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Ponte Morandi: non tutti i responsabili sono sul banco degli imputati

Redazione
 
Ponte Morandi: non tutti i responsabili sono sul banco degli imputati

Negli Stati Uniti, dove la cultura giuridica è spesso condizionata dalla produzione artistica (tra i legal thriller di John Grisham e i crime che invadono i teleschermi), i dibattiti sul principio della responsabilità assumono talvolta, ai nostri occhi di figli del diritto romano, aspetti che stentiamo ad accettare come fondati. Parliamo, ad esempio, di chi ha cercato di portare, in una corte di giustizia, i produttori di armi quando il processo è stato uno ''spin off'' magari di un altro, per una sparatoria di massa.

Ponte Morandi: non tutti i responsabili sono sul banco degli imputati

Perché, sostengono i fautori di una qualche responsabilità di chi dà agli assassini gli strumenti per uccidere, c'è sempre una correlazione, una ''causa ed effetto'', perché se il fucile d'assalto o la pistola non fossero quello che sono, strumenti efficienti per offendere o uccidere, alcuni drammi si sarebbero potuti o dovuti evitare.

 

E' sulla scia di questi pensieri che stiamo assistendo, tra la partecipazione al dolore delle famiglie e il distacco verso un evento che mai e poi mai si sarebbe dovuto manifestare, al processo in corso a Genova, ai responsabili - veri o presunti lo diranno i giudici - del crollo del ponte Morandi, in cui persero la vita ...No, diamo alle cose il giusto valore: in cui la vita fu sottratta a 43 persone.
Sul banco degli imputati ci sono quelli che, secondo l'ordinanza di rinvio a giudizio, hanno contribuito al determinarsi delle condizioni estreme che causarono il collasso della struttura del ponte che, crollando, trascinarono nel vuoto decine di autovetture e i loro occupanti.

 

E per loro la pubblica accusa ha chiesto pene che potrebbero essere definite, a seconda di come ci si accosta a questo processo, durissime, esemplari o semplicemente giuste.
Come per l'ex amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci, per il quale è stata chiesta una condanna a 18 anni e mezzo, mentre lui è già in cella per una sentenza ormai definitiva - sei anni - per quella che è conosciuta come ''la strage di Avellino'', quando, nel luglio del 2013, un bus volò via da un viadotto, causando la morte di 40 persone.

Due condanne - una passata in giudicato, l'altra reclamata dai pm - che sembrano delineare un profilo di Castellucci come responsabile principale, come quello che, stando al vertice della piramide, si prende tutto, oneri ed onori.

 

Ma è veramente così? Perché un conto è essere imputati, un altro - che è poi l'aspetto più importante - è essere colpevoli.
Il processo per la strage di Avellino e quello, in corso a Genova, per il ponte Morandi si riconducono, come catena di responsabilità, sempre al medesimo soggetto, in una reiterazione di uno stesso schema.
Ma, ed è questa la domanda che dobbiamo (non ''possiamo'', da giornalisti) porci: accanto a Castellucci siedono tutti i responsabili, anche quelli che, ricorrendo ad un termine forse desueto, potrebbero essere definiti ''morali''?

 

Autostrade per l'Italia, la società di cui Castellucci è stato l'ad, non era una pepita trovata sotto una pietra, non era una entità a sé stante, ma faceva parte del portafoglio di una famiglia, i Benetton, che ha sempre avuto cura ed attenzione per le proprie società. Quindi, per la transitiva, anche per quella messa nelle mani di Castellucci, che sicuramente agiva in nome e per conto, pur essendo lui a prendere le decisioni di mera direzione.
Ma questo suo essere dominus si traduce in una estraneità dei Benetton in merito a quanto accaduto?

 

Non è, come pure potrebbe sembrare, una domanda banale o figlia del desiderio di vendetta davanti ad una strage purtroppo spiegabile, ma non per questo da accettare con rassegnazione.
Quello che tutti vorrebbero è che il processo si concluda con la condanna dei colpevoli, ma di tutti, non solo di quelli che oggi, a Genova, vedono in gioco il loro futuro come persone, perché quello professionale è andato già in frantumi.

 

Nel momento in cui diciamo che solo quelli che apponevano firme, decidevano, ignoravano, colpevolmente giravano la testa dall'altro lato, sono i responsabili, facciamo un'offesa alla nostra intelligenza. Perché un conto è la catena di comando sul campo (dall'amministratore delegato sino al penultimo gradino della scala gerarchica), un'altra è chi indica la strada da seguire, chi dice quel che si deve fare, lasciando ad altri il ''come''. Ma, crediamo, anche quando si deve risparmiare e forse anche come. Fatto sta che la ricerca dei colpevoli si è fermata sulla soglia di casa Benetton, come se sedere sul trono non dia al re alcuna colpa per quello che fanno i suoi generali.

 

Ma, nel momento in cui i Benetton non sono stati ritenuti colpevoli di alcunché, non dobbiamo meravigliarci se, in questa brutta storia, siano in una posizione defilata, come se Autostrade per l'Italia, sino ai pesanti guai giudiziari, non sia stata un collettore di denaro, e tanto.

Per nostra fortuna, in Italia chi non figura tra gli imputati di un procedimento penale non può essere giudicato come responsabile morale. Ma, e anche questa è una fortuna per chi riesce a sottrarsi al sanguinoso meccanismo dei processi mediatici, c'è il giudizio della storia, e, per chi crede, anche quello di Dio.

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