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Referendum, nel Pd parte la caccia grossa: nel mirino Elly Schlein

Redazione
 
Referendum, nel Pd parte la caccia grossa: nel mirino Elly Schlein

Forse nessuno di quelli che, dentro il Pd, di politica e demoscopia ne capiscono, pensava che i referendum potessero avere un esito positivo. Non tanto nei numeri e nelle percentuali, ma nella percezione di una iniziativa che fosse compresa dalla gente. Invece, non solo il quorum non è stato raggiunto, ma, nonostante i numeri suonassero a condanna, i promotori della consultazione hanno cercato di trovare dei lati positivi, con alchimie numeri improponibili, vista l'evidenza della sconfitta.

Referendum, nel Pd parte la caccia grossa: nel mirino Elly Schlein

Quindi, mentre il già stracolmo carro dei vincitori è stato preso d'assalto da chi, dentro la maggioranza, aspettava l'ufficializzazione dei numeri per esprimere soddisfazione e, contestualmente, sfottò a sangue nei confronti di chi è stato sconfitto, dall'altro lato del campo di battaglia si è scatenata, anche se sottovoce, la caccia al colpevole.

E in questo momento, a girare con un bersaglio sulla schiena è Elly Schlein, che, all'improvviso, sembra essere diventata il capro espiatorio di tutto, soprattutto di cose delle quali non è certo responsabile.
Ma l'esito già scritto del referendum non ha fatto altro che acuire le divisioni interne al Pd, dove la segreteria nazionale e la segretaria non sono riuscite a risolvere il nodo dei rapporti tra la maggioranza interna e i riformisti, quelli che, tanto per essere chiari, non si ritrovano nelle posizioni assunte da Elly Schlein, non perché non le condividano in linea di principio, ma perché esse sembrano spaventare quegli iscritti e simpatizzanti del partito ''tranquillo'' di ieri e non apparentemente barricadero di oggi.

Non è, comunque, che la segretaria abbia portato il Pd su chissà quali sponde estremistiche, ma sono l'apparentemente radicalizzazione della condotta politica e, soprattutto, la mancata soluzione di nodi cruciali (come il rapporto con i Cinque Stelle e l'ambizione personale di Giuseppe Conte) che creano confusione ed incertezza.

Se, ad esempio, Maurizio Landini può essere una risorsa per la sinistra, la base del Partito democratico non lo percepisce come ''suo'', ma come un elemento forte del sindacato, senza che però questo lo faccia assurgere ad icona, come forse qualcuno aveva sperato in funzione anti-Schlein.

Questi referendum, certo di più dei precedenti, devono servire al Pd a fare chiarezza al suo interno, a capire sino a che punto Elly Schlein possa portare il partito al di fuori dell'attuale scenario, giusto o sbagliato che sia. Ma che sia, quello futuro, uno scenario in cui il partito sia sé stesso e non in balia di simpatie e convenienze del momento.

E che, alla fine, si prenda atto che l'idea di federare le opposizioni è un progetto nato morto se tutti quelli che dovrebbero farne parte non metteranno da parte le pulsioni di affermazione personale.

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