Da decenni ormai (e non manca molto che saranno 50 anni, mezzo secolo), quando si ricorda la strage di Bologna, si assiste al solito spettacolo, con chi condanna l'attentato, dandogli un'etichetta (che è la stessa delle sentenze), e chi ne parla come di un episodio a sé stante, quasi fosse stato un gesto auto-generatosi, senza un padre o una madre.
Strage di Bologna: la perenne tentazione di riscrivere la storia, ignorandola
Non è stato così, perché, nel momento in cui dei magistrati, leggendo le carte del processo e grazie all'istruttoria dibattimentale, propendono per attribuirne la responsabilità ad esponenti neofascisti, la Storia è stata già scritta.
A meno che non si voglia pensare ad un tentativo di intossicazione della verità, che più componenti dello Stato si siano unite in una gigantesca ragnatela che è andata avanti allargandosi, con il solo obiettivo di occultare fatti evidenti, piegandoli ad una logica politica o ideologica.
E' in fondo il vero sport nazionale, quello di ''capire'' che la verità che emerge è sempre fasulla, manipolata per aiutare il padrone del vapore del momento. Le polemiche che sono seguite alla manifestazione del 2 agosto, a Bologna, non sono giunte inattese e nemmeno nuove, per i loro contenuti e protagonisti. Tutto secondo una scontata e ripetitiva partitura che contribuisce a rendere ancora più irrespirabile l'aria che si respira intorno ai templi della nostra politica.
Non stiamo parlando di manipolazione, ma di qualcosa che va oltre, cioè tentare di erodere le basi di una ricostruzione che ha individuato, e quindi condannato, chi si nutriva di una ideologia che è ancora vicina a parte di coloro che sono alla guida del Paese e che, pur se in determinate occasioni hanno espresso la condanna del fascismo, sembrano volerne alleggerire le responsabilità storiche, con una rivisitazione di fatti inequivocabili, sul quali si tenta di dare pennellate salvifiche.
Come quando si sente addossare le colpe del disastro della seconda guerra mondiale, e di quel che ha significato per il mondo, solo alla Germania, relegando in un cantuccio il regime fascista e i suoi interpreti, con le rispettive colpe.
Tornando alla strage di Bologna, ancora oggi, nonostante le sentenze di condanna definitive a carico di Gilberto Cavallini, Paolo Bellini, Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, esponenti del neofascismo armato e terrorista, c'è chi accredita ricostruzioni alternative - come la cosiddetta pista palestinese, ovvero un attentato fatto da un gruppo estremista armato, anche se non se ne sono mai ipotizzate, con serietà, motivazioni e obiettivi - che sembrano più un tentativo di intorbidire le acque, piuttosto che proporre ipotesi potenzialmente fondate.
Ma c'è un'altra sottile manovra, che è quella di non attribuire nessun profilo all'attentato e suoi autori, pensando che in questo modo il peso della responsabilità resti sospeso nell'aere, andandosi a posare a casaccio.
Forse non è il caso del comunicato con cui la Cisl della Romagna che, piuttosto che tenersi sul generico, ha affermato che ''il terrorismo non ha colore politico, ma ha solo il volto della barbarie e della viltà''. Se questo commento fosse stato fatto all'indomani dell'attentato, avrebbe potuto essere considerato come frutto della prudenza, in attesa dell'esito delle indagini.
Ma oggi, a 45 anni da quell'esplosione che uccise 85 persone, dopo che le sentenze hanno avuto l'avallo della Cassazione, sembra un tentativo di non esporsi.
Salvo poi, sotto la valanga di reazioni negative, ripensarci e fare proprie le parole del Presidente Mattarella, che ha collocato la strage in una "spietata strategia eversiva neofascista che mirava a colpire i valori costituzionali, le conquiste sociali e, con essi, la nostra stessa convivenza civile".
Che poi, in tempi recenti, la Cisl stia dando colpetti al timone cambiano la sua rotta, ritrovandosi spesso sulla stessa linea del governo, è certamente casuale.
Anche perché , ''honni soit qui mal y pense''.