Il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, è stata rinviata a giudizio, dal Giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Milano, Anna Magelli, in relazione ai contestati falsi nella redazione dei bilanci dell'editrice Visibilia, di cui è stata amministratrice. L'addebito è quello di falso in comunicazioni societarie, reati che sarebbero stati commessi nell'arco di alcuni anni. Sedici le persone rinviate a giudizio, tra le quali l'attuale compagno del ministro, Dimitri Kunz, e l'ex, Giovanni Canio Mazzaro, la sorella, Fiorella Garnero, e la nipote, Silvia Garnero.
Daniela Santanchè rinviata a giudizio per i bilanci irregolari di Visibilia
Quello che dovrà tenersi a marzo è il primo processo di una serie di processi che vedono Daniela Santanchè coinvolta. In un altro procedimento, per il ministro è ipotizzata l'accusa di truffa in danno dello Stati, pari a 126 mila euro. A tanto ammonterebbe la cassa integrazione a zero ore applicata, nel periodo della pandemia, ai dipendenti di Visibilia, che invece avrebbero continuato a lavorare. Sul processo pende in giudizio della Cassazione, che dovrà deciderne la sede, cu sui pende un ricorso di competenza territoriale.
Altra grana giudiziaria per Santanchè è quella in cui, contro di lei, è stata ipotizzata l'accusa di concorso nella bancarotta della società del settore bio “Ki Group srl” in liquidazione giudiziale.
Ma ci sono ipotetici ulteriori problemi giudiziari in relazione ad una compravendita immobiliare - di una villa di proprietà di Francesco Alberoni, a Forte dei Marmi - che comportò, per Dimitri Kunz e Laura De Cicco, moglie del presidente del Senato, Ignazio La Russa, un guadagno di un milione, in un'operazione che, tra acquisto e vendita, durò meno di un'ora.
La difesa della ministra, in ordine alla decisione odierna del Gup, esprime il suo dissenso, anche se uno dei legali, Nicolò Pelanda, ha detto che era attesa, confidando di potere dimostrare, in dibattimento, l'innocenza della sua assistita.
Se questo è l'aspetto meramente giudiziario della giornata odierna, ce n'è uno, non meno importante, che riguarda il profilo politico. Cioè, se e in che misura la decisione odierna del Gup potrebbe avere riflessi sulla prosecuzione della ''carriera'' da ministro di Daniela.
La vicenda è delicata. Se si guarda alla contestazione odierna (che si incastra in un quadro generale che vede Santanchè rispondere oggi di altre ipotesi di reato, in procedimenti diversi) essa potrebbe essere considerata come un fatto spiacevole, ma non politicamente talmente disdicevole per il governo da consigliare le dimissioni.
Si dice che un rinvio a giudizio è parte di un processo, e questo è vero, poiché alla fine una assoluzione risolverebbe tutto. Peraltro, la recente assoluzione di Matteo Salvini, per reati ben più gravi e per più potenzialmente forieri di pesanti condanne, insegna che bisogna sempre aspettare la fine di un percorso giudiziario.
Ma è lo scenario complessivo che rischia di diventare un lungo percorso minato. Perché la decisione di oggi del Gup potrebbe non essere la sola a decidere che Daniela Santanché debba andare a processo. E, vista la ''qualità'' degli altri procedimenti, dei quali si aspetta l'esito, almeno a livello di rinvio a giudizio, Giorgia Meloni potrebbe anche guardare con fastidio ad una lunga stagione di logoranti polemiche, di cui il governo, che ha ben altro da pensare, sinceramente vorrebbe evitare.