Nel 2022, l’occupazione in apprendistato ha registrato una crescita significativa, con una media di 569.264 rapporti di lavoro attivi, pari a un aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente. Il dato, emerso dal XXII Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato realizzato dall’Inapp (Istituto per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) per conto del Ministero del Lavoro, è stato presentato oggi a Roma alla presenza dell’on. Walter Rizzetto, presidente della XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato della Camera, e di Vincenzo Caridi, capo dipartimento del Ministero del Lavoro. Il rafforzamento dell’apprendistato appare evidente in tutte le aree geografiche del Paese, anche se con differenze regionali: il Centro Italia ha segnato l’incremento maggiore (+6,2%), seguito dal Nord (+4,2%) e dal Mezzogiorno (+3,3%). Questo trend positivo si inserisce in un contesto di ripresa economica generale dopo la crisi pandemica, confermando il ruolo dell’apprendistato come leva fondamentale per il mercato del lavoro. Guardando alle tipologie di apprendistato, l’aumento non è stato uniforme. Le forme di apprendistato di primo livello, legate all’alternanza scuola-lavoro, hanno mostrato un incremento del 14,8%, il più alto tra tutte le categorie. Anche l’apprendistato di terzo livello, destinato alla formazione per l’alta specializzazione, ha segnato un progresso notevole (+11%). Più contenuto, ma comunque positivo, è stato l’aumento dell’apprendistato professionalizzante (+4,3%), che rimane la forma più diffusa.
Anche i dati relativi alle assunzioni confermano la ripresa. Nel 2022 sono stati avviati 365.886 nuovi rapporti di lavoro in apprendistato, un aumento dell’11,6% rispetto all’anno precedente. Parallelamente, il numero di contratti trasformati in tempo indeterminato è salito a 114.554, con una crescita del 4,4%. Tuttavia, non sono mancati segnali di criticità, come l’aumento delle cessazioni: nel 2022 i contratti interrotti sono stati 222.314, il 15,4% in più rispetto al 2021. La maggior parte di queste interruzioni (73,1%) è dovuta a dimissioni, mentre il 20,5% è imputabile a licenziamenti e il restante 6,5% ad altre cause. Un aspetto problematico emerso dal rapporto riguarda la formazione pubblica prevista per gli apprendisti. Nel 2022, il numero di iscritti a queste attività è diminuito del 25% rispetto all’anno precedente, fermandosi a 120.228. La flessione ha riguardato esclusivamente l’apprendistato professionalizzante, che ha registrato un calo del 27,8%. In controtendenza, invece, gli apprendisti di primo e terzo livello: i primi hanno visto un aumento del 7,8% nel numero di partecipanti alla formazione (9.586 iscritti), mentre per i contratti di terzo livello si è registrata una crescita impressionante del 63,2%, con 1.417 iscritti.
“Restano tuttavia elementi di criticità sui quali appare opportuno intervenire – ha affermato Natale Forlani (nella foto), presidente dell’Inapp – primo tra i quali il problema dei divari territoriali: quasi il 90% degli apprendisti di primo livello si trova al Nord e oltre la metà degli apprendisti del professionalizzante iscritti ai percorsi di formazione si concentra in sole 3 regioni: Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte”.
Mentre l’Italia vive queste criticità – si legge nel Rapporto – nei Paesi UE che investono per promuovere il duale si assiste a un riposizionamento dello strumento, in forme differenziate e nuove ibridazioni, verso l’istruzione superiore non accademica e terziaria che mantiene così una capacità attrattiva nei confronti dei giovani e delle imprese e contribuisce all’innovazione del sistema produttivo. Un’altra linea di tendenza, sostenuta anche dal cambiamento demografico, che si registra in diversi Paesi UE che investono nell’apprendistato, è l’utilizzo del duale per supportare processi di upskilling e reskilling dei lavoratori adulti (over 25enni). Tra i fattori che favoriscono la diffusione dell’apprendistato per gli adulti, la promozione della flessibilità dell’offerta formativa (attraverso la personalizzazione dei percorsi individuali e il riconoscimento delle competenze già acquisite dagli adulti), la costruzione di schemi di remunerazione non penalizzanti per gli adulti nonché la credibilità del sistema di qualificazioni rilasciate nell’ambito dell’istruzione e formazione e alto valore d’uso nel mercato del lavoro.