenziali nei prossimi 60-90 giorni, a condizione che la sicurezza del voto sia garantita con il sostegno degli Stati Uniti e degli alleati europei.
World Media Headlines - Zelensky apre alla possibilità di elezioni entro 90 giorni
Originariamente previste per maggio 2024 al termine del suo mandato quinquennale, le elezioni sono state sospese dalla legge marziale introdotta dopo l’invasione russa. Zelensky ha respinto con fermezza le insinuazioni secondo cui Kiev starebbe “usando la guerra” per evitare il voto, come affermato dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump in un’intervista a Politico, definendo “irragionevole” l’idea che la guerra non finisca perché lui si aggrapperebbe al potere.
La Russia, da parte sua, ha ripetutamente messo in discussione la legittimità di Zelensky e ha richiesto nuove elezioni come condizione per un accordo di cessate il fuoco, posizione che Trump ha rilanciato, insinuando senza prove che Zelensky sia il principale ostacolo alla pace, mentre gli Stati Uniti continuano a mediare per un’intesa che ponga fine al conflitto.
La questione del voto resta complessa. Lesia Vasylenko, parlamentare dell’opposizione ucraina, ha dichiarato alla BBC che per un’elezione equa tutti gli ucraini dovrebbero poter partecipare, inclusi i soldati in prima linea e i quattro milioni di rifugiati, evidenziando come in tempo di guerra non sia mai stato possibile tenere elezioni, citando l’esempio della Seconda guerra mondiale nel Regno Unito. I sondaggi confermano la cautela della popolazione: secondo l’Istituto internazionale di sociologia di Kiev, a marzo il 78% degli ucraini si opponeva al voto immediato, mentre a settembre la quota è scesa al 63%, con un 22% favorevole a elezioni dopo un cessate il fuoco garantito.
Hanna Shelest, analista di politica estera del think tank Ukrainian Prism, ha sottolineato alla BBC che la vera sfida resta creare le condizioni per il voto, considerando il milione di soldati coinvolti, le aree non protette e gli scioperi in corso. Parallelamente, Zelensky continua a subire pressioni da Trump affinché accetti un accordo di pace che comporterebbe la cessione di territori a Mosca, posizione respinta con fermezza dal presidente ucraino.
Sul fronte militare, l’Ucraina ha intensificato le operazioni contro la cosiddetta “flotta ombra” russa. Come riferiscono CBS News e il quotidiano indipendente ucraino Hromadske, diverse petroliere russe al largo delle coste turche e dell’Africa occidentale, tra cui la Kairos e la Virat, sono state colpite dai droni navali “Sea Baby” in operazioni congiunte tra la 13a Direzione principale del controspionaggio militare dell’SBU e la Marina ucraina. Gli attacchi mirano a limitare le risorse finanziarie della Russia, ostacolando la vendita illegale di petrolio e la continua elusione delle sanzioni internazionali.
La Kairos, ad esempio, è rimasta arenata al largo della costa bulgara senza riscaldamento né elettricità, confermando la portata degli interventi, come riportato dall’agenzia di stampa statale bulgara BTA. Sul piano globale, le tensioni strategiche si estendono anche al controllo degli armamenti nucleari. Secondo Reuters, la Russia ha dichiarato di essere ancora in attesa di una risposta formale da Washington alla proposta del presidente Vladimir Putin di aderire congiuntamente al New START, il trattato sul controllo delle armi strategiche in scadenza il 5 febbraio. Sergei Shoigu, segretario del potente Consiglio di sicurezza russo, ha sottolineato l’urgenza della risposta, definendo la proposta un’opportunità per fermare il “movimento distruttivo” in atto nel controllo degli armamenti nucleari. Stati Uniti e Russia insieme possiedono oltre 10.000 testate nucleari, pari all’87% dell’inventario mondiale, mentre la Cina detiene circa 600 testate secondo la Federazione degli Scienziati Americani.
I trattati sul controllo degli armamenti, nati dopo la crisi dei missili di Cuba del 1962, rischiano oggi di crollare a causa delle tensioni strategiche tra Mosca e l’Occidente e dei contrasti sull’allargamento della NATO e sulla guerra in Ucraina. Nel Pacifico, il Giappone monitora con crescente attenzione le manovre congiunte di Russia e Cina. Come riportato da Reuters, il ministero della Difesa giapponese ha rilevato un volo congiunto di due bombardieri strategici russi Tu-95 e due bombardieri cinesi H-6, accompagnati da quattro caccia J-16 tra le isole di Okinawa e Miyako, nel Mar Cinese Orientale. Attività simili sono state registrate nel Mar del Giappone, con aerei da allerta precoce A-50 e caccia Su-30.
Il ministro della Difesa Shinjiro Koizumi ha definito queste operazioni una dimostrazione di forza contro il Giappone e una seria preoccupazione per la sicurezza nazionale. Anche la Corea del Sud ha segnalato l’entrata di sette aerei russi e due cinesi nella sua zona di difesa aerea, in un quadro di crescente cooperazione militare russo-cinese, che include esercitazioni navali con fuoco vivo nel Mar Cinese Meridionale e addestramenti antimissile sul territorio russo.
In Europa, le sfide migratorie e di sicurezza dei confini continuano a generare dibattito politico. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha chiesto al Guardian di aggiornare l’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) affinché gli Stati membri possano adottare misure più severe per controllare l’immigrazione e contrastare la crescita del populismo. Starmer, insieme alla premier danese Mette Frederiksen, ha sostenuto che modernizzare la CEDU sia necessario per proteggere le democrazie europee e gestire l’immigrazione di massa, pur rispettando legge, ordine ed equità.
La proposta include la possibilità di chiarire come gli articoli 8 e 3 della convenzione, relativi al diritto alla vita privata e al divieto di tortura e trattamenti degradanti, siano interpretati in contesto migratorio. La mossa ha suscitato critiche da parte di attivisti per i diritti umani e di parlamentari laburisti, preoccupati che possa esporre le persone più vulnerabili a espulsioni e abusi. In Francia, il leader del partito di estrema destra Rassemblement National, Jordan Bardella, ha dichiarato alla BBC di condividere in larga parte le preoccupazioni espresse dall’amministrazione Trump nella nuova strategia di sicurezza nazionale, pur sottolineando l’indipendenza europea. Bardella ha denunciato l’impatto dell’immigrazione di massa sull’equilibrio sociale e politico dei Paesi europei e ha promesso, se eletto, di indire un referendum sull’immigrazione per ristabilire il controllo dei confini.
Il giovane leader, in testa nei sondaggi per la successione a Marine Le Pen, ha chiarito la sua posizione sulla guerra in Ucraina: pur riconoscendo la minaccia russa, si oppone all’invio di soldati francesi, temendo un’escalation in un contesto di armi nucleari. Bardella ha difeso la laicità e i valori repubblicani, annunciando misure contro l’islamismo radicale e la chiusura delle moschee radicali, e ha criticato l’economia francese, definita “malata” a causa di eccessiva tassazione e regolamentazione, promettendo riforme strutturali.