Economia

Rapporto ISMEA 2024: l’agroalimentare italiano tra apertura internazionale e sfide di approvvigionamento

Redazione
 

Il settore agroalimentare italiano si trova al centro di una trasformazione profonda, sospeso tra una crescente internazionalizzazione e la necessità di consolidare la propria autonomia produttiva. È quanto emerge dal Rapporto sull’agroalimentare italiano presentato questa mattina dall’ISMEA, che traccia un quadro articolato di luci e ombre sul comparto. Con una capacità di approvvigionamento interno vicina al 100%, il sistema agroalimentare del Paese dimostra una certa solidità complessiva, ma i dati rivelano importanti fragilità nelle singole filiere, legate alla dipendenza dall’estero per materie prime cruciali. Il tasso di approvvigionamento generale dell’agroalimentare italiano nel 2023 si è attestato al 99,2%, un risultato che testimonia la capacità del sistema di soddisfare quasi integralmente il fabbisogno interno. Tuttavia, questa apparente autosufficienza cela disparità significative tra i comparti. L’agricoltura italiana soffre infatti di una produzione insufficiente per alcuni beni primari, mentre l’industria alimentare, sempre più orientata all’export, ha accentuato la necessità di importare materie prime. La combinazione di una domanda internazionale crescente e di una disponibilità interna ridotta – complice l’impatto dei cambiamenti climatici – ha acuito il deficit di alcune filiere strategiche, rendendole vulnerabili a shock geopolitici e sanitari.

“Nel Rapporto sull'agroalimentare italiano presentato oggi da ISMEA parlano i dati – commenta Francesco Lollobrigida, Ministro dell'agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste -, che vedono in questi due anni dei risultati eccezionali: uno è quello della crescita del nostro export, maggiore rispetto agli ultimi anni, ma il dato più importante è quello degli investimenti che crescono del 43,5%. Un modello di sviluppo che ricerca non il consenso di oggi, ma i risultati per l'Italia del domani. Gli investimenti in agricoltura sono quelli che rafforzano il nostro mondo, la nostra economia e che sono mancati per troppi anni”.

“Con questa seconda edizione del Rapporto sull'agroalimentare italiano – evidenzia  il presidente ISMEA, Livio Proietti - ISMEA conferma l'obiettivo di produrre con cadenza annuale un'analisi consolidata dello "stato di salute" del settore, si tratta di una pubblicazione attenta e rigorosa che vuole fornire uno strumento agevole di lettura e comprensione dei fatti, ancora più rilevante nel contesto attuale, dominato da incertezza sia sotto il profilo macroeconomico che sul fronte internazionale. Mettere a fattor comune, in una visione d'insieme, il nostro patrimonio di analisi e monitoraggio ci consente di fornire gli strumenti per interpretare i fenomeni e far si che gli operatori del settore possano cogliere opportunità di crescita e consolidamento, a tutto vantaggio della performance complessiva del sistema agroalimentare nazionale”.

Gli fa eco Sergio Marchi, Direttore Generale ISMEA: “Dal rapporto ISMEA emergono ancora una volta le straordinarie doti di solidità e resilienza dell'agroalimentare italiano, di fronte alle tante sfide di natura macroeconomica, geopolitica e meteo climatica che si è trovato a fronteggiare negli ultimi anni. Un settore che si è ritagliato un posto di rilievo nell'economia nazionale, arrivando a rappresentare, nella sua accezione più estesa "dal campo alla tavola", oltre il 15% del Pil nazionale, e che riveste un ruolo da protagonista anche in Europa e nel mondo.  Al nostro Paese si deve quasi il 17% del valore aggiunto agricolo europeo e quasi il 12% di quello dell'industria alimentare, quote che collocano l'Italia ai primissimi posti in Ue, mentre le esportazioni, cresciute di circa il 90% in un decennio, evidenziano una dinamicità superiore alla media europea, mondiale e dei principali competitor. Da segnalare, tuttavia, in uno scenario internazionale di crescente instabilità, la questione della strutturale dipendenza dall'estero di alcune filiere chiave del made in Italy, un tema a cui il MASAF e il Governo hanno dedicato particolare attenzione con la istituzione di uno specifico Fondo per la Sovranità alimentare. Il rapporto ISMEA ha riservato quest'anno un ampio approfondimento a riguardo, volto anche all'identificazione delle catene di fornitura maggiormente vulnerabili a causa dei fattori geo-politici, climatici e sanitari”.

ISMEA evidenzia come il tasso di approvvigionamento sia particolarmente basso per alcune categorie di prodotti. Tra i principali: mais e soia, pilastri dell’alimentazione zootecnica, sono tra i più problematici. Le importazioni di mais, soprattutto dall’Ucraina, hanno portato il tasso di approvvigionamento al 46%, mentre per la soia, proveniente in gran parte dal Brasile (50%), il dato si ferma al 32%. Frumenti tenero e duro, essenziali per la produzione di pasta e prodotti da forno, mostrano una significativa dipendenza dall’estero. Per il frumento duro, l’industria pastaria si affida al 44% alle forniture di Canada, Russia, Grecia e Turchia. Per il frumento tenero, il 64% delle importazioni proviene da Ungheria, Francia, Austria, Ucraina e Romania. Carne bovina, il cui tasso di approvvigionamento è sceso al 40%. Sebbene l’85% delle importazioni provenga dalla Francia, garantendo una relativa stabilità geopolitica, recenti emergenze sanitarie come la Blue tongue hanno messo in evidenza la fragilità della filiera. Olio extravergine di oliva, un’eccellenza del Made in Italy, è sempre più legato alle forniture spagnole, che rappresentano circa il 50% del fabbisogno nazionale. Questo rende i prezzi italiani strettamente dipendenti dalla produzione iberica e dagli andamenti climatici nella regione mediterranea. Anche prodotti iconici come prosciutti e spalle di suini, pur registrando un grado di autosufficienza superiore al 60%, dipendono largamente da importazioni di materie prime.

La dipendenza da pochi fornitori esteri rappresenta una delle principali vulnerabilità del sistema agroalimentare italiano. Se da un lato la Francia si conferma un partner stabile per i bovini, la forte concentrazione delle importazioni di soia dal Brasile o di mais dall’Ucraina espone il settore ai rischi derivanti da conflitti, instabilità politica o disastri naturali. L’incertezza geopolitica, unita agli effetti del cambiamento climatico, impone un ripensamento delle strategie di approvvigionamento. La tendenza alla delocalizzazione delle ultime decadi potrebbe lasciare spazio a politiche più mirate al reshoring e al rafforzamento delle filiere interne. Se da una parte l’agroalimentare italiano mostra una dipendenza crescente dalle importazioni, dall’altra continua a essere un pilastro dell’export nazionale. La capacità di penetrare i mercati esteri, trainata dall’eccellenza qualitativa dei prodotti Made in Italy, è stata una delle principali leve di crescita del settore. Tuttavia, questa apertura internazionale richiede una base produttiva interna più robusta per mantenere competitività e sostenibilità nel lungo termine.

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