Economia

Stellantis, la strana ricetta di Tavares: senza incentivi, possibili licenziamenti

Redazione
 
Facciamo un giochino, tanto per non guardare all'aspetto drammatico di questa storia.
Sentendo Carlos Tavares, AD di Stellantis, parlare di posti di lavoro come se fossero figurine sta scartare - questa la tengo, queste le butto via - e non invece vite da stravolgere, a quali film viene da pensare?
Il primo, il più facile, il più scontato, quello che non ha bisogno d'essere spiegato, è ''Prendi i soldi e scappa'', di Woody Allen, storia ad altissimo contenuto umoristico di un criminale da strapazzo che non ne azzecca una, per il solo motivo che lui il delitto nemmeno sa dove stia di casa.

Stellantis, la strana ricetta di Tavares: senza incentivi, possibili licenziamenti

Ma Tavares potrebbe essere paragonato all'imbranato Virgil Starkwell?
No, perché a differenza di Virgil-Woody, che ha coscienza dei suoi limiti eppure continua a sperare nel colpo della vita, Tavares pensa di essere furbo, furbissimo, il più furbo di tutti a questo mondo, ritenendo, quasi fosse stato baciato dal dono dell'onniscienza, di essere ''legibus solutus'', almeno dalle leggi dell'economia.
E non si fa sfiorare dal dubbio nemmeno quando ha davanti agli occhi gli effetti di politiche industriali appiccicaticce, che, alla prova dei fatti, alla fine falliscono. In alcuni casi, mancando di poco l'obiettivo, in altri - i più - fallendo clamorosamente.

Un altro film che potrebbe essere ispirato da Stellantis è quello che, sistematicamente, accompagna le nostre serate di fine anno, quando ''Una poltrona per due'', di John Landis, con Eddie Murphy e Dan Aykroyd, viene riproposto in continuazione ormai da una quarantina d'anni. Per chi non ricorda il film, la trama si basa sull'esperimento sociologico portato avanti, in modo tutto da ridere, da due ricchissimi fratelli che scommettono che a fare l'agiatezza non sono i soldi che chiamano altri soldi, ma le capacità della persona.

Ora, ai giorni nostri, la poltrona in questione è quella di amministratore, CEO, Dio in terra, in casa Stellantis, e ad aspirare a restarvici incollato è il prode Carlos Tavares che, forse pensando che il nome da maestro di guitarra portuguesa lo renda affascinante e quindi comprensibile da tutti, fa e disfa a suo piacimento, non ascoltando chi, prima che prudenza, gli consiglia moderazione nell'esercizio della sua funzione. Che sarebbe in scadenza, ma che lui spera di portare avanti ancora per parecchio.

Lui, quindi, va spedito per la sua strada e, dopo avere creato un clima infuocato negli Stati Uniti (l'UAW, l'United Automobile Workers, il potentissimo sindacato dei lavoratori del settore, ha deciso di inseguirlo nelle aule di giustizia di mezza America), ora fa lo stesso in Italia, con sfrontatezza pari alla sua arroganza. E lo fa sentendosi autorizzato a fare quel che vuole dei dipendenti, a meno che lo Stato italiano non vari un corposo programma di incentivi.

Un ricatto bello e buono, che può essere sintetizzato in una frase: o fate quel che dico oppure preparatevi a vedere migliaia di persone mandate a casa. Esageriamo?
No, affatto, e se magari in chi ci legge c'è un dubbio residuo rimandiamo a quel che ha detto l'uomo venuto da Lisbona a una domanda specifica: ci potranno essere licenziamenti in Stellatis?
''Non scarto nulla'', ha detto, e sin qui potrebbe sembrare una risposta di prudenza. Ma poi a sentirgli dire che la ''salute finanziaria'' della casa ''non passa unicamente dalla soppressione di posti", ma "attraverso tante altre cose: immaginazione, intelligenza, innovazione, che è quello che stiamo facendo'' , riusciamo a trattenere a stento la risata. Perché Tavares parla come se lui in cima alla piramide di Stellantis fosse arrivato ieri l'altro e non invece da anni e come se tutte le mosse che si stanno dimostrando sbagliate, per non dire altro, non portassero in calce la sua firma.

Che poi il licenziamento dei dipendenti non sia ''al centro della nostra riflessione strategica" dovrebbero dirlo i fatti, non le parole in libertà. Esercizio che Tavares ama molto, anche se i risultati talvolta risultano drammaticamente esilaranti. Perché quando dice che ''al cuore della nostra riflessione strategica, c'è rendere i nostri clienti felici, attraverso la qualità dei nostri prodotti, attraverso l'innovazione delle nostre tecnologie, e dalla dimensione accessibile della nostra mobilità che deve essere pulita" sfida la nostra capacità di non ridergli in faccia.

Perché se a lui sta a cuore la felicità dei clienti (che poi lo siano veramente dovrebbero dirlo loro, alla luce della qualità delle vetture), a noi, da italiani, sta a cuore una industria che ha fatto la storia del nostro Paese.
Certo, facendo la fortuna di un gruppo - ai cui desiderata la nostra classe politica sin troppo si adeguava -, ma dando da mangiare a un sacco di persone.
E oggi, sentire dire a Tavares che Stellantis ha bisogno di incentivi per continuare ad andare avanti in Italia, non è solo uno schiaffo alla nostra storia industriale e alla nostra intelligenza, ma anche un modo per utilizzare non il classico ''do ut des'', ma mezzucci da bullo di quartiere.
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