Salute

Stress da lavoro, la “strage Silenziosa”: oltre 10.000 morti l'anno in Europa

Redazione
 
Stress da lavoro, la “strage Silenziosa”: oltre 10.000 morti l'anno in Europa

Ogni anno in Europa (considerando l'Unione Europea e il Regno Unito) oltre 10 mila persone perdono la vita a causa dello stress legato al lavoro. Questo dato, di proporzioni inquietanti, supera di gran lunga le circa 4 mila vittime registrate annualmente per incidenti fisici sui luoghi di lavoro, rivelando i contorni di un dramma di proporzioni immense e spesso ignorato.

Stress da lavoro, la “strage Silenziosa”: oltre 10.000 morti l'anno in Europa

A lanciare l'allarme è la Confederazione Europea dei Sindacati (CES), un'organizzazione che dal 1973 riunisce 90 confederazioni nazionali in 39 Paesi. Secondo l'analisi della CES, le cause fatali di questo fenomeno si suddividono prevalentemente in coronaropatie legate allo stress lavorativo (oltre 6.000 decessi, 6.190 per la precisione) e suicidi correlati alla depressione da lavoro (quasi 5.000, 4.843 nel dettaglio). Numeri che colpiscono in maniera sproporzionata soprattutto le donne, spesso schiacciate da turni estenuanti, precarietà crescente e fenomeni di mobbing.

Le aree geografiche dove il prezzo da pagare è più alto sono l'Europa centrale, orientale e sudorientale. Di fronte a questo scenario, i sindacati europei hanno rivolto un appello urgente alla Commissione Ue, chiedendo una direttiva specifica nell'ambito del pacchetto lavoro di qualità, con obblighi precisi per le aziende sulla valutazione dei rischi psicosociali, un processo che deve necessariamente coinvolgere i lavoratori e i loro rappresentanti. "L'Europa ha finora guidato il mondo nella protezione della sicurezza fisica sul lavoro. Ora deve fare altrettanto per la salute mentale", ha sottolineato la segretaria generale della CES, l'irlandese Esther Lynch.

Un'esigenza resa ancora più pressante dalle rapide trasformazioni del mondo del lavoro: l'avvento dell'intelligenza artificiale, la digitalizzazione spinta, l'ascesa delle piattaforme online e la transizione ecologica stanno ridisegnando le regole, introducendo al contempo nuovi e insidiosi pericoli come stress cronico, isolamento, ansia e burnout.

Giulio Romani, segretario confederale della CES e rappresentante italiano, ha posto l'accento sull'impatto della pandemia: "L'enorme aumento del telelavoro e della digitalizzazione seguito al Covid-19 ha ulteriormente sfumato i confini tra sfera professionale e vita privata, alimentando orari di lavoro più lunghi e una cultura della reperibilità costante che ha avuto un impatto grave sulla salute dei lavoratori". La sua voce risuona forte nel parallelismo con le tragedie visibili: "Se oltre 10 mila persone morissero ogni anno per rischi fisici – ha dichiarato Romani – la Commissione adotterebbe giustamente misure urgenti. Ora sono necessarie per questa strage silenziosa".

Ma il quadro del disagio lavorativo non si ferma alle statistiche più drammatiche a livello europeo. Anche in Italia, recenti analisi confermano una sofferenza diffusa. Secondo l'ottavo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, presentato lo scorso febbraio, quasi un terzo (31,8%) dei lavoratori dipendenti ha provato sensazioni di esaurimento, estraneità o comunque sentimenti negativi nei confronti del proprio lavoro, manifestando chiare forme di burnout. Un fenomeno che colpisce in maniera sproporzionata i giovani (47,7%), pur interessando significativamente anche adulti (28,2%) e lavoratori più anziani (23,0%).

Il disagio, emerge dal report, si manifesta in molteplici forme tangibili nella vita quotidiana: il 73,0% ha vissuto situazioni di stress o ansia legate al lavoro, il 76,8% non sempre è riuscito a trovare un equilibrio soddisfacente tra vita privata e professionale, il 75,9% si sente spesso sopraffatto dalle responsabilità quotidiane, e il 73,9% percepisce una pressione eccessiva quando lavora. A ciò si aggiunge un senso di frustrazione per via del mancato supporto da parte del datore di lavoro (67,3%) e la percezione che l'azienda non promuova un ambiente lavorativo sano (68,5%).

Una sofferenza che incide persino sulla capacità di concentrazione (65,0%) e spinge oltre un terzo (36,7%) ad aver fatto ricorso a supporto psicologico o counseling a causa del proprio lavoro. Il disagio si traduce anche nella "sindrome da corridoio", quell'osmosi di ansie e disagi tra sfera professionale e vita privata che, secondo il rapporto Censis-Eudaimon, affligge tre milioni di dipendenti, riducendo drasticamente il benessere soggettivo, la qualità della vita e la salute mentale. I confini sempre più labili portano il 25,7% dei dipendenti a portarsi al lavoro i problemi personali, con effetti negativi sulla performance lavorativa, e ben il 36,1% a portarsi i problemi lavorativi a casa, con conseguenze dannose sulle relazioni familiari e amicali.

Questo fenomeno del "portarsi il lavoro a casa" è particolarmente accentuato tra i giovani (41,0%). Parallelamente a questi disagi, emerge chiara la voce dei lavoratori sulle loro necessità per migliorare il benessere. Al di là del supporto più strutturato, la richiesta più forte è di tempo: l'89,4% vorrebbe più tempo per sé stessi e le attività che ama, l'86,2% per stare di più con amici e parenti, il 79,0% per potersi riposare, il 78,9% per svolgere attività fisica, e il 73,9% per dedicarsi ad attività culturali. Ma c'è anche una chiara domanda di supporto psicologico: il 63,5% vorrebbe aiuto per accedere a percorsi come meditazione, yoga o supporto psicologico.

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