C'è qualcosa nella strategia di comunicazione di Jannik Sinner che ci sfugge, come se questo ragazzo, cresciuto a sport (avrebbe potuto eccellere nello sci e forse anche in quale altro, sempre ad altissimi livelli), con una forza di volontà che lo ha reso il numero 1 al mondo - anche se da poco ha dovuto cedere lo scettro a Carlos Alcaraz - , facesse di tutto, una volta arrivato al top della fama e della passione, per tornare indietro, per macchiare la sua immagine pubblica con pennellate negative.
Sinner dice No alla Davis e l'Italia si spacca
Era già accaduto, come quando, portando a giustificazione la stanchezza, disertò l'invito al Quirinale del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che voleva complimentarsi con gli azzurri per il trionfo in Davis.
E la Davis c'entra pure nell'ultima sua decisione, quella di non fare parte della squadra che difenderà la coppa, nella finale ad otto in programma in Italia, a Bologna.
L'annuncio ha spaccato in due gli appassionati, con la maggior parte che non ha esitato a manifestare la sua delusione, mentre una minoranza ha accettato per buona (come forse è) la spiegazione che Sinner vuole preparare al meglio il 2026, durante il quale cercherà di tornare in testa alla classifica dell'ATP.
Ogni spiegazione, ogni motivazione può andare bene, anche perché probabilmente la scelta di non giocarsi la Coppa è stata fatta in funzione di una preparazione che, per atleti del suo livello, non può lasciare nulla al caso.
Perché, si pensa, sarà lo stesso ragionamento che fanno altri tennisti di alta classifica.
E invece non è esattamente così, perché il suo avversario più forte, Carlos Alcaraz, a Bologna ci sarà, per guidare la nazionale spagnola.
Alcaraz sì e lui no?, si stanno chiedendo gli appassionati italiani, facendo prevalere la tesi che pesino di più le ragioni del portafoglio su quelle del cuore - alla maglia azzurra non si può dire di no! - Allora, lo spagnolo può non riposare e l'italiano sì?
Domande che sono solo un tassello del più ampio ''mosaico Sinner'' che molti in Italia guardano con diffidenza, ad esempio per avere scelto di risiedere a Montecarlo, coccolato per i suoi conti in banca e per pagare solo pochi spiccioli di tasse rispetto alla montagna di milioni di euro che incassa ogni qualvolta si allaccia le stringhe delle scarpe con cui calca i campi.
Di Sinner tutti sono pronti a celebrare i successi, a gioire nel vederlo baciare la coppa del vincitore di Wimbledon o a espugnare gli infuocati (dal punto di vista proprio della temperatura) campi australiani, ma anche a mostrare un minimo di insofferenza vedendo le pubblicità che ormai da tempo lo vedono entrare nelle case di ciascuno, tra una tazza di caffè, un integratore, una pasta e ancora e ancora.
Questo glielo si perdona, ma non il ''gran rifiuto'', anche se lui ha firmato le due Davis che abbiamo portato a casa. Ora, che lui dica di non poterci essere, facendo intuire che deve farlo, muove a stizza la reazione di chi voleva che quella coppa restasse in Italia. Senza di lui, è tutto più difficile, ma è nella logica delle cose, perché forse si dimentica che la ''macchina Sinner'' non è indistruttibile, come alcuni recenti ritiri hanno certificato, tra infidi virus intestinali e crampi che gli hanno letteralmente bloccato le gambe. Fino a quando si tratta di tornei di routine, anche se molto ricchi, puoi anche starci.
Ma se parliamo di prove dello Slam, o di esibizioni a peso d'oro come il Six Kings Slam, a Riad, ecco allora che il discorso cambia. All'open di Australia, il primo dell'anno, Sinner deve arrivare al massimo della forma, anche se il cemento è suo amico, il suo migliore alleato nella continua corsa a due con Alcaraz.
Ma tutte queste considerazioni non reggono se un Paese chiede che a rappresentarlo sia il migliore, e Sinner è il migliore. E questo val bene la stanchezza di un ulteriore torneo a fine stagione? Per noi, comuni mortali, sì. Per lui, evidentemente, no.