Economia
Tassare gli extraprofitti? Non è certo una bestemmia
Redazione
Le tasse, lo ripetiamo anche se a qualcuno sfugge, sono un modo, sebbene ''doloroso'', per mandare avanti un Paese e quindi tutti debbono accettarle sapendo di contribuite al bene comune. C'è chi non lo fa, in modo illecito (gli evasori, tanto per capirci) ; c'é chi si dice inorridito anche solo dal fatto di esserne il destinatario e comunque, alla fine, paga. Per questo, dal punto di vista di chi per mestiere giudica gli altri, senza accettare critiche (parliamo dei giornalisti), è stato interessante assistere al duro confronto tra chi voleva tassare i profitti esorbitanti delle banche, chiedendo loro di partecipare allo sforzo del Paese, e chi, invece, considera questa ipotesi una bestemmia.
Tassare gli extraprofitti? Non è certo una bestemmia
Alla fine, ieri sera, in Consiglio dei ministri è stato deciso che banche e assicurazioni (almeno le più grandi) devono essere accanto al Paese (lo stesso che ha consentito loro di incamerare profitti spropositati, vista la situazione italiana) e dovranno contribuire con tre miliardi e 500 milioni di euro, da indirizzare verso settori in costante sofferenza, come la Sanità, che sta toccando uno dei punti più bassi della sua storia, in termini di servizi e di riconoscimento dei suoi operatori.
Una soluzione di quelle che potrebbero essere definite tartufesche, perché, dietro l'etichetta di ''accordo'', si nasconde un contributo che è stato ''caldamente'' sollecitato al sistema bancario e a quello assicurativo.
Un controsenso, potrebbe commentare qualcuno, considerato che viviamo in un Paese in cui l'imprenditoria è a dire poco ampiamente tutelata dall'impronta liberista del sistema Italia.
Ma se il ''sistema'' appena accennato ti consente di ingrassare le tue casse, in virtù di meccanismi che certo non aiutano il cittadino-cliente-pagatore, quando ti si chiede di restituire (si fa per dire) parte dei guadagni non puoi sostenere che di extraprofitti le banche non ce ne hanno, pagando un euro sull'altro quel che il sistema fiscale prevede.
Perché, verrebbe da rispondere, anche se la tassazione è progressiva (più guadagni o sei ricco, più paghi) , quando gli incassi lievitano in modo abnorme e tu non ne tieni conto, magari abbassando tariffe o costi dei servizi, il Paese - inteso come potere politico - può chiederti ''qualcosa''. Si dirà che i 3,5 miliardi di euro sono una somma enorme. Certo, questo in termini assoluti. Se, però, si avesse voglia e tempo di vedere quanto certificato dai bilanci delle nostre banche (come quelli di molti altri Paesi, d'altra parte) ci si accorgerebbe che quel contributo, oltre a qualche arrabbiatura, certo non getta sul lastrico nessuno.
Viste queste premesse, che in CdM sia stato annunciato un accordo è un fatto positivo, essendo insito nella definizione che tra le parti ci sia perfetta consonanza tra le parti, nel caso particolare governo e Abi, sull'anticipo delle Dta (le imposte differite attive) e sugli incrementi patrimoniali.
Ma il contributo di 3,5 miliardi, in due anni, è congruo rispetto ai profitti?
Decidete voi: nel 2022 e nel 2023 le banche hanno registrato profitti per 66 miliardi di euro. E lo scorso anno, in particolare, ha detto Matteo Salvini, ''Visti i guadagni da 40 miliardi del solo 2023 mi aspetto contributi importanti''.