Nel vasto panorama della musicologia, il ritrovamento di documenti originali è un evento che può riscrivere la storia dell’interpretazione musicale. Questo è il caso della recente scoperta di spartiti utilizzati per la prima esecuzione completa in Giappone della Sinfonia n. 9 “Choral” di Ludwig van Beethoven, avvenuta nel 1924.
Da un archivio dimenticato la storia dell'emozionante prima giapponese della Nona di Beethoven
La scoperta, avvenuta presso la Nanki Music Library, non solo getta nuova luce sulla ricezione della musica occidentale in Giappone all’inizio del XX secolo, ma testimonia anche la dedizione e il fervore con cui i musicisti giapponesi abbracciarono il capolavoro beethoveniano.
Inoltre, offre una finestra senza precedenti sulle pratiche esecutive dell'epoca e sulle difficoltà incontrate dagli interpreti giapponesi nel confrontarsi con un'opera di tale complessità.
La Nanki Music Library è un tesoro inestimabile di circa 20.000 documenti e spartiti musicali, raccolti in gran parte da Yorisada Tokugawa (1892-1954), un appassionato mecenate della musica occidentale in Giappone. Discendente della potente famiglia Kishu Tokugawa, Yorisada impiegò ingenti risorse personali per acquisire manoscritti e partiture in Europa, con l’intento di arricchire la cultura musicale giapponese. La sua collezione subì varie vicissitudini nel corso della Seconda guerra mondiale, cambiando proprietario più volte prima di essere acquisita dalla Yomiuri Nippon Symphony Orchestra nel 1977.
Dal 2017, la collezione è conservata presso la biblioteca della prefettura di Wakayama. La recente scoperta ha riportato alla luce circa 150 parti orchestrali e corali, di cui circa 70 furono effettivamente utilizzate per tre esecuzioni della Nona Sinfonia presso la sala concerti Sogakudo della Tokyo Music School, tra il 29 novembre e il 6 dicembre 1924.
I documenti sono stati ritrovati in un archivio secondario della Nanki Music Library, all'interno di una raccolta erroneamente catalogata come "materiale didattico vario".
Tra gli spartiti, sono emersi manoscritti contenenti annotazioni, correzioni e i nomi degli esecutori, rivelando dettagli cruciali sulla preparazione e l’interpretazione della sinfonia. La presenza di segni a matita e inchiostro suggerisce che i musicisti abbiano apportato modifiche in tempo reale per adattarsi alla loro formazione orchestrale e alle difficoltà tecniche incontrate nell'esecuzione di una partitura complessa come quella della Nona.
Il direttore d’orchestra era Gustav Kron, musicista tedesco che insegnava presso la scuola, mentre il primo violino era Ko Ando, eminente violinista giapponese formatosi in Germania. Particolarmente interessante è stata la scoperta di una lettera indirizzata a Kron da parte di uno degli organizzatori del concerto, nella quale si menzionano le difficoltà incontrate nell'interpretazione della parte corale a causa della scarsa familiarità dei cantanti giapponesi con la fonetica tedesca. L'accoglienza riservata a queste esecuzioni fu straordinaria.
La stampa e il pubblico accolsero la rappresentazione con entusiasmo, riconoscendola come un evento epocale. La Nona, che aveva già fatto il suo ingresso in Giappone nel 1918 grazie ai prigionieri di guerra tedeschi, fu ora eseguita da musicisti giapponesi, segnando un punto di svolta nella diffusione della musica occidentale nel Paese. Documenti scoperti contestualmente agli spartiti riportano recensioni e critiche apparse sui quotidiani giapponesi dell'epoca, che elogiarono la performance nonostante le sfide tecniche affrontate. Una curiosità emersa dalle fonti è la descrizione della reazione del pubblico: molti spettatori, non abituati a una composizione così lunga e articolata, si dissero sopraffatti dall'intensità dell'esperienza.
Mentre alcuni critici sottolinearono la difficoltà degli orchestrali nel mantenere la tensione espressiva richiesta dall'opera, ma riconobbero l'evento come un momento di svolta per la musica giapponese. Il musicologo Yoshio Miyama, professore emerito della Keio University, ha sottolineato come la scoperta di questi spartiti fornisca preziosi indizi sulla prassi esecutiva dell’epoca, permettendo di comprendere meglio le prime interpretazioni orchestrali in Giappone. Le annotazioni sugli spartiti rivelano non solo le scelte esecutive del direttore e dei musicisti, ma anche gli adattamenti effettuati per superare le difficoltà tecniche e linguistiche.
Inoltre, questi documenti offrono spunti per investigare le ragioni del duraturo successo dell’opera nel Paese. L'uso di certe dinamiche, la semplificazione di alcune sezioni e la presenza di indicazioni testuali per la pronuncia del testo tedesco sono infatti elementi che mostrano quanto fosse impegnativo portare in scena un'opera di tale portata in un contesto culturale ancora in fase di assimilazione della musica occidentale.
Capolavoro monumentale, la Sinfonia n. 9 in re minore op. 125 rappresenta il culmine della ricerca artistica di Beethoven. Molti elementi, infatti, erano già emersi in opere precedenti: frammenti del celebre tema della “Gioia” si trovano per esempio in un Lied del 1794 e nella Fantasia corale op. 80 del 1808.
La genesi della sinfonia attraversò diverse fasi, con i primi abbozzi risalenti al 1817. Nel 1823, Beethoven unificò le idee in un’unica grandiosa composizione, portata a termine nel febbraio 1824. La prima esecuzione avvenne il 7 maggio 1824 a Vienna, in un concerto leggendario in cui il pubblico accolse l’opera con un’ovazione, malgrado l’autore, ormai completamente sordo, non potesse percepirla. La recente scoperta degli spartiti della prima esecuzione giapponese non è solo un evento musicologico di rilievo, ma anche una testimonianza del potere universale della musica di Beethoven.
A conferma, ove fosse necessario, di come la sua immensa opera abbia saputo superare barriere culturali e geografiche, ispirando generazioni di musicisti in tutto il mondo sino ad oggi: un faro di speranza che ci ricorda che la musica, come il pensiero più elevato, non conosce confini.