Il mercato del private capital in Italia continua a espandersi, seguendo un trend di crescita che si riflette sia nell’aumento degli associati AIFI (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) sia nelle dimensioni degli investimenti e nelle trasformazioni del settore. Nel 2024, il numero degli associati AIFI ha raggiunto quota 183, rappresentando soggetti eterogenei per dimensioni e attività. Parallelamente, il portafoglio del private equity e del venture capital conta quasi 2.400 società, mentre il comparto del private debt ha segnato investimenti in oltre 600 aziende negli ultimi cinque anni.
Private capital, AIFI: nuovi modelli e crescita offerta
Complessivamente, questo universo occupa più di 850.000 dipendenti, sottolineando l’impatto economico e occupazionale del settore. La crescita del private capital è stata al centro del Convegno annuale AIFI, ospitato nella sede di Assolombarda e realizzato con il contributo di KPMG. L’incontro ha evidenziato le principali trasformazioni del settore e le sfide future, tra cui il mutamento della raccolta di capitali e il ruolo sempre più rilevante degli investitori privati. Negli ultimi anni, la raccolta di capitali ha subito un’evoluzione significativa a livello internazionale.
Tradizionalmente dominata da investitori istituzionali, la scena globale ha visto un incremento della presenza di asset alternativi nei portafogli e un crescente coinvolgimento della ricchezza privata, attraverso asset manager e family office. Tuttavia, in Italia la raccolta di capitali rappresenta ancora un nodo complesso.
“La raccolta di capitali e gli investitori istituzionali sono cambiati nel tempo. Mentre a livello internazionale quelli tradizionali hanno incrementato il peso degli asset alternativi, in Italia la raccolta rimane la parte più complicata dell’attività, anche se ci sono alcuni segnali confortanti e le performance del mercato risultano molto positive”, ha dichiarato Innocenzo Cipolletta, presidente di AIFI (in foto).
Nello specifico, in Italia si osserva una specializzazione settoriale, dove 24 operatori di private equity e venture capital domestici hanno un focus tematico, di cui la metà sulla tecnologia. Inoltre, vediamo un ampliamento dell’offerta, con 15 operatori negli ultimi anni che hanno ampliato le proposte di asset class, in alcuni casi configurandosi come vera e propria piattaforma multi-asset. Quasi tutti i più importanti asset manager si dedicano anche agli investimenti alternativi. A livello internazionale si raccolgono fondi sempre più grandi: i cinque fondi di private equity più grandi del periodo 2022-2024 hanno raccolto oltre 100 miliardi di euro e oggi molti gestori di private capital, principalmente di origine americana, hanno in gestione asset superiori a 100 miliardi di dollari. In Italia, invece, gli operatori sono più piccoli e oltre la metà dei soggetti ha in gestione complessivamente meno di 200 milioni di euro.
“Nel 2024, a livello globale, inflazione e tassi d’interesse sono diminuiti, creando condizioni più favorevoli al mercato M&A – commenta Stefano Cervo, Partner KPMG, Head of Private Equity - . Nel Private Equity i valori degli investimenti e degli exit sono aumentati e sono tornati i mega-deal. Gli exit restano comunque ai livelli più bassi del decennio, creando pressioni sulle distribuzioni agli investitori. Nonostante l’attuale incertezza macroeconomica e geopolitica, la liquidità disponibile ed il numero di asset in portafoglio degli operatori che dovrà arrivare sul mercato ci rendono moderatamente ottimisti anche per il 2025”.
I player attivi in Italia sono molto eterogenei e questo si vede anche nei dati sulla dimensione media degli investimenti che sono stati realizzati negli ultimi due anni, infatti i private equity domestici chiudono operazioni più piccole, in media di 16 milioni, in Pmi, spesso a conduzione familiare che hanno bisogno di crescere e internazionalizzarsi.
“Questa eterogeneità sia a livello di tipologia di attività sia di dimensione degli interventi realizzati è fondamentale per coprire le diverse esigenze che caratterizzano il tessuto industriale italiano”, osserva Anna Gervasoni, direttore generale AIFI. Gli operatori internazionali impegnano capitali più considerevoli, in aziende più strutturate, con una media di 55 milioni di euro a intervento, ma anche qui ci sono importanti differenze: i soggetti americani che, come detto, hanno raggiunto negli ultimi anni dimensioni considerevoli investono mediamente 104 milioni, mentre quelli anglosassoni 84 milioni e negli ultimi anni hanno ridotto il proprio peso rispetto al passato.
Dall’altro lato, i francesi ricoprono un ruolo sempre maggiore e sono rivolti prevalentemente al mid market, con un taglio medio di 32 milioni. Le operazioni di venture capital hanno una dimensione media di due milioni. Le operazioni in infrastrutture sono generalmente più grandi e hanno una dimensione media di 175 milioni di euro. Nel private debt l’investimento medio degli operatori domestici è otto milioni di euro, mentre quello degli internazionali è pari a 40 milioni.